Lockdown e adoloscenti. Come in un macabro videogioco (ma è la realtà)

31 Marzo 2021 09:00 Sara Reginella

Durante questi mesi di lockdown, si è parlato spesso delle problematiche psicologiche ed evolutive dei più piccoli, ma non a sufficienza di quelle riscontrate nella popolazione adolescente.

Eppure, la situazione allarmante dovrebbe spingerci a uscire dai cori da stadio che vedono gli “aperturisti” delle scuole aperte contrapporsi ai “rigoristi” che le vogliono chiuse, per pensare a sistemi in cui la salute mentale dei più giovani sia garantita, ma in sicurezza.

Questo tipo di riflessione s’impone a partire da elementi sempre più tragici.

Secondo i dati forniti dalla Fondazione Mondino Istituto Neurologico Nazionale IRCCS di Pavia, infatti, nei giovani le richieste di ricovero per autolesionismo, da ottobre 2020 a gennaio 2021, sono aumentate del 50%, rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente.

Dall’indagine emergono, inoltre, alterazioni del contenuto del pensiero, quali allucinazioni e dispercezioni, sintomi dissociativi, agitazione, disturbi del sonno e incubi.

Il quadro fornito dalla Fondazione è allarmante, eppure la questione relativa ai danni psichici subiti dagli adolescenti in lockdown sta venendo fortemente sottovalutata.

L’interruzione del processo evolutivo causato dall’isolamento si connette a un blocco nello sviluppo dell’identità, in un mondo in cui viene considerata ormai normale l’esperienza di giovani che da oltre un anno vivono intrappolati in una dimensione incorporea mediata dal web.

Agli adolescenti è così impedita la possibilità di crescere a livello interpersonale, d’instaurare nuove e più mature relazioni e acquisire ruoli sessuali adulti, in un percorso di svincolo dai propri genitori.

In questo quadro, inoltre, il processo di maturazione identitaria, anziché avvenire anche attraverso il confronto con l’altro, avviene in modo anomalo, attraverso l’immaterialità del mondo virtuale e il raffronto con la vacuità di personaggi, foto, profili e schizzi di personalità annacquate e prive di quell’autenticità che solo l’esperienza corporea può fornire.

Non stupisce dunque che a fronte di un’esistenza dematerializzata e dematerializzante, e a fronte di un inevitabile impoverimento cognitivo legato alla superficialità dei processi di elaborazione connessi all’apprendimento al computer, molti giovani si stiano spegnendo e, come rilevato dallo studio di cui sopra, siano sempre più vittime di fenomeni dissociativi.

Trascorrere giornate (e spesso nottate) connessi a un computer o a uno smart-phone tra lezioni, app, videogiochi, chat e videochiamate è pericoloso, non meno dell’abuso di sostanze psicoattive.

Sempre più spesso vengo contattata da genitori allarmati per l’uso smodato che i giovani fanno di videogames, il cui utilizzo eccessivo, nel tempo, può associarsi ad alterazioni della coscienza, depersonalizzazione, perdita del senso d’identità, in una dimensione, quella del web, in cui anche l’assenza di vincoli spazio-temporali e la possibilità di anonimato aumentano i rischi di perdita del contatto con la realtà.

A ciò si aggiunge il fatto che i problemi connessi alla dipendenza dal web richiamano esperienze non meno gravi di quelle connesse alla dipendenza da sostanze.

Va detto, infatti, che le condizioni psichiche esperite sono assolutamente analoghe e vanno dalla tolleranza all’astinenza fino al craving, collegato, quest’ultimo, alla necessità di un accesso al web sempre più frequente e per periodi più lunghi.

Privare i più giovani dell’esperienza creativa e ricreativa è pericoloso e i danni psichici non si limiteranno al breve termine.

Pertanto sarebbe davvero fondamentale ritrovare la ragione e pensare a sistemi differenti, in cui la relazionalità sia garantita in sicurezza e non a scapito della salute fisica. Questo avviene già in paesi come la Francia, in cui i minori sono sottoposti a test salivari nelle scuole, aspetto che, anziché aumentare il contagio, consente di interromperne la catena.

Ma analizzare problemi e pensare a soluzioni richiede una lucidità che in alcuni casi, nella bagarre tra “rigoristi” e “aperturisti”, si sta perdendo.

Così, anziché comprendere, risolvere e ascoltare, non si fa che guerreggiare.

Come in un macabro videogioco.

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