Il viaggio di Starmer, Tusk, Macron e Merz in Ucraina e quelle parole di Tolstoj
di Daniele Luttazzi - Fatto Quotidano (Nonc'èdiche, 14 maggio 2025)
“Aquelli che vuole rovinare, Dio toglie prima la ragione”, scriveva Tolstoj in Guerra e pace per commentare la sciagurata invasione russa di Napoleone nel 1812. La recente decisione di Starmer, Macron, Tusk e Merz, riuniti con Zelensky a Kiev (porre un ultimatum a Putin, che sta vincendo la guerra in Ucraina praticamente da quando è cominciata) non è meno sciagurata (è solo l’ultima di una lunga serie) e meriterebbe la stessa glossa. A conferma inoppugnabile della follia in corso indicherei le risate che i 5 hanno ostentato per l’occasione a favore di fotocamera: dato il momento drammatico, definire del tutto fuori luogo quegli sghignazzi sarebbe una litote (e questa è un’iperbole). Molti hanno notato l’incongruità di quei cachinni, e qualcuno si è chiesto cos’avessero tanto da sbellicarsi i 5, evidentemente dimenticando la precedente professione di Zelensky. La causa dell’ilarità erano infatti alcune barzellette che il nostro, avendole in repertorio, ha sfoderato ad usum Delphini. Grazie a una microspia russa nascosta nel butt plug di Macron siamo in grado di riferirvele verbatim.
I soldati russi perderanno perché sono arruolati a forza. In Rete gira un filmato con delle giovani reclute russe allineate per la loro prima ispezione. Il sergente si ferma davanti a un marmittone in mal arnese e gli urla in faccia: “Hai la barba lunga, la divisa sbottonata, gli stivali sporchi. Chi ti ha detto che sei un soldato?”. E il ragazzo, scocciato: “L’ufficio reclute”.
Il sergente russo allora perde le staffe: “L’addestramento sarà durissimo! La prima settimana separeremo gli uomini dai ragazzini. La seconda settimana separeremo i ragazzini dagli idioti. E la terza settimana manderemo gli idioti al fronte!”.
I soldati russi non possono vincere perché sono delle mammolette. Sono cresciuti nella bambagia. Lo testimonia questa lettera di una madre russa al figlio soldato, appena arrivato al fronte: “Nikita, ora che stai per diventare un eroe dell’esercito russo confido che ti sveglierai in tempo ogni mattina in modo che gli altri soldati del tuo battaglione non dovranno restare seduti a tavola ad aspettare che tu scenda, prima di cominciare a fare colazione”.
Soprattutto, i soldati russi non vengono trattati bene dalla madrepatria. L’altro giorno abbiamo intercettato l’email di una recluta russa a sua madre: “Il rancio? Mi piacerebbe poterlo mangiare. Mi chiedo perché spariamo agli ucraini: invitiamoli a mensa e non se ne salverà uno!”.
Noi invece vinceremo perché siamo gente tosta. Ho sentito io stesso uno dei nostri soldati che diceva: “Mi piace l’esercito. Da quale altra parte potrei stare placidamente a letto fino alle quattro del mattino?”.
Siamo cazzuti perché ci abituiamo a combattere fin da piccoli. Nei quartieri vediamo subito se uno non sa fare a botte: non ha le orecchie.
E fin da piccoli siamo patrioti. All’inizio della guerra, un soldato russo ha chiesto a un bambino di un paesello in Crimea la strada per arrivare alla Capitale. Lui si è stretto nelle spalle e ha detto: “Non lo so” “È lontano?” “Non lo so”. Non riusciva a fargli dire niente. Alla fine, per vedere se sapeva dire qualcos’altro, gli ha chiesto come si chiamava. E lui: “Non lo so” “Non sai molto, eh?”. E lui: “Non sono io quello che si è perso”.