La Banca Mondiale e la strada per divorare i beni della Siria

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La Banca Mondiale e la strada per divorare i beni della Siria

 

di The Cradle

A velocità record, e nonostante la manifesta instabilità politica, di sicurezza ed economica della Siria sotto le sanzioni occidentali, la Banca Mondiale ha ripreso intensi contatti con la nuova amministrazione guidata da Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Questo rinnovato impegno fa seguito al pagamento da parte di Riyadh e Doha degli arretrati siriani alla Banca, per un totale di circa 15,5 milioni di dollari.

L'improvvisa apertura della Banca Mondiale alla cooperazione ha coinciso con tre importanti sviluppi. In primo luogo, ad aprile, gli Stati Uniti hanno declassato lo status diplomatico della Siria presso le Nazioni Unite da Stato membro a governo non riconosciuto, pur insistendo sulla formazione di un "governo di transizione inclusivo". 

In secondo luogo, diversi stati arabi e stranieri hanno fatto pressioni su Washington affinché concedesse visti ai funzionari siriani per le riunioni di primavera della Banca Mondiale e del FMI del 2025. In terzo luogo, durante quelle riunioni, il FMI ha nominato un inviato speciale per la Siria e, poco dopo, il presidente statunitense Donald Trump – mentre si trovava in Arabia Saudita – ha annunciato la revoca delle sanzioni dopo un incontro con il presidente ad interim siriano Ahmad al-Sharaa.

Questa sequenza solleva interrogativi urgenti: la Banca ha agito indipendentemente dalla direzione strategica di Washington, che tradizionalmente orienta i suoi rapporti con gli Stati sanzionati? La Banca avrebbe continuato a fornire supporto finanziario e tecnico se Trump non avesse allentato le restrizioni? Il precedente blocco del coinvolgimento era semplicemente dovuto a quote non pagate o era motivato dall'intransigenza occidentale nei confronti di Damasco, mentre lo Stato era ancora governato dal presidente ora deposto Bashar al-Assad?

Un ritorno al soft power

Da quando è entrata a far parte della Banca nel 1947, la Siria ha vissuto periodi alternati di impegno e di allontanamento. Nonostante le sue inclinazioni economiche socialiste sotto il governo baathista, Damasco ha avuto accesso a servizi bancari limitati, pur proteggendo strenuamente il suo settore pubblico, le garanzie occupazionali e la legittimità derivante dai sussidi.

Secondo le pubblicazioni della Banca Mondiale e del FMI, nei loro rapporti con la Siria si sono sviluppate tre distinte fasi di cooperazione. Dal 1963 al 1974, sono stati erogati quattro prestiti per un totale di 48,6 milioni di dollari. Tra il 1974 e il 1986, sono stati erogati 15 prestiti tramite la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo.

In modo più significativo, dal 2002 al 2011, dopo aver saldato il suo debito, la Siria ha ricevuto un ampio supporto tecnico e consultivo, in parte elaborato da Abdullah al-Dardari, allora vice primo ministro per gli affari economici e in seguito consigliere senior della Banca.

In ciascuno di questi periodi, l'impegno della Banca ha coinciso con cambiamenti geopolitici regionali o con colli di bottiglia economici interni che hanno reso Damasco più suscettibile alle pressioni esterne. La fase dei primi anni 2000, in particolare, si è allineata con l'attenzione degli Stati Uniti, dopo l'11 settembre, alla liberalizzazione economica negli stati arabi, in linea con gli sforzi siriani di modernizzarsi senza rinunciare completamente al controllo statale.

Quest'ultima fase rifletteva un parziale allineamento tra le riforme interne della Siria e le direttive neoliberiste del FMI e della Banca Mondiale. Tuttavia, Damasco esitò ad attuare pienamente i piani di liberalizzazione, temendo la reazione negativa dell'opinione pubblica e la resistenza interna, soprattutto durante la siccità del 2006-2008 e gli aumenti dei prezzi del carburante del 2008.

La consultazione del FMI del 2009 ai sensi dell'Articolo IV ha elogiato gli sforzi siriani volti a semplificare la tassazione, riformare i sussidi sui carburanti e modernizzare la gestione delle finanze pubbliche, tra le altre misure.

Ma anche due lunghi periodi di allontanamento hanno avuto ripercussioni sulle relazioni. Dal 1986 al 2002, il mancato pagamento delle quote dovute, a fronte del collasso economico e delle sanzioni occidentali, ha interrotto la cooperazione. Dal 2011 all'inizio del 2025, la guerra per il regime change sostenuta dall'estero e l'intensificazione delle sanzioni hanno congelato i rapporti ufficiali, sebbene la Banca abbia continuato a monitorare e riferire sulla devastazione economica della Siria.

I rapporti del 2017 e del 2020 hanno evidenziato la perdita di 226 miliardi di dollari di PIL, quattro volte la produzione siriana del 2010, e hanno documentato la destabilizzazione regionale causata dalla guerra.

L'agenda dell'austerità

Per gli stati arabi del Golfo Persico, come l'Arabia Saudita e il Qatar, sostenere il rientro della Siria nell'ordine finanziario globale risponde a molteplici interessi. Permette loro di esercitare una pressione diplomatica su un ex rivale, di riposizionarsi come mediatori regionali della ricostruzione e di garantire che qualsiasi riapertura economica della Siria avvenga in un quadro di riferimento che possono influenzare. 

Nel frattempo, la Turchia vede l'allineamento con i processi del FMI e della Banca Mondiale come un modo per gestire il dossier siriano in modo più prevedibile, soprattutto in relazione al commercio di frontiera e al ritorno dei rifugiati.

Oggi, il ritorno della Banca sembra essere meno legato alla legittimità politica interna della Siria e più alla sua traiettoria economica. Essendo HTS un ex affiliato ad Al-Qaeda, molti funzionari del governo di transizione rimangono sanzionati, ma il loro orientamento politico è in linea con l'ortodossia del FMI e della Banca Mondiale: rapida privatizzazione dei beni statali, inclusi porti e aeroporti; completa eliminazione dei sussidi; licenziamenti di massa; liberalizzazione della valuta estera; e preparativi per la fluttuazione della lira siriana.

Questa convergenza ideologica, tuttavia, probabilmente non è stata sufficiente. Gli attori del Golfo Persico – in particolare Arabia Saudita e Qatar, oltre alla Turchia – hanno svolto un ruolo chiave nel mediare il rinnovato impegno, il tutto sotto la tacita supervisione degli Stati Uniti. La revoca delle sanzioni, suggeriscono i media statunitensi, è avvenuta a seguito di negoziati dietro le quinte tra l'amministrazione Trump e i nuovi funzionari siriani.

Il via libera di Washington, diretto o tramite intermediari del Golfo, era indispensabile.

Preludio al vero premio

Finora, il governo di transizione siriano insiste nel voler cercare solo cooperazione tecnica. Il Ministro delle Finanze Mohamed Bernia afferma che il Paese non richiederà prestiti internazionali, ma si concentrerà piuttosto sulle riforme interne.

Eppure, la storia suggerisce il contrario. Se i costi della ricostruzione si rivelassero insostenibili – come è accaduto a innumerevoli nazioni devastate dalla guerra – la resistenza interna ai prestiti esteri potrebbe crollare. Chi spinge per l'austerità e le privatizzazioni guadagnerà terreno, sostenendo che i prestiti del FMI e della Banca Centrale sono essenziali.

Secondo quanto riferito, il personale della Banca Mondiale sta già conducendo valutazioni preliminari delle infrastrutture pubbliche, esaminando i registri patrimoniali e tenendo sessioni a porte chiuse con i ministeri chiave. Queste fasi, sebbene definite "supporto tecnico", spesso gettano le basi per successivi pacchetti di prestiti, condizionati a una più profonda ristrutturazione economica.

Resta da vedere fino a che punto il governo si piegherà alle direttive del FMI e della Banca Mondiale, soprattutto in un Paese in cui il 90% della popolazione vive in povertà e il 65% in povertà estrema.

Sebbene non siano state rese pubbliche condizioni formali, persistono preoccupazioni circa il fatto che il futuro sostegno finanziario da parte delle istituzioni internazionali possa essere subordinato a concessioni politiche, come la normalizzazione dei rapporti con Israele. Ciò rispecchia gli schemi osservati nel vicino Libano, dove gli aiuti del FMI e della Banca Mondiale sarebbero stati vincolati a condizioni analoghe.

Ma il palcoscenico è pronto. E per Damasco, il costo del rientro nell'ordine finanziario globale potrebbe presto essere calcolato in base al patrimonio pubblico rimanente e alla resilienza della sua popolazione.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

 

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