Mosca: ci sono voluti 13 anni perché la giustizia britannica decidesse di rinviare ulteriormente il caso Assange
La portavoce ufficiale del Ministero degli Esteri russo, María Zakharova, sul suo account Telegram ha ironizzato sul fatto che la giustizia del Regno Unito ha impiegato 161 mesi, o più di 13 anni - l'equivalente di quasi 5.000 giorni - per "prendere la decisione di aspettare più a lungo" per vedere se concederà al fondatore di WikiLeaks Julian Assange un’altra possibilità contro la sua estradizione negli Stati Uniti.
Ieri, l'Alta Corte di Londra si è pronunciata in favore del fondatore di WikiLeaks, concedendogli di continuare a ricorrere in appello contro la sua estradizione.
La portavoce del ministero degli Esteri russo ha calcolato il tempo impiegato da ciascun tribunale britannico dal momento in cui "un tribunale svedese, sotto l'insistenza degli Stati Uniti, ha ordinato il suo arresto [di Assange] nel novembre 2010".
Dal momento in cui si è concretizzato il suo arresto sono trascorsi 60 mesi, ovvero cinque anni, sottolinea Zakharova. "Cosa stavano facendo gli [investigatori] britannici per tutto quel tempo in cui l'australiano era confinato in una strada vicina, nell'ambasciata ecuadoriana?", ha chiesto. Ha anche ricordato che nella missione diplomatica ecuadoriana Assange viveva in condizioni di tortura a causa delle pressioni della polizia di Londra.
Zakharova ha criticato il fatto che la giustizia britannica abbia impiegato così tanti anni per prendere una decisione sul procedimento penale riguardante un giornalista. "L'intero sistema giudiziario è diventato una farsa nel Regno Unito, è diventato uno zimbello davanti al mondo intero", ha scritto la portavoce, che ha definito tutto quello che è successo con Assange come una "vessazione della dignità umana" da parte di " pseudo-giustizia britannica altamente inefficace e punitiva."
Allo stesso modo, la portavoce ha condannato la persecuzione dei giornalisti investigativi, ispirata da Washington, ribadendo che provoca gravi danni al giornalismo e ai media indipendenti e mina i principi fondamentali della libertà di espressione e dei diritti umani.