Argentina: gli ultimi dati confermano la grave crisi economica e il fallimento del neoliberista Macri

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Continua l’inesorabile caduta dell’economia argentina portata nuovamente nel baratro dalle politiche neoliberiste implementate da Mauricio Macri.

 

Il ministro dell'Economia argentino Nicolás Dujovne ha assicurato che il paese è in una fase di recupero lento da dicembre, ma i dati non supportano le sue affermazioni. Il Fondo monetario Internazionale e altre organizzazioni internazionali prevedono un altro anno recessivo per il paese.

 

Questa settimana è stato reso noto l'indice ufficiale dei prezzi sul mercato interno all’ingrosso, che registra un aumento mensile del 3,4% e un aumento interannuale del 64,5%. Questo numero è ben al di sopra dell'inflazione anno su anno che si attesta attualmente attorno al 51%, a causa della forte contrazione della domanda dovuta al calo del potere d'acquisto dei salari. Il rischio è che i prezzi al dettaglio aumentino rapidamente se il consumo viene riattivato, per compensare questa differenza, dopo il 2018, quando la svalutazione ha superato il 100%.

 

Con i numeri attuali, l'inflazione media per i quattro anni del governo di Macri (2016-2019) non sarà inferiore al 35% all'anno e supererà nettamente quella dell'ultimo periodo di Cristina Kirchner (2011-2015). L'inflazione è anche la preoccupazione principale della popolazione, come registrato dai sondaggisti dell'opinione pubblica.

 

Un altro preoccupante indicatore recessivo è il livello del credito privato, che è diminuito del 28% negli ultimi sei mesi. Il calo dei finanziamenti alle imprese e alle famiglie continua a marzo, secondo i dati e le stime della Banca Centrale.

 

Continua il suo inevitabile declino il livello della produzione industriale misurato in termini interannuali di circa l'8% e il tasso di disoccupazione è superiore al 9% secondo l'Indec (Instituto Nacional de Estadística y Censos de la República Argentina). 

 

Altrettanto controverso è l'affermazione del governo secondo cui quest'anno ci sarà un "deficit primario zero", dal momento che le spese per interessi sul debito pubblico rappresentano già il 3,6% del PIL. Inoltre, la Banca Centrale paga l'interesse annuale dell'86% per le lettere Leliq su un capitale di circa 25 miliardi di dollari, quindi il cosiddetto deficit quasi-fiscale della Banca Centrale è pari al 5,4% del PIL, più alto di un anno fa. 

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