Nuove rivelazioni sull'Operazione Gedeone: USA e Colombia, un piano per saccheggiare il Venezuela

Nuove rivelazioni sull'Operazione Gedeone: USA e Colombia, un piano per saccheggiare il Venezuela

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di Geraldina Colotti

Uno dei volti più odiosi dell’opposizione golpista venezuelana è quello di Julio Borges, che si definisce pomposamente “commissario presidenziale all’estero”. Una carica virtuale così come lo è il “governo” dell’autoproclamato “presidente a interim”, Juan Guaidó.
 
Il governo di Narnia, lo ha definito con ragione il ministro della Comunicazione Jorge Rodriguez, durante un aggiornamento dei fatti relativi al tentativo di incursione mercenario sulle coste del Venezuela. Un piano contemplato nel contratto stipulato, con tanto di firma, tra l’impresa di contractor nordamericana Silvercorp e il comitato d’affari (sporchi) diretto da Guaidó.

Borges, in fuga dal suo paese e filmato dopo aver travolto e ucciso un ragazzino senza essersi fermato a soccorrerlo, ha scritto una lettera al Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres “a nome del governo legittimo che presiede il deputato Juan Guaidó”. Nella missiva, nega, contro ogni evidenza, la responsabilità negli “avvenimenti del 3 e del 4 maggio”.

I giorni dell’”operazione Gedeone”, scoperta e neutralizzata dal governo bolivariano con la partecipazione diretta del potere popolare organizzato. Le foto dei pescatori scalzi, ma armati, che neutralizzavano il gruppo di mercenari, legandoli con la corda in attesa delle manette, ha fatto il giro del mondo. “Questa è la guerra di tutto il popolo: un pescatore armato di una pistoletta contro gli inviati dell’impero più potente del mondo”, ha detto il presidente Nicolas Maduro ricordando la resistenza eroica del popolo vietnamita.

Di sicuro, la macchina che sorregge la farsa internazionale di questo gruppo di ladroni, è poderosa. I governi che, dall’Europa all’America Latina, hanno seguito l’ordine di Trump riconoscendo gli autoproclamati all’estero nelle funzioni che, non avendo in mano l’apparato dello Stato, non possono esercitare, continuano a seminare confusione.

I media internazionali si riferiscono al gruppetto di golpisti venezuelani come se fossero l’”Assemblea Nazionale”: anche se le loro riunioni si svolgono nel salone del condominio, da quando il vero Parlamento – comunque in posizione illegale – ha eletto una nuova presidenza senza l’autoproclamato, che l’aveva esercitata fino a quel momento.

Tuttavia, anche sui media che hanno voluto presentare come “presunta” l’operazione Gedeone, sono filtrate le confessioni e le immagini dei mercenari statunitensi arrestati sulle coste venezuelane. La copia del contratto milionario, firmato dai rappresentanti dell’autoproclamato, per suo conto e da lui medesimo, è stata presentata da una giornalista di Miami che certo non può essere sospettata di simpatie chaviste. E ora, anche i più bendisposti con la destra venezuelana, sono obbligati a ammettere la totale incapacità dimostrata, e la conseguente inaffidabilità nel dirigere un paese.

Esaminando il merito giuridico del contratto mercenario stipulato con la Silvercorp, appare sempre più evidente come Guaidó e compari, più che a dirigere il paese si candidano a razziarlo. Lo ha mostrato al paese una riunione pubblica di alto livello, coordinata da Jorge Rodriguez e composta dalla Prima combattente Cilia Flores, dal ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez, dalla vicepresidente esecutiva Delcy Rodriguez e dall’intellettuale Luis Britto.

Flores, nota avvocata oltreché politica di lungo corso, ha evidenziato i riscontri inoppugnabili contenuti nelle confessioni degli imputati (attualmente 39), le clausole in cui si stabilisce la facoltà di rapinare i beni dei chavisti uccisi e di incamerarli, insieme alle risorse del paese.

Per realizzare il “governo di transizione”, ripetuto come un mantra dall’autoproclamato dal gennaio del 2019, i mercenari prevedevano infatti l’uccisione di molti dirigenti chavisti, a partire dal presidente Nicolas Maduro, da esibire come trofei negli USA onde riscuotere la taglia messa sulla loro testa dal cowboy del Pentagono, Donald Trump.

Il seguito dell’inchiesta sull’Operazione Gedeone, illustrato dal ministro Rodriguez successivamente, ha però mostrato come nel mirino vi fossero anche esponenti dell’opposizione. Tra questi, Leopoldo Lopez, altro golpista di Voluntad popular, che avrebbe dovuto essere catturato e poi ucciso durante un falso tentativo di fuga.

Da alcune intercettazioni telefoniche, fornite – ha detto Rodriguez – da “fonti di intelligence nella Forza Armata Colombiana”, emergono le responsabilità dell’amministrazione Trump e del narcotraffico appoggiato dall’agenzia nordamericana antidroga, la DEA, nel piano mercenario dell’estrema destra venezuelana.

Nelle intercettazioni, il deputato di Acción Democrática, Hernán Alemán, in fuga dal paese, conversa al telefono con il narcotrafficante Clíver Alcalá Cordones, oggi protetto dalla DEA, e con un terzo soggetto non identificato. Oltre all’apporto della CIA e a quello dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Colombia, James Story, si ha conferma dell’esistenza e della durata dei campi d’addestramento paramilitari basati a Riohacha, nella Guajira colombiana, già emersi nelle confessioni degli arrestati.

Il deputato fa anche riferimento alle uniformi nordamericane e alla bandiera a stelle e strisce sequestrate nello Stato Zulia, in Venezuela. Rodriguez ha spiegato che Alemán mantiene strette relazioni con la ex Procuratrice generale Luisa Ortega Díaz e con suo marito Germán Ferrer, entrambi fuggiti in Colombia, dove si trova anche “Sair Mundarín, che era l’esecutore di tutti i loro crimini”.

In questi giorni, Ortega Díaz ha diffuso in twitter un altro appello a rovesciare il governo Maduro, mentre il marito sponsorizza l’“appello al popolo zuliano” per ribadire appoggio al “governo di transizione” di Guaidó. E che il golpista Borges, implicato nel tentato massacro con i droni del 4 agosto 2018, nella sua lettera all’ONU definisca Maduro “una minaccia per la pace” appare ancora più grottesco.

La guerra per procura, condotta attraverso le imprese per la sicurezza privata, è purtroppo un elemento di fatto nei conflitti. Un grande business che promette di rinnovarsi e di espandersi anche nella post-pandemia. Una convenzione ONU del 1989, entrata in vigore nel 2001, proibisce infatti l’addestramento e l’impiego di mercenari, ma la legge si può aggirare, e inoltre gli USA trovano sempre modo di porsi al di sopra delle leggi.

E così ora, con quella che sarebbe una vera e propria operazione di pirateria, minacciano di bloccare le navi iraniane che portano combustibile in Venezuela.

E ieri, le misure coercitive unilaterali, decise da Trump contro il Venezuela, e approvate dai governi dell’Unione Europea, hanno portato un altro attacco all’informazione di Telesur e di PDVSA, l’impresa petrolifera nazionale. La multinazionale USA AT&T, che fornisce servizi attraverso la piattaforma Directv, e che in passato è stata coinvolta in altre operazioni destabilizzanti nel continente latinoamericano come il golpe contro Allende in Cile, ha annunciato la chiusura del segnale per la minaccia di sanzioni.

Un altro attacco alla libertà di informazione, uno dei diritti umani inalienabili, compiuto dall’imperialismo nordamericano e dai suoi vassalli. Un attacco preannunciato a Miami durante una riunione del Centro de Medios de las Américas del Dipartimento di Stato, nel quale funzionari del governo Trump hanno lanciato false accuse contro Telesur, RT e altre piattaforme alternative internazionali.

Telesur, com’è già accaduto per altre imprese pubbliche fuori dal paese, come la Monómeros in Colombia o la raffineria Citgo negli USA, è nel mirino dei golpisti venezuelani, che hanno già nominato un suo direttore virtuale.
 

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