Non è una crisi di capitale ma di civiltà!
Come vado dicendo da luglio, il capitale industriale regge. Non solo per il boom di export tedesco in cina, che coinvolge i fornitori italiani, ma anche per il boom dell'export itlaiano in cina e in altre aree, specie angolosassoni. Quel che sta avvenendo con il lockdown è una guerra tra capitale industriale e capitale commerciale (almeno i suoi residui), volta ad aumentare il peso sul pil del capitale induistrale, erososi a partire dalla crisi degli anni settanta. Ora il capitale industriale si riprende il suo ruolo. Persino l'industria al sud ha retto e ha perso meno del nord Ovest.
Ebbene, vedo le prime pagine dei giornali, mi basta il titolo e sempre più sono dell'idea che in Occidente il capitale ha perso la cinquantennale guerra al salario. Schumpeter non è solo quello della distruzione creativa, ma dell'innovazione, della creazione di nuovi prodotti e mercati, quello dello "sblocco" della valorizzazione del capitale. Ora c'è una massa enorme di miseria. Vedo oggi il sole 24 ore, Germania e Giappone si riprendono grazie alla domanda cinese, gli Usa vanno sempre più a debito. Non ci sedemmo dalla parte del torto, ma della ragione, smarrita da decenni dalle nostre parti. Prima ancora di crisi del capitale, è una crisi di civiltà. E siccome penso che il nostro Paese ha sempre espresso livelli culturali alti, anche e soprattutto in tempi bui, non mollo. L'altro giorno ho letto un pezzo del '93 di Contropiano, quando era ancora giornale (io incominciai a scrivere su questo giornale nel '96). Lucidissimo, su Italia ed Europa gli unici che avevano capito tutto. E sono comunisti, perseguitati, controllati. Hanno perso tanto. Ma non l'acume. E io apprezzo chi ha acume. Il resto non mi importa.