Patrick Zaki e quella fortuna di non essersi ritrovato in un carcere britannico

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 Patrick Zaki e quella fortuna di non essersi ritrovato in un carcere britannico

Di Leandro Cossu 

 

Ironia della sorte, Patrick Zaki è stato fortunato ad avere la sua "disavventura" in un paese illiberale come l'Egitto (non ci sono più i faraoni di una volta).

Se avesse pubblicato qualcosa di scomodo per il potere costituito in un paese liberale e democratico come il Regno Unito - patria del liberalismo, del tè delle cinque e dei campi di concentramento - sarebbe stato privato della sua libertà per almeno 12 anni, accusato da tutte le cancellerie europee di essere una spia al soldo di qualche pelato autocrate orientale e dimenticato, o peggio colpevolizzato, dall'opinione pubblica.

Nel mentre che il mondo scende in piazza oramai pure per salvare i ghiacciai di Ganimede e Callisto, infatti, Julian Assange langue in una prigione britannica.

Nessun cartonato per lui nel tempio propagandistico del benpensiero su La7.

Nessuno striscione sui municipi delle città italiane.

Nessun petulante arrivista di centro sinistra che si lagna per il rivoltante esito parlamentare della mozione Cabras del 2 dicembre scorso.

E poi diciamolo, la Stars and Strips funziona nelle cover degli iPhone, è poco instagrammabile in uno striscione come bavaglio attorno alla bocca di un giornalista. 

Che Patrick Zaki sia stato liberato è una buona notizia, ça va sans dire, e non va identificato con le colpe altrui. Ma anche in questa asimmetria è possibile leggere in filigrana ipocrisie e strumentalizzazioni che riescono a far pensar male pure per un lieto fine.

 

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