Appalti al ribasso e paghe da fame

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Appalti al ribasso e paghe da fame

 

di Federico Giusti

Come anche gli Enti pubblici si sono adeguati nel tempo alla logica, perdente, degli appalti al ribasso applicando contratti sfavorevoli con un calcolo del costo del lavoro che non prevede salario di secondo livello.

Prendiamo spunto da una vicenda sindacale, siamo in Toscana negli appalti del verde ove si applica il Ccnl delle cooperative sociali che non prevede la erogazione del buono pasto rinviandone la eventuale corresponsione ad un eventuale accordo tra sindacato e appaltatore.

Accade, e non è certo un caso isolato, che la stazione appaltante, Ente pubblico, abbia stanziato un budget risicato che a mala pena prevede l’adeguamento del costo orario al rinnovo contrattuale nel frattempo avvenuto con aumenti di gran lunga inferiore alla inflazione degli ultimi anni.

Non ci sono fondi destinati alla contrattazione di secondo livello, la stazione appaltante non ha aggiunto un euro a tale scopo e l’appaltatore può anche rifiutare la erogazione del buono adducendo come motivazione la scarsa disponibilità economica e il fatto che il contratto nazionale applicato non preveda l’obbligo per l’azienda, o cooperativa che sia, di erogare un ticket per i lavoratori, o lavoratrici, che operano fino a metà pomeriggio dalle prime ore del mattino.

Questo modus operandi è ormai imperante e a rimetterci sono solo i lavoratori degli appalti che vedono negato un diritto elementare come quello del buono pasto.

Ma capita sovente che sempre gli Enti pubblici, al momento di una gara, calcolino il costo del lavoro previsto dal contratto più sfavorevole e non tengano conto che lo stesso, nel frattempo, è stato rinnovato con incrementi da fame che, per quanto esigui dovrebbero essere calcolati, avviene sempre in Toscana in altri appalti all’ombra degli Enti pubblici. E se nel precedente contratto si applicava un diverso CCNL con paghe orarie maggiori, la rimessa economica per la forza lavoro è assicurata. Il rispetto delle clausole sociali diventa quindi parziali, la mera conservazione del posto non tiene conto anche delle retribuzioni in essere.

Una recente sentenza è intervenuta asserendo che le modifiche dei contratti collettivi, avvenuti dopo l’aggiudicazione della Gara, devono essere sempre presi in considerazione da parte del Rup ma si tratta di una mera consolazione in presenza di logiche imperanti destinati a calcolare il costo del lavoro sempre e comunque al ribasso.

Bisogna ricordare che nel caso delle proroghe contrattuali dovrebbe avvenire l’adeguamento delle paghe orarie con adeguati stanziamenti da parte della committenza ma le proroghe non tengono mai conto della situazione ossia del “rispetto dei minimi salariali inderogabili” sancendo di fatto una gestione dell’appalto al massimo ribasso con ripercussioni negative non solo sulla forza lavoro ma anche sull’appaltatore.

Nelle proroghe si consuma il misfatto, contratti di appalto siglati anni prima continuano ad andare avanti ben oltre il limite previsto senza alcun adeguamento dell’offerta ignorando i cambiamenti intervenuti non solo a livello contrattuale ma in generale ricalcolando i costi della impresa accresciuti dopo l’aggiudicazione.

Ora se la Sentenza prevedesse l’obbligo per la stazione appaltante di tenere conto delle variazioni contrattuali, analogo discorso andrebbe fatto per altri costi aggiuntivi dei quali l’appaltatore deve pur sempre sobbarcarsi. E troviamo insensato, a dir poco, che non sia quasi mai prevista una contrattazione di secondo livello legata al buono pasto, agli orari disagiati, ai passaggi di livello determinati dall’acquisizione di nuove professionalità……

Non parliamo di mere circostanze alla insegna della imprevedibilità ma di situazioni diffuse che almeno un Ente pubblico dovrebbe prendere in seria considerazione senza limitarsi al formale rispetto dei contratti applicati che sappiamo essere rinnovati con cifre irrisorie.

 

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