Il blocco dei cieli, un altro capitolo delle “sanzioni”

1997
Il blocco dei cieli, un altro capitolo delle “sanzioni”

Questa storia, che riguarda chi scrive, serve a illustrare uno degli aspetti più insidiosi e pervasivi delle misure coercitive unilaterali, imposte dagli Stati uniti nel loro ruolo di gendarme del mondo: la persecuzione e il bloqueo contro gli internazionalisti che “sostengono paesi sanzionati”. È questa, infatti, la motivazione politica che ha portato chi scrive a essere bloccata all’aeroporto, a novembre 2009, mentre tentava di partire da Roma per Cuba, con un volo Air Europa con scalo a Madrid, che pure non “sorvolava” lo spazio aereo nordamericano.

 Impossibile, allora, procedere al check-in dalla Spagna all’Avana. Il cablogramma ricevuto dai funzionari della compagnia, all’aeroporto di Roma-Fiumicino, diceva: “Washington impedisce il check-in del passeggero”. Una settimana dopo, un secondo viaggio per Caracas, paese nel quale chi scrive si recava regolarmente da oltre 10 anni, era stato bloccato con le stesse modalità: appena inserito il passaporto, compariva la scritta “Allerta rossa”.

Ne era seguita una vertenza giuridica che aveva messo a nudo il perverso mondo delle “liste nere” nel quale chi scrive era stata inserita in base a una terza tornata decisa da Trump nell’ultima parte del suo mandato, per cui si cominciava a “sanzionare chi sostiene paesi sanzionati”: di qualunque paese fossero, evidentemente, e alla faccia dei famosi “diritti”. In quel caso, infatti, di diritti se ne stavano violando un bel po’: quello all’informazione e alla cultura; alla libera circolazione, al libero scambio, eccetera eccetera.

 Impossibile, soprattutto, conoscere ufficialmente l’origine dell’imposizione. Washington, previa azione legale, risponde infatti solo alle migliaia di suoi cittadini che, per varie e insondabili ragioni, sono stati inseriti nelle “liste nere” e non possono viaggiare neanche nel loro paese. Agli altri, niente. A tutt’oggi, infatti, l’avvocato Alessandro Mustillo, che ha osato assumere la difesa di chi scrive e di opporsi allo strapotere nordamericano in un paese di assoluto vassallaggio agli Usa, non ha ricevuto risposta.

E ora, un nuovo blocco: chi scrive, diretta a Caracas, è stata rispedita indietro all’aeroporto di Istanbul. A nulla è servita la “carta d’imbarco transitoria” emessa da Turkish Airlines a Roma, e mostrata all’aeroporto di Istanbul. Un alto funzionario turco ha intrattenuto una lunga e articolata conversazione telefonica con un suo omologo a Washington, ossessionato principalmente dall’idea che la viaggiatrice volesse recarsi a Cuba. Mentre lo insultava mentalmente, chi scrive rispondeva di no.

Dopo un’ora, il giovane funzionario turco ha mollato la presa, infastidito e impotente, guardando la viaggiatrice frustrata con una certa comprensione, e proponendo di ritentare ventiquattr’ore dopo, la notte successiva, quando ci sarebbe stato un volo diretto, e la compagnia, forse, poteva decidere in relativa autonomia. Ma con quali garanzie? La passeggera lo avrebbe scoperto solo l’indomani.

Guardando quel giovane uomo, visibilmente contrariato dall’accaduto, chi scrive rifletteva sulle misure coercitive unilaterali. Una miscela opaca e mefitica, che lascia ampi margini discrezionali – alle banche, alle imprese, alle polizie – per piegare la misura in senso ancor più restrittivo, ma non offre possibilità di scappatoie perché limita persino la “compassione” umana. In un mondo informatizzato, improntato alla globalizzazione capitalista, le possibilità di controllo avvengono in tempo reale. E lo “stigma”, una volta impresso, difficilmente verrà cancellato con lo stesso automatismo con il quale è stato applicato.

Inoltre, il meccanismo esclude la possibilità che l’essere umano deputato ad applicarlo – sia poliziotto o funzionario – possa decidere di non farlo, qualora rimanesse impressionato dall’ingiustizia che sta perpetrando. In questo secondo caso, infatti, incorrerebbe in un atto illegale, e potrebbe subire conseguenze della stessa portata.

Per paradosso, la sopraffazione originaria – l’imposizione di misure coercitive unilaterali illegali – provoca una catena di altre operazioni illegali, imposte come leggi e ordinamenti. È l’eccezione che diventa norma. È il far west travestito da “democrazia”.

Una tendenza sostenuta  facilitata dall’insieme di regole economiche internazionali, stipulate nel 1944 tra i principali paesi industrializzati del mondo occidentale con gli accordi di Bretton Woods, evolute ulteriormente nel corso dei passaggi che hanno portato alla globalizzazione capitalista. Oggi, sono davvero poche le compagnie aeree che non abbiamo una partecipazione economica degli Stati Uniti.

Una tendenza che, in Europa, ha avuto un’accelerazione nel corso degli anni ’70 e dell’ondata rivoluzionaria che ha messo al centro la questione del comunismo e della presa del potere in vari paesi europei, a cominciare dall’Italia. La guerra sporca condotta dalla Cia e dalle sue diramazioni internazionali per combattere il “nemico interno” – il comunismo – si è saldata sempre più agli interessi del grande capitale internazionale e del complesso militare industriale, in qualche modo “istituzionalizzando” la legislazione dell’”emergenza”.

Non ci siamo sentite vittime, sapevamo di combattere una guerra senza quartiere. Eravamo, però, allora, parte di un progetto collettivo, nessuno si sentiva solo di fronte alla sopraffazione. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il dilagare dell’economia di guerra e del caos provocato dalle politiche imperialiste a livello planetario (e soprattutto nel sud globale), gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle negli Stati Uniti, hanno fornito il pretesto per una nuova stretta, per una nuova accelerazione della società del controllo, come correlato necessario alla protezione degli interessi imperialisti.

Allora, Washington impedì agli “indesiderati” di mettere il piede sul suolo nordamericano. In un secondo tempo, ha impedito il sorvolo dei “suoi” spazi aerei. Nell’ultimo periodo del mandato di Trump, ha poi deciso di “sanzionare chi sostiene paesi sanzionati”. Si è avuto, per esempio, il caso di un imprenditore italiano, ignaro di politica, che si è visto bloccare tutti i conti dal … ministero del Tesoro Usa, per un caso di omonimia con un altro impresario che viveva in Svizzera e intratteneva rapporti commerciali con il Venezuela. E poi, un’ulteriore e inedita accelerazione: il sequestro e la deportazione di un diplomatico, Alex Saab.

… E poi, per chi scrive, le spese del cambio di biglietto, le difficoltà linguistiche, il problema dei bagagli, la lunga sosta in aeroporto, soprattutto l’incertezza. Rabbia, impotenza, impossibilità di decidere e di agire. Tornare indietro? Mollare la presa? Neanche per sogno. Tentare fino all’ultimo, cercare uno spiraglio, e se non c’è, inventarselo. Intanto, c’è la vicinanza dei compagni e delle compagne, dentro e fuori dal Venezuela. E il messaggio di Chávez, a dieci anni dalla sua scomparsa, ripreso con forza dalla rivoluzione bolivariana: se ci cacciano dalla porta, entriamo dalla finestra.

E così, di nuovo al gate, la notte successiva. Le giovani hostess della compagnia aerea abbracciano la viaggiatrice: “Tutto ok – dicono – puoi passare”. La compassione che unisce i popoli di fronte all’ingiustizia: un seme di rivolta?

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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