COVID-19, i tristi primati dell’Italia

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COVID-19, i tristi primati dell’Italia

 

di Marinella Correggia per l'AntiDiplomatico

Il saggio Covid-19 Modello Italia (di Marina Manera, edizioni V-piccola biblioteca della Torre, pag 224, euro 15) ripercorre i tristi primati italiani che nel biennio 2020-2021 hanno fatto dello Stivale un modello negativo nel mondo, da tutti i punti di vista: gestione pandemica, risultati sanitari, ripercussioni economiche, impatto psico-sociale. Con strascichi numerosi e dolorosi.

Anche chi all’epoca si era mantenuto lucido può aver dimenticato nel tempo tanti dettagli di quello sfoggio di «autoritarismo alla cinese ma con efficienza "all’italiana"», un misto di «tragedia e farsa» nel quale le disposizioni più repressive d'Europa che si pretendevano prevenzione e cura sono «andate a schiantarsi trascinandoci all'ultimo posto della classifica europea per decessi». Il saggio è certo destinato a risultare troppo indigesto a chi ha accettato convinto la manipolazione e dunque non ammetterà mai di essere stato vinto dall'inganno, ma la storia va ricordata: troppe volte, per dirla con Gramsci, «è maestra ma non ha allievi». Le domande che l'autrice rivolge alla fine di diversi capitoli servono un po' da Bignami pro-memoria; così come le centinaia di note.

La descrizione del metodo scriteriato messo in atto da governi, media, addetti ai lavori viene preceduta dal monito di Hannah Arendt: «Mentire ha lo scopo di far sì che nessuno creda più a nulla; ma un popolo così non può più distinguere il bene e il male ed è completamente sottomesso all’impero della menzogna». Un altro punto di riferimento dell'autrice sono i numerosi scienziati e medici che proposero tutt'altra maniera di affrontare l'emergenza. Ma anche il filosofo Giorgio Agamben che coraggiosamente ha parlato di «enorme esercitazione, laboratorio di ingegneria sociale, insieme alla militarizzazione territorio e alla segregazione delle persone».

Con i lineamenti di un giallo distopico, la ricostruzione inizia dalla comunicazione della Cina all’Oms il 31 dicembre 2019, circa un innominato virus. Si scatena allora l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ed entra subito in gioco l'Italia. Caccia all'untore, stato di polizia, lockdown con i mantra Io resto a casa e Andrà tutto bene, la paura che diventa patriottismo da stadio, profluvi di bandiere alle finestre, il governo padre amico medico salvatore e dispensatore di bonus, insieme ai famigerati, ridicoli Dpcm (un esempio: puoi visitare i parenti fino al sesto grado).

Eppure l’epidemiologo statunitense John Yohannidis, quando ancora l’emergenza era circoscritta alla sola Italia, aveva pur detto che quello che si stava facendo era contrario a quello che si sarebbe dovuto ragionevolmente fare (anche alla luce del diverso impatto del virus sulle diverse fasce di età e sui gruppi a rischio). Tempo dopo, decine di studi hanno confermato le sue previsioni. Ma l’Italia ha ignorato tutto ciò,fallendo: più chiusure, più aiuti dall’estero di ogni tipo (il governo Conte è stato capace di mendicare bene), eppure più morti. L’unico paese, poi, che ha mandato i medici allo sbaraglio nella prima fase, quella pericolosa.

Sin dai primi mesi, mentre la paura inculcata fa perdere la ragione ai più, nuove attrezzature diventano più importanti del pane: l’untuoso liquido disinfettante, le mascherine egoiste o altruiste, di certo un ottimo affare per il consulente governativo Arcuri, i tamponi universali, gli onnipresenti adesivi sul mantenimento delle distanze; i surreali e mai usati banchi a rotelle della ministra Azzolina. E naturalmente i camion militari per trasportare le bare; e i generali degli alpini messi a capo di una regia militare. Invece, non si pensa a distribuire nelle situazioni più a rischio, kit salvavita con saturimetro...

Inganni semantici a non finire caratterizzano la vicenda italiana. Per esempio i giochetti sui «malati asintomatici» (positivi al mitico tampone) o la «vigile attesa» (in duetto con la tachipirina), il contrarrio della tempestività (che avrebbe fatto la differenza fra malattia curabile e malattia piena di complicanze anche fatali), i mega-giochi sulle statistiche ufficiali («morto di Covid o morto con Covid»). E tanti difetti di logica come le mascherine anche all'aperto a bloccare la respirazione (per non parlare di chi faceva lavori pesanti) e in seguito l'imposizione del greenpass (ottobre 2021, i primi al mondo...): siccome il vaccino non preveniva il contagio (nessuno ha potuto negarlo anche se si è cercato di occultare questa certezza), perché allora nel modello Italia i non vaccinati venivano trattati da untori e tagliati fuori da tutto?

L'autrice si sofferma anche sullo stravolgimento della massima «prevenire è meglio che curare»: applicata alla vaccinazione anti-pandemica di massa e alla campagna di screening a tappeto (tamponi), assumeva tutt’altro significato, depistante oltre che costoso in termini di denaro e di salute.

Eppure, mentre la medicina sembrava aver perso la retta via ed era diventata una macchina per fare soldi ed errori, mentre governo e media si ponevano al servizio di Big Pharma (ancor prima dell'imposizione del vaccino, annunciato e atteso come il messia) c'era chi con grande sacrificio continuava a praticare il giuramento di Ippocrate. Nel delirio italiano. Medici disobbedienti ai protocolli fallaci indicavano la strada, permettevano di capire come si dovesse curata la Covid. Medici in prima linea (di nome e di fatto) che già dal mese di marzo stilavano linee guida per un trattamento domiciliare tempestivo, consegnato a casa in alcune province. Il gruppo per le terapie domiciliari. Tanti medici porta a porta inquadrati dall’associazione Ippocrate.org. Insieme ad altri colleghi all’estero, devono sopportare l’ostracismo rispetto ai trattamenti semplici, e il dileggio da parte di note riviste scientifiche internazionali, come Lancet (che sull’idrossiclorochina, per esempio, sarà costretta a scusarsi).

Nell’Italia del greenpass e dei Dpcm nasce anche una Commissione medico-scientifica indipendente (Cmsi) che studia la letteratura scientifica internazionale in materia di analisi dell’epidemia e di gestione della stessa; l’obiettivo è indicare errori e alternative; la Cmsi cerca anche di interpellare le istituzioni politiche e sanitarie. Invano.

Nell’appiattimento generale, l’autrice di Covid-19 Modello Italia richiama il coraggio della «più nutrita ribellione del periodo»: i portuali di Trieste contro il greenpass. Dei fuoriclasse, appoggiati da un'enorme manifestazione a Trieste, il 15 ottobre 2021. E tartassati.

Numerosi poi nel libro i riferimenti a un'altra «fuoriclasse»: la Svezia. Fin dall'inizio si dimostra a livello europeo un modello alternativo, di convivenza ragionata con il virus: niente lockdown, niente mascherine onnipresenti, niente isterie. Numerosi i tentativi di screditare la sua gestione (l'ambasciata svedese in Italia è costretta a protestare per le ripetute ingiurie).

Ulteriore paradosso: benché alla fine la Svezia si sia dimostrata un caso di successo quanto a contenimento della mortalità senza repressione sociale, a differenza dell'Italia, gli svedesi – con il loro epidemiologo capo, Anders Tegnell – sono stati gli unici al mondo a scusarsi per gli errori compiuti (non aver fatto abbastanza e in modo tempestivo nelle case di riposo per anziani). In Italia, nessuno si è scusato per il fallimento. A partire dai due presidenti del consiglio che hanno gestito quei due anni: prima Conte (pescato dai 5 Stelle fra gli oltre 200.000 avvocati italiani), poi Draghi, la cui storia è nota.

Nessuno si scusa e nessuno paga, nell’Italia che si riconferma un caso grave ma poco serio, a livello dei politici, degli esperti e della popolazione. Cade infatti nel nulla l’inchiesta della procura di Bergamo, alla quale si sono rivolti alcuni familiari delle vittime, contro esponenti governativi per omicidio colposo e diffusione colposa dell’epidemia. Tutto archiviato. E finisce in una bolla di sapone anche la Commissione parlamentare di inchiesta su Covid-19. Fra l’altro ne fa parte lo stesso avvocato Conte, come deputato.

Quando poi si arriva ai vaccini, al gran galoppo e senza vera sperimentazione, un ulteriore carico da 90 si aggiunge alle menzogne e all’autoritarismo. Obbligati alla vaccinazione per colpa del greenpass (green come dollaro?), i lavoratori sono costretti a piegarsi a firmare una liberatoria con il consenso (dis)informato. I vaccini sono protetti con lo scudo penale; immunità per i vaccinatori. La loro composizione è protetta da segreto militare! E a differenza di molti paesi, l’operazione vaccinale di massa, che prevede più richiami viste le mitiche varianti in rapida successione (una novità nella storia dei virus), non viene sconsigliata ai giovani e agli adulti giovani. Quando poi gli effetti avversi della somministrazione si sono rivelati non un’ipotesi complottista ma una concreta possibilità (seppur occultata il più possibile), si è arrivati a invertire l’onere della prova, facendola gravare sulle vittime. Mission impossible.

Lungo tutto il percorso, le multinazionali del farmaco, che da decenni animano il business più redditizio al mondo, intrecciano conflitti di interesse con gli altri attori della tragica farsa. Intanto l’Oms, ormai finanziata all’80% da privati. Poi i politici: macroscopico il conflitto di interessi maturato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, con la Pfizer; eppure il contratto per l’acquisto di 1,8 miliardi di dosi di vaccino a M-Rna non le ha impedito di vedersi rinnovare la nomina. Anche al di là dei farmaci, il business e E per l’Italia, si pensi ai banchi a rotelle introdotti da una ministra e alle mascherine farlocche di un consulente ministeriale.

Lo stesso capitale internazionale che controlla tutto – elenca l’autrice: banche, politica, complesso militare, università, case farmaceutiche, enti di ricerca, organizzazioni non governative… – controlla anche i media cosiddetti mainstream. Grazie a loro, in concorso con le istituzioni politiche e sanitarie, è stato facile garantire non solo disinformazione ma vera e propria censura; necessaria, perché «una popolazione ben informata non avrebbe aderito alle misure governative e avrebbe reso inattuabile il totalitarismo sanitario».

Quando poi la narrazione diventa insostenibile, ecco la guerra in Ucraina, febbraio 2022. E su Covid-19 cala il sipario. Ma in comune con la guerra, la pandemia ha avuto molti aspetti: in primo luogo gli interessi dei mastodonti finanziari – i padroni del mondo – che hanno visto lievitare i loro asset.

Ma perché è accaduto tutto questo? Come spiega il saggio nell'epilogo, non c'è bisogno di pensare al complotto di un grande vecchio, anche se viene voglia di farlo visto che ad esempio, sottolinea l'autrice, il coronavirus era di natura artificiale: uscito da un laboratorio. Lo indicava, fin dal marzo 2020, una email rimasta nascosta indirizzata ad Anthony Fauci, figura chiave negli Stati uniti durante l'emergenza. Il rapporto finale del sub-comitato ad hoc nominato dal Congresso statunitense, 520 pagine dal titolo After Action Review of the COVID-19 Pandemic: The Lessons Learned and a Path Forward, alla fine del 2024 ha concluso che «probabilmente» (likely) il virus è uscito dal laboratorio di Wuhan.

L'autrice precisa: «Non possiamo affermare – e neppure lo crediamo – che quello che è successo è stato programmato, ma possiamo affermare che un virus sfuggito dal laboratorio abbia scatenato la cupidigia e i velenosi semi piantati negli ultimi decenni abbiano trovato le condizioni ambientali adatte  per germinare e avviare le conseguense seguenti: espropriazione ulteriore risorse pubbliche, esproprio finanziario, rapina dei risparmi a vantaggio complesso militar finanziario; accelerazione del processo di dipendenza dai dispositivi informatici (Dad, smart working, Ai, teledicina), avvio di una stagione di emergenze senza continuità»: sanitarie, belliche, ambientali.

Insomma, hanno colto l'occasione imperdibile di tessere un governo mondiale basato sull’emergenza dove con la paura si potesse accelerare un processo di abbandono dei lacci democratici, in un contesto nel quale i cittadini sono sudditi e consumatori, schiavi di macchine, destinatari di beneficenza e indotti a rimanere soli davanti a uno schermo.

Ma dunque che fare? A questa domanda, che fra l'altro evoca per assonanza tristi riflessioni sul perché gli stessi marxisti ci siano cascati e si siano dimostrati privi dei necessari anticorpi, cercano di rispondere le ultime pagine del libro.

Non roviniamo la sorpresa e ci limitiamo a riportare l'invito dell'autrice a riscoprire, fra gli altri, La Boétie et Thoreau.

 

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