Giacomo Gabellini, "Taiwan: la provincia ribelle" - Recensione di Marx 21

di Marco Pondrelli - Marx21





L’ultimo libro di Giacomo Gabellini, uscito in un momento molto opportuno, affronta da una prospettiva sia storica che politica la questione di Taiwan. Come abbiamo avuto modo di sottolineare la lettura data dei media occidentale del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese ha appiattito la complessa relazione di Xi Jinping solo su questo tema, distorcendo in modo palese le affermazione del Segretario generale del Partito.

Gabellini ponendosi in una prospettiva storica approccia il problema focalizzando la sua attenzione sul secolo dell’umiliazione, laddove la Cina passò dall’essere una Potenza mondiale a divenire preda degli appetiti occidentali. Dalla metà dell’ottocento alla vittoria della Rivoluzione del 1949 l’ex Impero celeste viene umiliato e depredato. Le odiose guerre dell’oppio oltre a costare milioni di morti provocano il distacco di intere regioni, quando oggi alcuni politici italiani sostengono che ad Hong Kong la Cina non rispetta gli impegni presi, dovrebbero approfondire la storia per conoscere come Hong Kong venne strappata dalla Cina, come visse sotto il dominio britannico e come tornò ad unirsi alla propria Madre-Patria.

Il dominio occidentale prosegue con la drammatica occupazione giapponese, l’intervento statunitense nella Seconda Guerra Mondiale fu dovuto proprio alla paura che nascesse uno Stato egemone nel Pacifico. L’importanza del Pacifico segna anche la politica statunitense nel dopoguerra, in questo periodo storico al contenimento del comunismo si unisce l’economia di guerra, per Washington l’investimento nella difesa diventa lo strumento migliore per garantire il benessere interno. L’Autore è un profondo conoscitore degli Stati Uniti la cui politica è fondamentale per capire non solo i rapporti fra la Cina e Taiwan ma più in generale gli equilibri asiatici.

Dopo la vittoria dei comunisti nel ’49 le truppe di Chiang Kai-shek fuggono sull’isola, Gabellini ha il merito di riportare la durissima repressione che le truppe del generale nazionalista compirono sulla popolazione locale. È un episodio oggi pressoché ignorato ma che andrebbe maggiormente conosciuto. Dopo la nascita della Repubblica Popolare Cinese Taiwan diviene per gli USA un alleato essenziale, così si spiegano gli ingenti investimenti ed il sostegno militare fornito alla Provincia ribelle, scrive l’Autore: ‘tra il 1950 e il 1962, gli Stati Uniti erogarono all’isola ben 4 miliardi di dollari, di cui 1,5 destinati all’industrializzazione e 2,5 al rafforzamento dell’apparato militare’ [pag. 62-63]. Questo sostegno ha portato un grande benessere ‘il Pil pro-capite del Paese è passato dai 170 dollari del 1949 (più o meno equivalente a quello registrato in Congo) ai 13.500 del 1996 (un livello analogo a quello della Grecia) e ai 25.008 del 2018’ [pag. 65].

Se a livello economico si registrava un’apertura fino agli anni ’80 la situazione per quello che concerneva la democrazia rimaneva per usare un eufemismo problematica. Inoltre gli anni ’70 furono anni di grandi difficoltà con l’apertura degli Stati Uniti alla Cina e l’ingresso di quest’ultima nell’ONU con la conseguente espulsione di Taiwan. Negli anni ’80 mentre le riforme di Deng avevano provocato grandi cambiamenti in Cina, sull’isola vi furono aperture interne che si tradussero non solo nella concessione di alcuni diritti (ad esempio quello di scioperare) ma anche in un dialogo con Pechino. Questo dialogo di intreccerà con le politiche statunitensi che ne decreteranno la crisi.

Gli Stati Uniti interverranno per contenere il Giappone causando un rallentamento dell’economia nipponica, successivamente le politiche economiche di Washington produrranno la crisi delle cosiddette ‘tigri asiatiche’. Il deflusso di capitale verso gli Stati Uniti è parte della guerra per il mantenimento dell’egemonia statunitense, guerra che spesso, come nel caso ucraino, può diventare calda. Sono politiche ben riassunte dal generale Qiao Liang il quale sostiene che ‘la rigida osservanza della dottrina militare incardinata sul concetto «se il mio clima di investimento non è buono e la cosa non può essere cambiata entro breve, allora mi servirò della guerra per rendere gli altri posti peggiori»’ [pag. 102].

La crisi del modello Giapponese e delle ‘tigri asiatiche’ avviene in un contesto di crescita dell’economia cinese, la quale a differenza di quello che era accaduto a Tokyo è capace di aprirsi alle tecnologia ed ai sistemi produttivi occidentali ma senza liberalizzare i propri mercati. Questo rese la Cina impermeabile alla crisi delle Tigri asiatiche, rendendola poi capace nel 2008 di essere un fattore di stabilizzazione internazionale.

La Cina si va vieppiù caratterizzando come potenza economica e commerciale mentre gli USA scontano ‘il sostanziale fallimento in cui è incappata la “scommessa sul futuro” effettuata negli anni ’80 sotto l’amministrazione Reagan’ [pag. 212], se Washington ha spostato la sua azione politica dall’egemonia alla forza militare Pechino si presenta invece come importante partner economico di molti paesi. Sono illuminanti le parole dell’ex leader singaporiano Lee Kuan Yew che osserva ‘la Cina sta risucchiando i Paesi dell’Asia orientale – compresi Giappone e Corea del Sud – nel suo sistema economico in virtù del suo vasto mercato e del suo crescente potere d’acquisto’ [pag. 173]. Si pone in queste parole la contrapposizione fra USA e Cina con i primi che interpretano il conflitto come prevalentemente militare e la seconda come prevalentemente commerciale.

Non credo di forzare il pensiero dell’Autore affermando che è qui il cuore del libro, che spiega anche la politica cinese in Africa a cui viene dedicato un passaggio che personalmente spero possa diventare il prossimo libro di Gabellini!

Dopo avere descritto il contesto internazionale nell’ultimo capitolo si affronta il tema di Taiwan, chiarendo l’importanza simbolica e strategica che essa ha per la Cina. Se la politica cinese conferma il rafforzamento della cooperazione economica nella convinzione che l’incorporazione ‘si realizzerà nel momento in cui le condizioni di riveleranno sufficientemente mature’ [pag. 200], dall’altra parte gli Stati Uniti potrebbero tentare di creare uno scenario ucraino riconoscendo l’indipendenza di Taiwan. Le continue provocazioni, non ultime quelle di Nancy Pelosi, sono il segnale che questo potrebbe essere il prossimo fronte della guerra.


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