Monaco: le 9 sconfitte del morente blocco occidentale che sono già realtà
di Clara Statello per l'AntiDiplomatico
Gli sconfitti piangono sul latte versato. Dopo aver trascinato a capofitto le nazioni ed i popoli europei in una proxy war suicida in cui l’Europa aveva tutto da perdere, dalla rilevanza geopolitica alle importazioni di risorse strategiche, dal commercio estero alle più basilari conquiste democratiche ed illusioni liberali, i leader europei sono esterrefatti: hanno perso su tutta la linea.
La partita in Ucraina non è ancora chiusa, ma alcuni obiettivi strategici del morente blocco occidentale sono clamorosamente falliti:
- la Russia non è stata né sconfitta, né smembrata, né distrutta dalle “democrazie” (cioè i “buoni”);
- la Russia non è stata isolata, anzi ha stretto solide alleanze e partnership con potenze nucleari asiatiche e paesi emergenti, aumentando la sua influenza in Africa e in altre regioni del mondo;
- Putin è vivo e vegeto sia biologicamente ma soprattutto politicamente - lo stesso non si può dire per Boris Johnson, Sanna Marin, etc - esattamente come i suoi alleati Ramzan Kadyrov e Aleksandr Lukashenko;
- Non c’è stata nessuna sollevazione in Russia per opporsi alla guerra in Ucraina o chiedere più democrazia. Tutt’altro, l’unica insurrezione che avrebbe potuto mettere dividere la società russa è stata quella degli ultramilitaristi-nazionalisti di Prigozhin;
- I territori ucraini “liberati” o (se preferite) “occupati” ormai sono russi e questo è irreversibile;
- L’Ucraina non entrerà nella NATO;
- La Russia non pagherà alcuna riparazione di guerra;
- Difficilmente vedremo un tribunale internazionale giudicare Putin o presunti criminali di guerra, come più volte annunciato da Ukrinform e dalla stampa USAID occidentale;
- Nessun’arma segreta o poderosa è riuscita a dare una svolta alla guerra.
E del resto, come avrebbe potuto? Non è possibile sconfiggere una potenza nucleare in una guerra convenzionale ed è proprio per questo che l’amministrazione Biden ha utilizzato l’esercito ucraino (non il suo) per combattere contro la Russia. Nonostante gli anatemi iniziali dell’ex presidente contro l’omologo russo, non ha mai preso seriamente l’idea di mettere gli stivali sul terreno. La guerra sarebbe stata combattuta fino all’ultimo ucraino o, al limite, sino all’ultimo europeo.
C’è di più. Non solo le previsioni dell’Occidente erano tutte sbagliate, ma le sanzioni contro la Russia hanno avuto una conseguenza imprevista: il consolidamento del dialogo Mosca-Pechino, da cui un’accelerazione verso il mondo multipolare.
E così una guerra che era iniziata come conflitto regionale (l’operazione militare speciale), è stata trasformata dall’Occidente in una guerra per l’ordine globale. L’esito è il funerale del cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole, ovvero l’ordine internazionale liberale.
Il nuovo capitano del Titanic Occidente, dopo l’impatto con l’iceberg siberiano, fugge dalla nave che affonda. Trump chiede un accordo per evitare la vittoria strategica della Russia, nel caso di un crollo del fronte, e l’affermazione di un nuovo ordine multipolare dominato dai BRICS a guida sino-russa, che oscuri in maniera irreversibile il primato “Americano”. Salire sul carro del vincitore è facile: basta trovare un capro espiatorio (l’”incompetente” Biden) e scaricare gli alleati.
Da qui lo sbigottimento dei clientes (per utilizzare un termine gentile). Non riescono a farsene una ragione e non si capisce se piangono più per la sconfitta o per aver perso il loro dominus.
Come i giapponesi che restavano nelle loro postazioni aspettando ordini che non sarebbero mai arrivati, dopo la fine della seconda guerra mondiale, i più ligi servitori di Washington non smettono di mostrarsi fedeli alla linea anche quando la linea non c’è. Kaja Kallas, l’unica premier che ha avuto il coraggio di dimettersi per coprire un ruolo puramente di facciata come quello di capo della diplomazia europea, promettere che resteremo a fianco di Kiev anche se Kiev non accetterà le condizioni poste dal presidente Trump (cioè faremo la guerra agli Stati Uniti?).
Ursula von der Leyen, come altri leader, ha ripetuto quella che sembra essere la formula magica del momento, ovvero ottenere “la pace attraverso la forza”. Per chi non crede alla magia vuol dire semplicemente che l’UE deve comprare più armi dagli Stati Uniti per darle a Kiev. Cioè le richieste del dominus, presentate agli alleati martedì dal capo del Pentagono Hegset alla riunione del gruppo Ramstein: aumentare al 5% le spese per la difesa comune e prepararsi a inviare truppe di peacekeeping, al di fuori di una missione NATO e senza la protezione dell’articolo 5.
Immediatamente la presidente della Commissione europea ha risposto con un “obbedisco” (mi perdonino i garibaldini che si sentono offesi dall’accostamento), annunciando la “clausola di emergenza” che consentirà di aumentare la spesa militare senza far scattare le procedure di infrazione europea.
Nella disputa tra Bruxelles e Washington è intervenuta anche la nostra presidente del Consiglio, secondo un comunicato pubblicato ieri dal presidente ucraino Zelensky, per allinearsi con i paesi europei. In gioco c’è la partecipazione al tavolo dei negoziati e, naturalmente, al banchetto della spartizione del bottino di guerra. In base a quanto detto da Trump, si parla di 500miliardi di dollari in terre rare che vuole (ci mancherebbe) tutti per gli Stati Uniti. I leader europei sperano ancora di ricevere delle briciole, qualche concessione.
Il nuovo inquilino della Casa Bianca, però, non sembra intenda fare concessioni. La linea è chiara: agli Stati Uniti tutti i guadagni, ai clientes tutti gli oneri. Come risultato aumenterà la dipendenza energetica e militare dell’UE da Washington. Inoltre il nostro ormai ex amico imporrà tariffe alle nostre esportazioni, oltre a attirare le nostre aziende ed industrie sul suo territorio.
Come ha detto Macron, per l’Europa è stato un elettrochoc. Washington e Mosca si sono messi d’accordo fra di loro, in silenzio, senza coinvolgere altri attori. E perché mai avrebbero dovuto? Perché alle trattative di pace fra due potenze che combattono una proxy war dovrebbero partecipare anche le proxy? Da quanto in qua i vassalli contano qualcosa?
Sembra improbabile che la delegazione statunitense porrà al tavolo delle trattative questioni come la restituzione di Mariupol o le riparazioni di guerra (è tanto se non dovremo pagarle noi). Più plausibile che si cerchi un disaccoppiamento da Pechino, un allentamento del supporto a Teheran o l’abbandono dei partner latino-americani, in cambio di ninnoli e specchietti. Ovvero la promessa di guidare assieme il nuovo ordine internazionale che scaturirà da Yalta 2, di cooperare sulle rotte artiche e qualche copertina di Vogue o Times per la Nabiullina o qualche oligarca filo-occidentale. A Washington sperano in una nuova fila chilometrica alla riapertura del McDonald di Piazza Rossa, dopo la storica riappacificazione. E non è detto che non ci riescano.
In questo nuovo mondo che Trump vuole costruire, trasformando Gaza in un mega resort della riviera mediorientale e saccheggiando le risorse ucraine, gli europei non avranno altro ruolo che eseguire gli ordini. Il giardino fiorito di Borrell si trasformerà nel patio trasero dell’Imperium.