La sentenza della CIG nel caso Belgio v. Senegal: quali scenari futuri per Hissène Habré ?
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In data odierna (20 luglio 2012) la Corte internazionale di giustizia (d’ora in poi CIG) ha reso la sentenza come anticipavamo nel nostro commento di due giorni fa nel caso Belgio v Senegal a proposito dell’obbligo di giudicare o estradare (Hissène Habré) verso il Belgio. In sostanza la massima Corte accoglie la richiesta del Belgio riconoscendo che il Senegal ha violato l’obbligo di eseguire un’inchiesta preliminare a carico di Hissène Habré come lo prevede il paragrafo 2 dell’articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura di cui sono Parte sia il Senegal (1987) che il Belgio (1999). La violazione del suddetto articolo si completa dalla violazione del paragrafo 1 dell’articolo 7 della medesima Convenzione per il fatto che il Senegal non abbia sottoposto alla giurisdizione dei suoi tribunali il caso Hissène Habré per l’esercizio dell’azione penale. Queste due violazioni hanno determinato la responsabilità del Senegal per illecito internazionale a cui deve porre rimedio: adottare senza indugio tutte le misure necessarie finalizzate ad adire le autorità competenti (senegalesi) per l’esercizio dell’azione penale contro Hissène Habré, nel caso contrario che il Senegal proceda alla sua estradizione. Sul rimedio proposto tutti i giudici sono stati unanimi. Nel nostro commento partiamo dall’obbligo a carico del Senegal. È chiaro che la sentenza della massima Corte si discosta da quella resa il 18 novembre 2010 dalla Corte di giustizia della CEDEAO. Per questa Corte regionale i tribunali senegalesi non sono competenti per giudicare il sospettato, ma un tribunale ad hoc (internazionale). La Corte Internazionale di giustizia non si pone in modo gerarchico rispetto ad altre Corti operando a livello regionale. La Corte (CIG) ha basato il suo ragionamento sugli obblighi derivanti dalla partecipazione del Senegal alla Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 e quindi gli ostacoli di natura interna non possono costituire una scusa o una impossibilità affinché lo Stato (Il Senegal) si adegui ai suoi obblighi. Invece la Corte di Giustizia della CEDEAO aveva dato peso sull’impatto delle modifiche costituzionali e legislative intervenute in Senegal dal 2007 in poi sui diritti del sospettato come il principio della non retroattività della legge penale. Le due sentenze si pongono su due punti “tematici” diversi ed offrono due soluzioni altrettanto diverse che mettono assai in imbarazzo non soltanto il Senegal, ma anche l’Unione africana. L’adeguamento alla sentenza della CIG implica una violazione della sentenza della Corte della CEDEAO, sentenza spalleggiata indirettamente dall’Unione africana accogliendo la richiesta avanzata dal Ruanda nel gennaio 2012 della sua disponibilità a giudicare il sospettato. La sentenza della CIG ribadisce la sussistenza dell’obbligo internazionale a carico del Senegal di giudicare, l’estradizione essendo un mezzo alternativo. E se l’estradizione fosse richiesta da uno Stato africano prevedendo l’esercizio della competenza universale per atti di tortura e crimini contro l’umanità, il Senegal sarebbe favorevole ad accogliere positivamente tale richiesta ? Questa ipotesi ci sembra percorribile in quanto, come sostenuto nel precedente commento, ci sembra opportuno per ragioni politiche e non giuridiche, che il processo contro Hissène Habré si svolga in Africa e non al di fuori del continente.
KAZADI MPIANA Joseph. Dottore di Ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea presso l’Università di Roma “La Sapienza”. E-mail: kazadimpiana@hotmail.com