Per il voto in Russia, Mosca ringrazia l’Occidente e i golpisti di Kiev

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Per il voto in Russia, Mosca ringrazia l’Occidente e i golpisti di Kiev

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di Fabrizio Poggi

 

«Il potere è rimasto fermo e il popolo fedele», così che l’attacco non poteva che fallire. Diremo più avanti di chi fossero queste parole e a cosa si riferissero.

Intanto, constatiamo il risultato del 87,28% dei voti per Vladimir Putin alle presidenziali russe del 15-17 marzo e l’affluenza record alle urne del 77,44% degli aventi diritto, pari a oltre 87 milioni, sui 112 milioni di elettori certificati lo scorso febbraio dalla Commissione elettorale russa.

Di fronte a queste cifre, è più comprensibile lo stupore dei liberal-reazionari euroatlantici, avvezzi a sproloquiare sul cielo plumbeo, all’indomani di ogni tornata elettorale di casa propria, pur di non spiegare il perché del fatto che la maggior parte delle accozzaglie elettoralistiche in giacca e cravatta riesca a mietere un successo dopo l’altro nella corsa a far allontanare le persone dai seggi.

Ancora più ”naturali” le reazioni degli intellettualoni clerico-liberali, dediti a sponsorizzare “dissidenti” (par di sentire i due canali RAI dell’epoca dei “martiri della fede” Sinjavskij e Daniel) antiputiniani e gli “oppositori democratici” in esilio volontario, tutti riuniti (cioè: quella mezza dozzina di soci d’affari) nel fantomatico “Mezzogiorno contro Putin”: gli uni e gli altri, cioè sponsor quartapellian-picierniani, e sponsorizzati della “opposizione a Putin”, impettiti a mugolare sulle «elezioni ingiuste e non libere».

Ma lasciamo perdere: in ogni caso, né i liberal-reazionari, né i clerico-liberali, con le rispettive litanie, avrebbero potuto influire sulle scelte degli elettori russi, figuriamoci poi a darne una “spiegazione” minimamente ragionata, che potesse andar oltre il tragicomico video curato (molto male) dai nazigolpisti di Kiev sugli elettori “russi” seguiti nelle cabine elettorali da soldati armati di mitra. O meglio: se un’influenza l’hanno avuta, è stata nel senso opposto a quello voluto, confermando una volta di più la profondità del pensiero del grande Mao, secondo cui i reazionari, da stupidi come sono, sollevano sempre una pietra per lasciarsela cadere sui piedi.

Dunque: il risultato era atteso, anche se non in queste proporzioni.

Vari fattori vi hanno contribuito. In particolare, se non nell’affluenza, quantomeno nel consenso a Vladimir Putin, anche la scelta, per esempio, sui nomi degli altri candidati. Quello del PCFR, per esempio: Nikolaj Kharitonov, che ha raccolto il 4,31%. Difficile sfuggire alla sensazione che il PC zjuganovista avesse intenzionalmente candidato un settantacinquenne siberiano, ex esponente del Partito agrario, con il preciso proposito di non rosicchiare nemmeno un punto percentuale alla vittoria di Putin. Già la candidatura dell’industriale “kolkhoziano” Pavel Grudinin, nel 2018, aveva fatto storcere la bocca a molti, nello stesso PCFR; ma il suo 11,77% aveva poi accontentato i più. Questa volta, già due mesi fa, i comunisti del RKRP avevano proposto al PCFR di orientarsi su una candidatura accettabile alla maggior parte delle organizzazioni di sinistra: ma non c’è stata risposta.

Insomma: cosa dice l’affluenza eccezionale alle presidenziali e il voto compatto per il Presidente “uscente”?

In primo luogo, dice una cosa molto semplice, che gli stessi liberali occidentali dicono sempre doversi ricordare, ma che poi sono i primi a scordare al momento opportuno. Cosa? Di fronte all’ «attacco, il potere è rimasto fermo e il popolo fedele». Di fronte agli attacchi concentrati delle élite demoliberali occidentali e dei cosiddetti “partigiani russi filo-ucraini” (non fa ridere come qualifica? Non ricorda i “risoluti combattenti” del cosiddetto Esercito russo di liberazione del generale Andrej Vlasov, inquadrati nella Wehrmacht?) contro le città confinarie russe, gli elettori si sono convintamente raccolti attorno al «potere rimasto fermo».

Sono queste le parole di Carl von Clausewitz, a proposito della disfatta di Napoleone in Russia nel 1812. Con altra terminologia, ma significato simile, si era espresso così nelle memorie postbelliche anche il generale della Wehrmacht Hermann Hoth, che nel 1941 aveva diretto le divisioni corazzate su Mosca e che poi ammise: «all’inizio della campagna riponevamo la nostra principale speranza non sui carri armati, ma sul fatto che Stalin fosse preso dallo spavento, addivenisse a qualunque compromesso per salvare il potere, e il popolo russo non avrebbe difeso quello stato che non considera suo».

Clausewitz aveva avanzato una tesi molto chiara: la Russia poteva esser vinta solo dall’interno. A prima vista, parrebbe che gli euro liberali, mentre avanzano minacce sempre più sfacciate di interventi armati diretti contro la Russia, abbiano compreso quella lezione. La famigerata Victoria Nuland, aveva cominciato a teorizzarla già da anni, insistendo sulla necessità di far presa, anche attraverso le reti social, sulle generazioni più giovani. Sembra che oggi, in Europa, abbiano deciso di rinnovare quel percorso. Solo, hanno decisamente sbagliato i soggetti: i Khodorkovskij, le vedove Navalnyj, i Kasparov, ecc. hanno la stessa presa in Russia dei Pittella, dei Fassino, Quartapelle, Picierno & Co. in Italia, che contribuiscono (spesso in piena coscienza) a far sì che «il popolo rimanga fedele» al potere. Per quanto riguarda le questioni italiane, rimandiamo ad altra sede.

Per quanto riguarda il voto russo, più che ovvia la reazione, ad esempio di Viktorija Nikiforova che, su RIA Novosti, elenca per nome gli esponenti occidentali da doversi ringraziare per il risultato del 17 marzo: il Segretario di stato USA Antony Blinken, con le sua sfacciate dichiarazioni sul fatto che gli «USA non riconosceranno mai le false elezioni che la Russia tiene nei territori occupati dell'Ucraina»; proprio lì si sono avute le percentuali più alte. E poi lo stesso Joe Biden, che ha affibbiato a Putin i titoli più ignobili: ecco, «il popolo è rimasto fedele». L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e i capintesta del G7, che hanno urlato di non riconoscere mai Putin come presidente. E poi quegli intelligentoni dell’intelligence (?) golpista ucraina, che hanno lanciato attacchi contro le zone di confine russe proprio alla vigilia del voto. Un forte grazie a tutti loro.

Ecco, scrive Nikiforova: decine di milioni di persone hanno detto in coro all'Occidente collettivo di stare lontano dalla Russia, che «la tua influenza neocoloniale è finita, il tuo potere morbido non funziona più, il tuo potere duro sta bruciando nei campi del Donbass… noi sosteniamo il nostro Comandante in capo». Così che, scrive Nikiforova, , l'Occidente collettivo è venuto a trovarsi in una posizione alquanto scomoda, di fronte al mondo intero: ora è impossibile continuare a dire che non stanno combattendo contro la Russia, ma «contro Putin».

Difficile anche non concordare con l’analista dell’agenzia REX, Mikhail Demurin, sulla scontata reazione degli elettori russi di fronte al nuovo “Drang nach Osten” contro il proprio paese: una reazione contro «l'Occidente fattosi sfrontato, che ha deciso di schiacciarci definitivamente».

Altro discorso: vedremo come Vladimir Vladimirovic saprà amministrare la vittoria, soprattutto sul terreno sociale e saprà conservare il potere delle élite borghesi russe contro il borghese “Occidente collettivo” e cosa questo significherà per milioni di lavoratori russi.

Dunque, attacchi dall’esterno e tentativi di farsi strada all’interno. Anche il politologo Anton Orlov, su Svobodnaja Pressa, ricordando come lo stesso Putin in più occasioni abbia ribadito che non è possibile vincere la Russia sul campo di battaglia, ma solo dall’interno, constata che il voto presidenziale è stata la risposta ai tentativi esterni di far vacillare la Russia. È impossibile «conquistare la simpatia dei russi con le sanzioni, cioè, di fatto, introducendo restrizioni contro i cittadini comuni… pertanto, il voto non è altro che la risposta dei russi alle sfrontate pressioni occidentali».

Insomma: se vogliono sconfiggere la Russia devono per forza agire dall’interno: si tratta però di scegliere i cavalli giusti; e non è così facile come credono.

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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