Terrorismo a Mosca. Quello che gli esecutori, committenti e intermediari non hanno capito della Russia

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Terrorismo a Mosca. Quello che gli esecutori, committenti e intermediari non hanno capito della Russia

 

di Fabrizio Poggi

 

Alcune semplicissime osservazioni a proposito dell’attentato di Mosca, anche “terra-terra” si può dire, mutuate da varie “fonti”.

Le sanzioni euroatlantiche contro la Russia hanno dimostrato di non avere particolari effetti sull’economia russa, mentre ne hanno di sempre più manifesti su quelle “europeiste”. Anche i miliardi di dollari e di euro sottratti alla spesa pubblica e gettati nel calderone del complesso militare-industriale occidentale per rimpinguare di armi i nazigolpisti di Kiev, dimostrano di non raggiungere l’effetto proclamato. Non funziona nemmeno la chiamata urbi et orbi a “stringersi attorno all’Ucraina”: le masse popolari e i lavoratori occidentali non intendono più pagare il “sostegno all’Ucraina aggredita” con il precipitare dei propri livelli di lavoro e di vita. Tanto più che anche la famosa “controffensiva di primavera” del 2023, a suo tempo presentata come moderna Vergeltungwaffe in veste banderista, si è risolta in una disfatta dietro l’altra per le truppe ucraine, rinsanguate di giovani e anziani accalappiati per le strade, privi di ogni motivazione e anzi assolutamente contrari a morire per gli interessi delle cricche euroamericane e delle élite oligarco-naziste di Kiev. Cosicché, anche il martellamento propagandistico sui “valori occidentali sotto attacco imperialista di Mosca” deve formalmente cambiare di impostazione, virando dal “dovere di difendere Kiev”, all’aperta chiamata alle armi contro “Mosca che minaccia l’intera Europa”.

Ecco allora che, di fronte al fallimento di tutte le “strategie” fin qui tentate, si ricorre alla via del terrorismo: gli assalti dei neo-vlasoviani “partigiani russi filo-ucraini” alle cittadine confinarie della regione di Belgorod, in vista delle elezioni presidenziali russe e l’attacco in “stile islamista-caucasico” del 22 marzo, ai confini nordoccidentali della periferia di Mosca, a voto concluso. L’obiettivo è quello di cercare di aprire un solco tra la popolazione e il Cremlino, che porti a una rivolta interna “euroatlantista”: un obiettivo che i clan liberal-europeisti della “dissidenza” russa perseguono per altra via, puntando forse non tanto a far presa sulle masse dei lavoratori, che dovrebbero invece rimanere atterrite dai fiumi di sangue dei raid terroristici, quanto piuttosto sulle congreghe oligarchiche che più perdono dalla contrapposizione Washington-Bruxelles-Mosca. Del resto, già nel 2014, i “più fini” cervelli yankee, di fronte ai ripetuti smacchi di attacchi diretti (all’epoca, ancora non armati) vedevano quale unica soluzione «una pallottola sparata alla nuca di Putin» da qualcuno degli oligarchi russi più vicini alla cerchia presidenziale.

Ma, sia con una strada che con l’altra, “dissidenza” o terrore, l’effetto più probabile è esattamente contrario a quello voluto e porta, volenti o nolenti, al riproporsi della famosa formula: «il potere rimase saldo e il popolo fedele», così che il nemico, alla fine dei conti, non raggiunge nessuno degli obiettivi postisi.

Irina Alksnis, su RIA Novosti, osserva semplicemente che l’Occidente è venuto a trovarsi di fronte a una tale disfatta - militare, geopolitica, economica - nella propria guerra contro la Russia, da sentirsi minacciato nelle finanze e in «tutti i privilegi derivanti dalla leadership globale»: una minaccia di rapido collasso generale, non solo militare. Così, le uccisioni di civili nelle zone confinarie, prima, e ora l’eccidio del “Krokus”, non sono che il tentativo disperato di «fiaccare il nostro popolo», ma finiscono per ottenere l’effetto contrario, spingendo i russi a serrare ancor più le file.

E uno dei veterani dei social russi, il perenne “La voce di Mordor”, ha buon gioco nell’affermare che esecutori, committenti e intermediari della strage del 22 marzo non hanno capito e non capiscono nulla della Russia.

Questo, indipendentemente da chi realmente siano gli esecutori materiali e a quali “alternative” religiose-nazionalistiche dicano di far riferimento, tra le altre cose, contravvenendo al rituale islamista di farsi uccidere sul luogo della strage e fuggendo così platealmente verso il confine ucraino, quasi a mettere alla prova la perspicacia degli investigatori, come a dire: “saranno loro una volta più astuti, o noi due volte più stupidi?». Quanto poi a committenti e intermediari, rimangono pochi dubbi, tanto che il 23 marzo la CNN, oltre ad imboccare gli “oceanisti” italici sull’asserto che la Russia utilizzerà l’attentato come ulteriore giustificazione del conflitto in Ucraina, pronostica addirittura nuove stragi contro aerei e scuole.

Sia come sia, la strada è segnata: da un lato, tentare sempre di nuovo lo sfaldamento della società russa – qui non si tratta delle contrapposizioni di classe, ben presenti, e del carattere di classe del potere eltsiniano-putiniano, pur coi seri distinguo tra i due periodi della storia post-sovietica – portando il terrore in casa, data l’accertata impossibilità di resistere sul campo di battaglia; dall’altro lato, preparare i paesi liberal-europeisti alla guerra aperta, inculcando nelle proprie popolazioni il dogma della “inevitabilità” della guerra, del suo carattere “sacrosanto” per i “valori occidentali” e, soprattutto, della “normalità” di una guerra contro la Russia.

Ma, quegli imbecilli che si ritrovano il pomeriggio a smarronare nelle sale da tè di Bruxelles, Parigi, Roma o Londra, si pongono la elementarissima domanda di cosa possa significare una “guerra con la Russia”? Non sono state sufficienti le campagne di Napoleone e di Hitler, a fornire qualche minima lezione di intelligenza? Lasciamo stare la carneficina in cui, nel 1914, i capitali anglo-francesi coinvolsero lo zarismo, i cui generali, salvo rarissime eccezioni, mandarono al macello i propri soldati senza una qualche strategia che non fosse quella del bestiale massacro. Ma, oggi, quegli imbecilli, pensano forse che poche centinaia di migliaia di “professionisti della guerra” e mercenari tagliagole occidentali potrebbero riuscire a fare in Russia quello che i nazisionisti israeliani stanno facendo coi civili palestinesi?

In una guerra “convenzionale” – non parliamo nemmeno di un conflitto nucleare – in cui i “potenti” carri armati euro-yankee verrebbero liquidati prima ancora di mettersi in marcia, in cui a ogni missile lanciato da ovest si risponderebbe con quattro-cinque missili partiti da est, quelle poche centinaia di migliaia di “professionisti” (pensano forse di riattivare la leva obbligatoria, per far fare ai giovani dei paesi europei la fine dei poveri giovani ucraini che Washington impone a Kiev di mandare al macello? E, anche in quel caso, quanti anni sarebbero necessari per cercare di avere interi eserciti di leva? E con quale “spirito guerresco” i nostri giovani partirebbero per il fronte degli interessi militar-finanziari del capiale europeo?) si impantanerebbero senza scampo nelle pianure russe prima ancora di trovarsi di fronte alcune decine di milioni di soldati russi che, a differenza degli inermi civili palestinesi, saprebbero bene cosa contrapporre ai nuovi nazi-europeisti: ecco, in una simile malaugurata guerra, i novelli Napoleonhitleriani troverebbero pane per i loro denti e, purtroppo, anche per i nostri.

Quegli imbecilli di Bruxelles, Parigi, Roma o Londra (non i cervelloni di Washington, che sanno bene come servirsi della carne da cannone altrui) anche senza bisogno di andare troppo indietro nel tempo, non hanno imparato nulla della lezione impartita appena una settimana fa dal voto presidenziale in Russia, anche volendo accettare la necessaria tara di percentuali da verificare?

Quegli imbecilli, non hanno ancora imparato la lezione de «il potere rimasto saldo e il popolo fedele», che si ripete ogni qualvolta i russi si sentano attaccati dall’esterno e percepiscano l’attacco come portato a loro stessi in prima persona, al di là di chi sieda al Cremlino?

E c’è da star sicuri che, questa malaugurata volta, i milioni di uomini russi che prontamente correrebbero alle armi per respingere l’aggressione, non si affiderebbero nemmeno al cosiddetto “piano scita” strategico di erodotiana memoria: non lascerebbero al nemico né il tempo né il modo di penetrare in profondità in territorio russo, ma lo accoglierebbero, come dovuto, sulla soglia di casa.

Imbecilli! 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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