Le economie allo sbando. Come prima, più di prima

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Le economie allo sbando. Come prima, più di prima

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Settembre è il mese in cui la maggior parte delle persone ritorna al lavoro. Riaprono le attività e, finite le vacanze, la scansione del tempo regolata dall'idea della supremazia della merce recupera la sua regolarità.

Con l'avvento dell'autunno e poi dei mesi freddi si tirano le somme.

Leggi di bilancio e manovre economiche; verifica del rispetto degli accordi sottoscritti in ambito comunitario  –  i trentennali vincoli austeritari, il MES – , gli step da osservare per beneficiare ( a debito) dei fondi del PNRR.

Tutte le economie mondiali sono basate sul ricatto del debito. Un mantra che lega, fino ad un certo punto, perchè dove e come tagliare e in quali settori incrementare le spese rimangono opzioni della politica nazionale.

Il debito grava in primis sulle economie statali, ma ricade come un macigno sulle masse, oramai da decenni incapaci di fronteggiare le spese quotidiane, a causa del taglio dei servizi, dell'aumento del costo della vita non supportato da adeguate remunerazioni, dalla mancanza di opportunità.

Cosi i cittadini ricorrono ai finanziamenti (ulteriore debito) per sopperire tanto ai bisogni fondamentali, quanto a quelli indotti dalla cultura consumistica. Stili di vita che hanno intrapreso la strada dell'americanizzazione, sia per quanto riguarda le scelte operate, la bulimia consumistica appunto, sia per quanto concerne l'accettazione passiva di un modello imperante.

Un sistema sostitutivo dell'interventismo statale, impegnato a sua volta, a sottofinanziare il welfare, gli studi, la salute. A privatizzare quel che rimane per fare cassa, ad inventare riforme strutturali che ricadranno sulle future generazioni, a toccare (ancora una volta) le pensioni.

Iniziative partite negli anni '90 e che taglio dopo taglio hanno svuotato le nazioni dalle storiche funzioni e dalla gestione di quella una volta chiamata cosa pubblica. Forbici austeritarie incapaci, nonostante tutto, di intaccare l'esposizione debitoria, e che con l'aggravio del rispetto dei vincoli economicistici stipulati in sede UE, e le bizze dei mercati detentori dello stesso debito, hanno reso gli Stati  (volutamente) impotenti. Mentre le spese militari conoscono un trend in crescita, che non si è arrestato nemmeno durante gli anni della pandemia, accentuato dagli ultimi conflitti interessati da ambizioni geostrategiche. E se le lobby delle armi, estrattive, dell'agrobusiness e via dicendo, finanziano la politica è  facile immaginare in quale direzione essa si muove. Quali interessi vengono tutelati e cosa viene sacrificato dalle relative decisioni.

A causa del cambiamento subito l'impianto organizzativo delle macchine statali continentali ricalca, in tutto e per tutto, quello statunitense: se vuoi studiare od hai bisogno di cure sanitarie devi indebitarti. Cosi se vuoi accedere ad un mutuo. E le bolle immobiliari o legate agli investimenti nelle nuove tecnologie sono alle porte.

La lotta di classe l'hanno vinta i ricchi. Tutte le sfere di governo, dal locale al sovranazionale, sono al loro servizio. Per accorgersene basta dare uno sguardo a ritroso, a quel travaso di ricchezza che sul finire degli anni '70 ha visto agevolati i redditi da capitale e le rendite a discapito di quelli derivanti dalle attività lavorative. Uno spostamento su cui hanno influito diversi fattori: la riduzione del numero delle aliquote; il trasferimento degli introiti aziendali nei paradisi fiscali; il segreto bancario; l'agire indisturbato dei colossi dell'economia.

La concorrenza non avviene più tra singoli Stati, per quanto alcuni di questi conservano ancora (gli USA, il Giappone) od hanno acquisito (la Cina) un ruolo di primo piano. E' una sfida tra aree che hanno in comune un insieme di Stati uniti dallo stesso patrimonio culturale, e dalla lingua e dalla moneta ( sempre gli USA), o sono sovrastatali (i BRICS, l'UE). La competizione è svolta al ribasso, in linea con l'ideologia capitalistica, cercando di mettere le mani su quanto è possibile.

In questo quadro la UE, pur condividendo il liberismo internazionale, sconta le vecchie lotte intestine tra i suoi componenti, che mirano alla supremazia dentro e fuori i confini. Il che alla fine costituisce un freno nel pensarsi come soggetto unico in grado di fronteggiare le sfide globali con i competitor. E quindi, quando l'economia europea entra in crisi, per questi ed altri fattori, per farvi fronte ecco riproposte le solite ricette che parlano di competitività, di un'economia comunitaria che deve crescere, o che bisogna aumentare il pil (che non è in grado di indicare l'eventuale benessere ma solo la quantità di ricchezza) e le produzioni. Come se questi indicatori fossero slegati da deterninate situazioni. E trascurando le crisi cicliche dovute alla sovrapproduzione, all'intasamento dei mercati, e alla mancanza di sbocchi per le merci. Questione tipica del modello di sviluppo insito  nel capitalismo, e per affrontare la quale non bastano come palliativi delocalizzazioni, tagli al costo del lavoro, e parcellizzazione dello stesso.

All'interno di queste contraddizioni non è un caso che la signora Meloni snoccioli dati disaggregati, raccontandoci le imprese del suo governo. L'aumento dell'occupazione, che spesso durante i mesi estivi coincide con i lavori stagionali, ma nulla dice del calo della produzione industriale da un anno e mezzo o del 10% della popolazione che versa in stato di povertà. All'opposizione del governo Draghi, adesso lo contatta per dei suggerimenti operando in perfetta continuità con quelle politiche che di fatto ha accettato. E Draghi già ha espresso le sue intenzioni in sede comunitaria, reclamando il piano per la ripresa: una massiccia liquidità ( 800 miliardi, l'equivalende di due piani Marshall) da stanziare sullo stile dello "Next Generation EU", ma sempre all'interno della cornice liberista, aumentando quelle per la difesa, gli armamenti, le energie.

Eppure la realtà è più complessa. All'orizzonte la minaccia sull'occupazione e la stabilità delle esperienze del vivente rappresentato dall'intelligenza artificiale.

Adesso che i mercati sono esautorati l'estrazione del plusvalore avviene verso la realtà immateriale.

L'accumulazione di dati inerenti le attività on line è il nuovo modo di produrre ricchezza.

I governi, invece, al fine di gestire un sistema incontrollabile con i vecchi strumenti, utilizzano gli stessi slogan di un tempo.

Inadatti ad affrontare la dimensione attuale ma solo a tamponare: incentivi alle assunzioni; detassazioni alle imprese, scudi fiscali ecc.

In tal modo, viene trascurato il dato essenziale costituito dalle singole imprese ( di piccola e media dimensione) radicate sul territorio in concorrenza non solo con i grossi centri del commercio, ma soprattutto con le attività di vendita sulla rete internet.  Lì dove i colossi del web la fanno da padrone diventando centri di accumulazione e smistamento, con tutto l'indotto di stoccaggio, lo sfruttamento della logistica, e la cementificazione di intere aree.

In questa confusione economica globale in cui tutto rimane come prima, anzi sono proprio le diseguaglianze ad alimentare tale condizione, c'è chi alza la voce. Infatti, dal voto francese e da quello tedesco è emersa una volontà forte di distacco dall'impianto attuale. Essa cerca di segnalare dei possibili cambiamenti. Quanto meno la consapevolezza di parte del popolo su chi sono gli autori del declassamento sociale. Una risposta che  nel caso tedesco vede la sinistra di BSW tacciata di rossobrunismo, sia perchè reclama il ritorno al protagonismo statale, che per il fatto di rincorre le destre sul terreno della lotta all'immigrazione incontrollata. Stessa cosa che fa il governo socialdemocratico di Scholz, che per recuperrare consensi sposta l'attenzione in ambito securitario, pensando a restrizioni ed espulsioni più facili, dopo che il precedente democristiano della Merkel ne ha accolti a milioni. Mentre la locomotiva tedesca rallenta, in piena crisi industriale, amplificata dalla crisi del gas e l'attentato ai North Stream. E poi c'è il pericolo della estrema destra razzista, che però in Francia non fa così paura, ogni cosa è lecita pur di impedire il governo della sinistra.

Gli istinti reazionari vengono cosi rafforzati dall'ondata populista partita negli ultimi decenni. Figlia dell'assenza delle politiche redistributive. Solo che piuttosto che mettere in discussione il sistema fondato sul privilegio del potere, i movimenti nazionalistici, in quanto funzionali e parte integrante dello stesso, vanno a caccia dell'identikit da sacrificare, ieri (nel secolo scorso gli ebrei) come oggi (i migranti).

Secono loro il nemico da combattere in quanto mette in pericolo la sicurezza nazionale.

L'ordine statale va rifondato ponendo l'accento sull'appartenenza e la proprietà. Un capitalismo nazionale in coabitazione con quello globale, che fa dell'esclusione delle classi povere e degli stranieri, eccessi non contemplati, scarti non produttivi, la caratteristica tarda della nuova visione autarchica per la quale i diritti sociali e civili non vengono più garantiti.

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