Nazionalizzazione di Alitalia. Tre domande al ministro Toninelli

Nei giorni scorsi il ministro dei trasporti, il 5 stelle Toninelli, ha dichiarato la volontà del governo di nazionalizzare al 51% Alitalia. La questione della nazionalizzazione della ex compagnia di bandiera non è una novità ed è tornata prepotentemente in auge da quando la sua privatizzazione del 2009, realizzata dal Governo Berlusconi con i cosiddetti “capitani coraggiosi” della CAI, si è rivelata un vero disastro per la compagnia, che negli anni ha continuato a licenziare migliaia di dipendenti.


Il passaggio di mano del 2014, con l’entrata di Etihad e la partecipazione dello stato con Poste Italiane non ha migliorato di nulla la tragica situazione in cui inesorabilmente versa la società. Renzi da premier era riuscito addirittura a spacciare questa nuova acquisizione con i partner degli emirati come un “nuovo decollo per l’Italia” e, come per ogni suo grande annuncio, si sono visti i risultati tanto che ad oggi Alitalia perde circa un milione di euro ogni giorno.


All’annuncio di nazionalizzare Alitalia al 51% si sono scatenati contro Toninelli (di certo non uno dei ministri più apprezzabili e svegli del governo) cori unanimi da parte dei detrattori dell’esecutivo, gridando allo sperpero del denaro dei contribuenti e richiamando vetusti slogan sull’inefficienza dello Stato in economia.


Uscendo da questa perversa logica per cui se il governo dice A bisogna obbligatoriamente dire B, mi pare doveroso domandare al ministro come nei fatti intenda portare avanti questa iniziativa:


1) Quale ente o ministero si occuperà dell’acquisizione? (MIT, MEF, CDP)


2) Quale è il piano industriale e in base a quale programmazione economica si effettua la nazionalizzazione?


3) Quale sarà il futuro dei lavoratori?


La storia insegna che l’intervento dello Stato in economia non può prescindere da una adeguata programmazione e pianificazione dell’intervento. Il dubbio forte che sovviene è se Cassa Depositi e Prestiti, Ministero delle Finanze, Ministero dei Trasporti, abbiano le capacità di occuparsi efficientemente di una questione enorme come la pianificazione economica. Un tempo c’era un ministero apposito, quello delle partecipazioni statali e, soprattutto, c’era l’IRI, il gigantesco gruppo finanziario dello Stato che controllava e gestiva gran parte dei settori appartenenti al pubblico.


Per noi comunisti le nazionalizzazioni e il controllo dell’economia sono questioni dirimenti e fondamentali per costruire un paese rigenerato e rinnovato. In nome di una giusta opposizione a questo governo, è nostro compito incalzare lo stesso su ciò che più ci sta a cuore e far venire alla luce le contraddizioni che vivono in esso.


di Nicolò Monti, Segreteria Nazionale FGCI

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