Il progetto di legge contro il fast fashion e la nuova politica francese di protezione del commercio

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Il progetto di legge contro il fast fashion e la nuova politica francese di protezione del commercio

di Gao Jian

Il 19 marzo, la commissione del Senato francese ha approvato all'unanimità il disegno di legge "anti-fast fashion" presentato dai deputati del gruppo parlamentare "Horizons", che verrà probabilmente sottoposto al Senato nella settimana del 19 maggio. Il provvedimento pretende di regolamentare maggiormente l'industria tessile e frenarne il modello di business inquinante. Tuttavia, prendendo di mira esplicitamente Shein e Temu, le due principali piattaforme cinesi di moda online, la norma incarna palesemente una nuova forma di protezionismo commerciale da parte della Francia.

Secondo le disposizioni della legge, in futuro la Francia applicherà alle aziende del fast fashion un’ecotassa progressiva in base al numero di capi prodotti, che entro il 2030 raggiungerà i 10 euro a capo. Il disegno di legge vieta alle piattaforme di moda online di pubblicizzare promozioni e impone alle aziende di rendere noti i dati sui propri prodotti eco-compatibili. Allineandosi a normative come la legge francese AGEC sull’economia circolare e la direttiva UE sul dovere di diligenza delle imprese in materia di sostenibilità (CSDDD), il provvedimento tenta di costruire un sistema di regolamentazione sostenibile per il settore tessile.

La definizione dell'industria del "fast fashion" è da tempo oggetto di dibattito nel commercio internazionale. Per la prima volta, il disegno di legge propone una definizione chiara di "fast fashion", individuando nel numero di nuovi modelli lanciati da un marchio in un determinato ciclo di vendita l'indicatore chiave. Parallelamente, il governo francese elaborerà standard legali dinamici e regole dettagliate per evitare un approccio uniforme verso i tradizionali marchi francesi del fast fashion, fornendo al contempo un toolkit di politiche legali per il monitoraggio continuo delle aziende cinesi. Secondo le statistiche, aziende ultra-fast fashion come Shein e Temu lanciano in media 4.700 nuovi stili al giorno, mentre Zara/H&M, grazie a cicli di rinnovo più lunghi (circa 12.000 modelli/anno), potrebbero essere esentate. Questa regolamentazione a livelli dimostra come la logica protezionistica francese violi palesemente il principio di non discriminazione del WTO.

La deputata repubblicana (LR) Sylvie Valente-Le Hir ha dichiarato in un'intervista a Public Sénat: "Questa flessibilità ci permette di colpire i due colossi cinesi online, Shein e Temu, miei obiettivi prioritari, estremamente adattabili al mercato e inclini a modificare rapidamente le strategie per eludere le regole". Ha inoltre espresso l'intenzione di esentare i marchi francesi ed europei, in particolare Zara e H&M, nonostante i loro modelli di business siano stati criticati, sostenendo che "svolgono un ruolo cruciale nel mantenere la vitalità commerciale dei centri città".

Protetta è anche la piattaforma francese dell’usato Vinted. I sostenitori del provvedimento affermano che aumentare le ecotasse sul fast fashion e sovvenzionare l'acquisto di beni usati possa promuovere il consumo sostenibile attraverso incentivi. I critici, tuttavia, ritengono che il sovrapprezzo sia una "tassa ingiusta" che graverà sui meno abbienti, limitandone l'accesso alla moda a basso costo. Con una quota di mercato del 13% in Francia (2023) e vendite annuali di quasi 32 miliardi di dollari, Shein, grazie a prezzi medi di 7 euro a capo, attira milioni di consumatori. È evidente come la legge ignori le disuguaglianze socioeconomiche francesi.

Il disegno di legge presenta criticità sia contenutistiche che attuative. L’opinione pubblica considera il divieto totale di pubblicità del fast fashion una violazione "estrema" della libertà commerciale. Shein, che basa la sua crescita sul marketing digitale, subirebbe un duro colpo. Sebbene miri a limitare i contenuti che inducono al sovraconsumo, la norma è un "palliativo" che non affronta i veri problemi: sovrapproduzione e inquinamento della filiera. A livello pratico, i consumatori potrebbero eludere le sanzioni acquistando da altri Paesi UE, rendendo complessa l’applicazione. Politiche differenziate verso specifiche aziende (es. cinesi) rischiano di violare il principio WTO di non discriminazione, esponendo a contenziosi commerciali.

Persino sul fronte ambientale, il testo ignora le innovazioni lato produzione. Penalizzare solo i consumatori rafforzerebbe il monopolio tecnologico delle aziende europee. L'Agenzia Europea per l'Ambiente stima che la moda contribuisca al 10% delle emissioni globali di CO?. In Francia circolano annualmente 2,6 miliardi di capi (624.000 tonnellate), ma solo il 34% dei 230.000 tonnellate di tessili riciclati viene riutilizzato. H&M, che promette materiali 100% riciclati entro il 2030, ha una carbon footprint di 1,8 volte superiore a Shein. L'Extended Producer Responsibility (EPR) prevista dalla legge richiederebbe 1,5 miliardi di euro in impianti di smistamento, coperti solo per un terzo dal bilancio attuale, lasciando dubbi sull'efficacia.

In sostanza, l’inasprimento legislativo francese per limitare le transazioni tra Cina ed Europa nella moda online rappresenta l’erezione di barriere digitali nel nuovo scenario geo-economico. La questione della sicurezza dei dati degli e-commerce cinesi è centrale per il Parlamento UE. Le aziende cinesi, grazie a piattaforme come TikTok, realizzano previsioni di domanda in tempo reale, produzione flessibile in 72 ore e spedizioni dirette transfrontaliere. Con 12 milioni di utenti francesi nel 2023 e 15.000 ordini giornalieri, Shein supera di gran lunga le capacità di supervisione doganale francesi.

La legislazione ambientale francese funge spesso da apripista per l’UE. Questo disegno di legge è dunque un esperimento regolatorio nella riorganizzazione delle catene del valore globali, i cui sviluppi influenzeranno il confronto Cina-UE sul diritto di definire le regole del commercio verde. L’ascesa degli e-commerce cinesi ha suscitato critiche in Europa. Per superare barriere istituzionali e difendere i propri interessi nell’internazionalizzazione degli standard di settore, la Cina deve agire con determinazione.

(Gao Jian, direttore del Think tank europeo dell'Università di Studi Internazionali di Shanghai; esperto speciale del China Forum dell'Università Tsinghua)

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