Addio alla scuola italiana di Asmara
di Daniel Wedi Korbaria
A pochi giorni dal mio arrivo ad Asmara, mia città natale, è accaduto un fatto storico.
La mattina del 7 ottobre 2021 alla presenza delle autorità italiane ed eritree è stata definitivamente ammainata la bandiera italiana dall'ultima roccaforte rimasta nella ex colonia primigenia: la Scuola Italiana. Parliamo della più grande Scuola Statale al mondo che vanta ben 119 anni di storia.
La cerimonia della consegna degli edifici scolastici è avvenuta alla presenza del nuovo Ambasciatore italiano Marco Mancini e del facente funzioni del Ministero della Pubblica Istruzione Pietros Hailemariam.
Per sapere come si sia arrivati a questa storica decisione sono andato a chiederlo sia al Ministro dell'Istruzione eritreo che all'Ambasciatore italiano. Entrambi mi hanno gentilmente ricevuto per offrirmi la loro versione dei fatti senza alcun astio né rancore.
Tutto ebbe inizio a marzo 2020 quando l'allora Dirigente scolastico, per sopire i malumori dei docenti dovuti alla paura del contagio da coronavirus, decise la chiusura anticipata di tutta la scuola senza però comunicarlo al Ministero dell'Istruzione e neanche all'Ambasciata italiana.
Così gli alunni della scuola italiana si sono ritrovati da un giorno all’altro a zonzo per la città mentre quelli delle scuole statali continuavano a frequentare le loro lezioni. A questo punto con lettera scritta il Ministero dell'Istruzione ha comunicato, sia alla Scuola che all’Ambasciata, la revoca della licenza dall'insegnamento e il 31 agosto 2020 con un decreto l'Ambasciata italiana ha annunciato la chiusura temporanea della scuola.
Secondo il Ministro Pietros, dopo un anno di lockdown dovuto alla pandemia, la scuola statale eritrea il 7 aprile 2021 ha riaperto i suoi cancelli permettendo così agli studenti di frequentare le lezioni fino a luglio mentre i 1.200 studenti della scuola italiana sono rimasti a casa con il presentimento che il loro edificio scolastico non avrebbe serbato alcun ricordo dei loro volti e persino dimenticato i loro schiamazzi.
L'Ambasciatore Mancini mi ha detto invece che, nonostante il lockdown, gli alunni dell'ultimo anno e della terza media hanno potuto fare gli esami di maturità e di licenza media perché l’Ambasciata aveva organizzato gli esami online con una commissione composta da docenti italiani in Addis Abeba e in Italia. E mi ha assicurato che un gran numero di loro abbia passato gli esami.
Il 13 settembre però, giorno dell'inizio del nuovo anno scolastico in Eritrea, quegli stessi alunni rimanevano ancora a zonzo poiché non si era trovato nessun accordo fra le due parti.
A questo punto il Ministero dell'Istruzione, poiché si trattava comunque di studenti eritrei, ha chiesto e ottenuto la consegna degli edifici scolastici per poter iniziare l'anno scolastico.
"Era inutile tenere ancora chiuso l'edificio sapendo che gli alunni non vedevano l'ora di tornare in classe" mi ha detto l'Ambasciatore, dispiaciuto ma comprensivo.
Poiché però sono i ragazzi la parte più vulnerabile di tutta questa contesa diplomatica, per facilitare il passaggio al nuovo percorso formativo il Ministero offrirà tutto il suo aiuto concreto per integrare al meglio gli ex alunni della scuola italiana nella loro nuova realtà.
Secondo il Ministro Pietros il nuovo curricula scolastico prevede, per esempio, la sostituzione della storia, della geografia e anche della stessa letteratura italiana con materie più scientifiche ed in lingua inglese per far sì che gli alunni diventino ancor più competitivi e con la prospettiva del proseguo e dell’inserimento nei vari college del Paese.
È pur vero che gli alunni della scuola italiana, salvo rari casi di borse di studio concesse dall'Italia e eccezion fatta per i neodiplomati geometri, dopo il diploma non avevano alcuno sbocco professionale né tantomeno accademico.
Il dato più importante che è emerso dalle due interviste è che il contesto storico ora sia completamente cambiato.
La scuola, ricordiamolo, era nata nel 1903 per offrire educazione ai soli studenti dell'allora folta comunità italiana. Ma poiché oggi il 99% degli alunni è composto da cittadini eritrei, per il Governo si è reso opportuno riprogrammare il loro percorso formativo ed evitare la forma mentis di "eritrei bianchi" senza prospettive e senza competenze sulla storia e sulla letteratura del loro Paese.
"Noi rispettiamo la scelta del Ministero di volere nazionalizzare tutte le scuole private e di voler riprogrammare il percorso formativo degli studenti eritrei secondo le sue esigenze" dice l'Ambasciatore italiano Marco Mancini e ribadisce la sua buona volontà a voler continuare il lavoro e la collaborazione per inserire in futuro anche corsi professionali, perché c'è bisogno di formare ed avviare i ragazzi a professioni utili in Eritrea.
Sia il Ministro che l'Ambasciatore concordano nel dire che la chiusura anticipata è stata soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso perché questa particolare situazione si trascinava da anni. Era iniziata con l'arrivo di docenti non all'altezza ed è peggiorata con un degrado lento ed inesauribile manovrato dai burocrati della Farnesina che non hanno mai visto di buon occhio il rapporto tra Italia ed Eritrea. Anzi, questa debacle della diplomazia italiana è figlia di un amicizia mai nata sin dalla fine del colonialismo italiano nel 1941.
In questi ottant'anni infatti, oltre alla timida iniziativa di qualche politico che ha tentato invano di normalizzare i rapporti, si potrebbe dire che non ci sia mai stato nulla di buono tra i due Paesi storicamente legati nel bene o nel male.
In Italia, dal dopoguerra in poi, tutti i Governi della prima e della seconda Repubblica non hanno mai avuto nessun riguardo verso gli eritrei ed il loro infausto destino post coloniale: 30 anni di lotta di liberazione per i quali hanno sacrificato oltre 70mila combattenti e migliaia tra mutilati di guerra e civili massacrati.
A quell'epoca l’Italia non solo non concedeva lo status da rifugiato ma addirittura finanziava il Derg che bombardava con il napalm i figli e nipoti di quei centinaia di migliaia di Ascari eritrei caduti in Libia, Somalia, Etiopia ed Eritrea per il sogno imperiale italiano.
Anche negli anni post Liberazione i Governi italiani si sono sempre schierati con chi ha ostacolato l'autodeterminazione del popolo eritreo appoggiando sanzioni ed embarghi made in Usa.
A mio parere l'unica preoccupazione degli attempati della Farnesina, sulla chiusura della scuola italiana di Asmara, potrebbe essere non quello di aver perso l'ennesima influenza italiana in Africa ma di aver ricevuto uno schiaffo morale dalla loro ex Colonia primigenia che, fieramente, non si vuole più sottomettere come nel lontano infausto passato. Un gesto davvero intollerabile.
Il mio auspicio è che il nuovo Ambasciatore italiano, arrivato in Eritrea in pieno lockdown pandemico, possa contribuire con il giusto approccio alla normalizzazione dei rapporti bilaterali tra i due Paesi messi a dura prova dal suo predecessore (che in Asmara non ha lasciato certo un buon ricordo) sapendo che, come ha detto il Ministro Pietros, chiudere una Scuola non significhi rinunciare ad avere un buon rapporto di partnership e di collaborazione, anche negli scambi culturali, tra i due Paesi.