L'Iran e le Presidenziali: Perché non sono una sfida tra “riformisti” e “conservatori”

L'Iran e le Presidenziali: Perché non sono una sfida tra “riformisti” e “conservatori”

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L'Iran oggi al voto. Media e governi occidentali, puntualmente, ad ogni elezione presidenziale in Iran, tendono a presentarla come una sfida tra "riformisti" e "conservatori". Davide Rossi spiega perché, soprattutto queste elezioni, rappresentano ben altro e più importante e decisivo per l'Iran.

di Davide Rossi - Sinistra.ch

Dopo i primi due tumultuosi anni, che hanno visto l’avvicendarsi di due presidenti, nella storia della Repubblica Islamica d’Iran si sono succeduti esattamente cinque presidenti, ciascuno sempre rieletto, quindi alla guida del paese per otto anni. Dal 1981 al 2021 possiamo dire che i cinque presidenti eletti hanno rappresentato al meglio le istanze del loro tempo, a dimostrazione di come il complesso sistema elettorale iraniano, che prevede una selezione preventiva dei candidati prima del voto popolare, sia stato sempre in grado di rispondere alle esigenze più profonde di una società poliedrica e in costante evoluzione, tanto demografica, essendo passata in quarant’anni da trenta a novanta milioni di persone, quanto sociale, se si pensa che proprio grazie alla Rivoluzione del 1979 le donne sono diventate protagoniste del loro paese, rappresentando oggi oltre la metà degli studenti universitari, la metà dei medici di base e ospedalieri come dei primari, un terzo dei dirigenti d’azienda.

I primi anni della Rivoluzione, tra guerra e sviluppo sociale

L’economista Abolhassan Banisadr rientra dall’esilio insieme all’ayatollah Ruhollah Khomeyni nel febbraio 1979, sancendo il trionfo della Rivoluzione islamica, dapprima ministro dell’economia nel governo di mediazione con i “bazari”, i grandi commercianti anch’essi contrari alla dittatura dello scià, formato da Mehdi Bazargan, viene eletto nel febbraio 1980 quale primo presidente della Repubblica Islamica. Lo scoppio della guerra Iran – Iraq travolge larga parte delle speranze di una costruzione graduale della Rivoluzione, così come impone molte restrizioni dovute all’embargo economico che mette in ginocchio il paese. Forti divergenze con la guida suprema Khomeyni, convincono alle dimissioni Banisadr. Viene quindi eletto presidente Mohammad Ali Rajai, il quale dopo un mese di presidenza nell’agosto 1981 viene ucciso in un attentato terroristico insieme al carismatico primo ministro Mohammad-Javad Bahonar.

Ali Khamenei in uniforme militare durante il conflitto con l’Iraq.

È un duro colpo, dal quale tuttavia la Rivoluzione si solleva immediatamente con l’elezione del primo religioso alla presidenza Ali Khamenei, che, rieletto nel 1985, porta a termine la guerra con gli irakeni e consolida le conquiste sociali volte a garantire ai cittadini, casa, scuola, salute e cultura, si pensi all’impetuoso sviluppo della cinematografia che porta registi come Kiarostami e Makhmalbaf a trionfare in svariati festival, il tutto attraverso una fitta serie di strutture statali e caritatevoli che rappresentano una delle più peculiari caratteristiche della Rivoluzione iraniana. Quando il 3 giugno 1989 viene a mancare la Guida Suprema Ruhollah Khomeyni è proprio Ali Khamenei a prenderne il posto, lasciando negli otto anni successivi la presidenza ad Akbar Hashemi Rafsanjani, il quale rappresenta la grande borghesia commerciale, in una specie di compromesso per la crescita economica che tuttavia lascia molte persone scontente, in particolare tra i giovani, che sono i più attivi sostenitori del suo successore, Mohammad Khatami, presidente dal 1997 al 2005.

“Riformisti” e “conservatori”: due categorie improprie per l’Iran

L’attenzione per la partecipazione delle donne alla vita politica, gli spazi concessi a una maggiore pluralità culturale e nell’informazione, portano i media occidentali a definire Mohammad Khatami come un “riformista”, categoria del tutto impropria, come quella di “conservatore”, utilizzata per il suo successore Mahmoud Ahmadinejad. Le due categorie sono sostanzialmente sbagliate per interpretare la realtà iraniana, perché rimandano a una divisione interna al mondo liberale occidentale, un universo politico con cui per cultura politica e per prassi rivoluzionaria l’Iran non ha nulla da condividere. Tra l’altro andrebbe ricordato ad esempio che il partito di Mohammad Khatami è l’Associazione dei Chierici Militanti e che lui stesso prima di essere un politico è un teologo, autore di testi sciiti di particolare complessità e bellezza, mentre Mahmoud Ahmadinejad è stato alla guida dell’Alleanza dei Costruttori dell’Iran Islamico, riuscendo nei suoi otto anni di presidenza fino al 2013 a rispondere all’impetuosa crescita demografica, costruendo case, creando posti di lavoro, estendendo in modo straordinario l’offerta di scuola e salute per tutti i cittadini, a partire dalle fasce più popolari, tra cui ancora oggi gode di un consenso straordinario.

Mahmoud Ahmadinejad con Hugo Chavez, presidente del Venezuela bolivariano.

A livello internazionale Mahmoud Ahmadinejad è stato tra i più attivi in campo antimperialista, tra l’altro rilanciando il Movimento dei Non Allineati con la conferenza di Teheran del 2012, in cui insieme al presidente venezuelano Hugo Chavez e all’egiziano Mohammed Morsi, quest’ultimo allora appena rientrato  da un viaggio in Cina per accordi commerciali, ha chiaramente espresso una serie circostanziata di critiche verso il mondo unipolare e a favore di una nuova prospettiva multipolare.

Nel 2013 con la fine del mandato di Ahmadinejad e la scomparsa del suo grande amico Hugo Chavez, il Movimento dei Non Allineati è tornato nell’ombra, mancando quella guida che allora stava iniziando a restituire a tale organizzazione il prestigio e l’intraprendenza dei suoi albori, quando negli anni ’60 e ‘70 Tito, Nasser e Fidel Castro ne hanno fatto una delle più riuscite organizzazioni di solidarietà internazionale e di denuncia dell’imperialismo statunitense. Dal 2013 e fino alle prossime presidenziali del 18 giugno 2021 presidente è stato ed è ancora Hassan Rouhani del Partito della Moderazione e dello Sviluppo, qualificato, sempre sbrigativamente dai media occidentali, come “riformista”, solo perché favorevole, come la maggioranza dei cittadini e dei politici iraniani, agli accordi sul nucleare che avrebbero dovuto allentare la stretta dell’embargo che, nonostante il grande aiuto che l’Iran riceve da Cina e Russia, limita in modo pesantissimo lo sviluppo economico, la cooperazione internazionale e l’import-export.

Tra l’altro Hassan Rouhani non solo è rientrato anche lui con Khomeyni nel 1979 dall’esilio, ma è stato a lungo membro dell’Assemblea degli Esperti e del Consiglio del Discernimento della Repubblica islamica dell’Iran, a dimostrazione, ancora una volta, che applicare categorie improprie a realtà complesse è solo un modo per far confusione.

Favorito il presidente della Corte suprema Ebrahim Raisi

Ebrahim Raisi, sessantenne di lunga esperienza nel campo giudiziario, presidente della Corte Suprema iraniana, molto popolare per le campagne contro la corruzione, sfidante nel 2017 di Rouhani e dirigente dell’Associazione del Clero Combattente è il candidato con maggiori prospettive di vittoria, capace di raccogliere la parte più considerevole dell’elettorato di Mahmoud Ahmadinejad, radicato in tutti i ceti popolari e avversato dalla ricca borghesia, spesso occidentalizzata. Vi è chi non esclude per Raisi un successivo passaggio, in tempi futuri, dalla presidenza alla Guida Suprema, come avvenuto per l’ayatollah Ali Khamenei, oggi ottantaduenne, nel 1989.

Ebrahim Raisi sembra essere il favorito nella corsa alla presidenza.

Gli altri cinque candidati sono il segretario del Consiglio per il Discernimento Mohsen Rezaei, già comandante in capo del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dal 1981 al 1997 e tra i dirigenti del Fronte di Resistenza dell’Iran Islamico; Saeed Jalili, già negoziatore sul tema nucleare e segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale dal 2007 al 2013, del Fronte per la stabilità della Rivoluzione Islamica; il parlamentare Amir Hossein Ghazizadeh Hashemi; Alireza Zakani, già deputato e ora presidente del Centro di Studi e Ricerche del parlamento iraniano; infine Abdolnaser Hemmati, attuale governatore della Banca Centrale. Si è invece ritirato l’azero Mohsen Mehralizadeh, il più aperto a una serie di riforme del sistema giuridico – amministrativo della Repubblica Islamica, già vice presidente con Khatami e dalla lunga esperienza amministrativa a Isfahan e nel Korashan, membro del Partito della Volontà della Nazione Iraniana.

Elezioni che si presentano dunque non come una sfida tra le categorie abusate dai media occidentali di “riformisti” e “conservatori”, ma un’occasione per riaffermare l’indipendenza e la sovranità nazionale e il cammino percorso dal popolo iraniano nel solco della Rivoluzione.

 

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