Crolla (si spera definitivamente) un modo di esercitare la giustizia
Nessuna sorpresa per la sentenza di appello, che demolisce, si spera definitivamente, un modo di esercitare la giustizia che ha contribuito a colmare di discredito una magistratura da tempo in preda a processi degenerativi.
Il teorema accusatorio degli allievi di Caselli, da Intercetto La Qualunque ai successori, era apparso inconsistente e scombiccherato a tutti i giuristi più autorevoli, e aveva trovato una fervida adesione solo nei circoli del giustizialismo forcaiolo, dalla versione hard del Fatto a quella soft di Repubblica nelle sue varie direzioni: in grado comunque di orientare per inerzia ancora un settore consistente dell'opinione pubblica che si autopercepisce "di sinistra".
Che la mitica "trattativa tra Stato e Mafia" non fosse un reato era già chiaro prima, ed era chiaro in primo luogo ai formulatori del teorema, che già al tempo di Ingroia non potendo perseguire un reato inesistente si erano dovuti inventare una "aggressione ai corpi dello Stato" (quasi fosse la marcia su Roma) che figurava come incredibile addebito agli uomini delle istituzioni chiamati in causa dal dilettantismo palermitano.
Una trattativa tra Stato e Mafia a tutti gli effetti era stata quella inaugurata da Giovanni Falcone con Tommaso Buscetta, trattativa andata a buon fine e con ottimi risultati. Trattativa a tutti gli effetti era stata anche quella messa in piedi da Intercetto La Qualunque e soci con i più inaffidabili criminali di Cosa Nostra, questa volta con esiti squallidi e farseschi: sulle testimonianze non si sa se spontanee o sollecitate di "pentiti" si era retta tutta l'inconsistente ma minacciosa retorica della trattativa gettata in pasto all'opinione pubblica.
La sentenza riconduce a razionalità qualcosa che si era sempre saputo, da quando esiste la mafia: contatti con esponenti mafiosi sono normali e consuetudinari, servono a porre le basi per collaborazioni e "pentimenti". Usiamo il termine "trattativa" perché ormai è entrato purtroppo nell'uso corrente, ma si tratta in realtà di qualcosa che è privo delle implicazioni che il furore forcaiolo attribuisce a questo terreno di contatto.
Per quindici anni l'Italia è stata in balia di una costruzione fantastica e infondata, che ha distolto energie e fondi dalla vera lotta alla mafia e sulla quale sono state costruite carriere professionali, politiche e giornalistiche. Una magistratura autorevole provvederebbe a rimuovere gli incapaci e a ricondurre la procura di Palermo all'etica e alla professionalità del tempo di Caponnetto, Falcone e Borsellino, ma è illusorio pensare che una magistratura modellata in gran parte da Palamara e Lotti possa essere in grado di riformarsi.