Rapporto Istat 2024: povertà in Italia ai massimi degli ultimi 10 anni
Il rapporto annuale dell’Istat per il 2024 riporta come quasi un decimo della popolazione italiana viva ormai in condizioni di povertà assoluta, mentre un altro 15% è a rischio povertà1. Cifre spaventose, che raggiungono l’apice di gravità nel Mezzogiorno e nelle Isole, dove gli abitanti in povertà assoluta superano il 10% del totale. Ciò non riflette solo il rapido deterioramento della stabilità economica delle famiglie italiane verificatosi a seguito del biennio 2020-2021, ma una tendenza ormai più che decennale avviatasi con la crisi del 2007-2008. Per quanto i dati sopra riportati siano indubbiamente già preoccupanti per conto loro, essi riflettono solo in maniera parziale quella che è una realtà sempre più precaria e segnata, anche per quelle che una volta si potevano chiamare “classi medie”, dalla costante liquidazione dei propri risparmi per rallentare quella che è un’inevitabile discesa nell’indigenza. Un processo di impoverimento collettivo dato non solo dal perdurare della stagnazione economica e dall’inflazione, ma anche dalla svendita dell’economia pubblica e dal restringimento dei servizi e dei diritti sociali, e che si accompagna oggi alla pericolosa traiettoria geopolitica imposta al nostro paese che, rimanendo cauti, porterà a dannosi disaccoppiamenti economici e al venir tagliati fuori dai nuovi centri dello sviluppo economico internazionale, ma che potrebbe persino condurre a un nuovo conflitt mondiale.
Altri dati interessanti per meglio configurare la situazione socio-economica del nostro paese vengono dall’ultimo rapporto Eurispes, che dedica un intero capitolo alla dicotomia “certezza/incertezza”2, indagando come gli italiani percepiscono la propria situazione. Il 55,5% del campione ritiene che la propria situazione economica sia peggiorata nell’ultimo anno, mentre per il 18,6% sarebbe rimasta “stabile”. Solo un italiano su dieci ha indicato un qualche miglioramento nella propria situazione. Naturalmente tutto ciò influenza la visione del futuro dei cittadini del nostro paese, con il 64,8% degli intervistati che non si aspetta nessun miglioramento, ipotesi ritenuta credibile ancora una volta solo dal 10% del campione. Sempre Eurispes riporta come solo un italiano su quattro riesca a risparmiare qualcosa, mentre affitto, bollette, mutuo e spese mediche sono le preoccupazioni più sentite, mentre la solidarietà famigliare rimane la principale risorsa a cui ci si affida per far fronte alle spese.
Questi numeri raccontano la situazione di un paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione, ossia coloro i quali devono vivere del proprio lavoro, è sistematicamente schiacciata verso il basso a causa di rapporti di forza squilibrati che vedono una piccolissima minoranza di finanzieri, speculatori e rentier avere in mano le sorti del paese. Il mutamento di questi rapporti di forza è ormai palesemente una questione di sopravvivenza, ma per far ciò una delle condizioni fondamentali è quella di smetterla di pensare la lotta politica come difesa dei “diritti” di certe minoranze o degli interessi corporativi di questa o quella categoria: in sostanza, abbandonare il paradigma caro alla cosiddetta “estrema sinistra” dell’intersezionalità. Con questo termine, trasmesso in Italia dalle nocive influenze culturali della sinistra statunitense, si indica la sovrapposizione delle “discriminazioni” e delle “forme di oppressione” subite dalle varie minoranze etniche, sessuali e “identitarie”.
La visione “intersezionale” si fonda su un presupposto non detto, corollario di qualsiasi lotta “di minoranza”: il sistema, fondamentalmente, funziona; la maggioranza delle persone è tutelata da questo, e gode di sufficienti diritti; la lotta politica deve essere quindi indirizzata ad estendere i diritti che esso garantisce alla maggioranza anche alle numerose minoranze che vivrebbero ai suoi margini, soggette a forme di “oppressione” svariate ma collegabili tra di loro. Ma è davvero così? Si può dire che la maggioranza dei cittadini italiani, o occidentali, sia difesa nella propria dignità, nelle proprie speranze e nei propri bisogni dal sistema liberal-capitalista dell’egemonismo statunitense? Non si può dire così. Al contrario, i processi di polarizzazione in atto rendono sempre più manifesto l’enorme esproprio di ricchezza, privata e pubblica, a favore del capitale finanziario monopolistico, un esproprio che riguarda non già sparute minoranze costruite attorno a “identità” soggettive, ma la stragrande maggioranza della popolazione sulla base delle sua oggettiva e concreta posizione socio-economica all’interno del sistema capitalista.
Un’analisi, e, conseguentemente, una prassi, corretta e fondata sul marxismo permette di mettere al centro le contraddizioni reali, oggettive, da affrontare a vantaggio della maggioranza e per promuovere la sua forza politica. Al contrario, la visione “intersezionale” deriva direttamente dall’ideologia liberale, e pone al centro in maniera completamente arbitraria e soggettiva forme di “oppressione” che si vorrebbero interscambiabili e qualitativamente parimenti dignitose. Da un punto di vista “intersezionale”, il non riuscire più a mantenere la propria famiglia a causa dell’instabilità economica, il perdere la propria abitazione o l’essere sommersi da debiti sono tutte situazioni equivalenti al non essere riconosciuti nel genere col quale ci si identifica, a essere oggetto di attenzioni per i propri comportamenti “non comuni” o il dover confrontarsi con norme di costume condivise dai più. Contraddizioni reali vengono così accostate a forme di “oppressione” completamente immaginarie: le prime derivano dall’esperienza materiale delle masse, e possono essere comprese nella loro complessità grazie all’analisi e alla teoria politica; le altre derivano dalle elucubrazioni soggettive di attivisti e intellettuali liberali, e vengono “imposte” alla realtà, pretendendo di far loro acquisire sostanza reale. In poche parole, nella visione “intersezionale”, la minoranza è creata ideologicamente attraverso la definizione idealistica di forme di “oppressione” sempre nuove.
Attraverso un meccanismo opportunista, l’intersezionalità confonde le acque e vorrebbe non solo costruire artificiosamente nuove “lotte”, ma far passare qualsiasi lotta come equivalente. Il materialismo dialettico riconosce come esistano contraddizioni principali e contraddizioni secondarie, contraddizioni fondamentali e contraddizioni subordinate. Non tutte le “lotte” sono equivalenti, e la loro importanza non può essere definita in senso assoluto, ma, soprattutto, non può derivare da una propria valutazione soggettiva e personale, ma dal confronto con la realtà concreta.
Attualmente non vi è nessuna forma di “oppressione” che prenda di mira le donne, gli stranieri, gli omosessuali, le persone basse, quelle sovrappeso o gli studenti universitari bolognesi in quanto tali. Per alcune categorie, ovviamente, vi sono delle situazioni di particolare vulnerabilità che derivano però non già da una certa “identità”, dai gusti sessuali o dal colore della pelle, ma dalle proprie condizioni socio-economiche. E’ chi vive del proprio lavoro, facendo peraltro sempre più fatica a far quadrare i conti, a dover affrontare contraddizioni sempre più acute, e questo a prescindere da genere, sessualità, etnia o da propensioni estetiche. Serve tenere a mente ciò per evitare di “politicizzare” esperienze individuali e trascorsi personali, cosa che porterebbe a errori politici madornali.
Le masse non sono composte da un insieme di minoranze arbitrariamente connesse da forme di “oppressione” altrettanto arbitrariamente definite, ma sono la maggioranza della popolazione accomunata da una fondamentale identità di interessi e aspirazioni. In un contesto segnato dalla crescente demofobia delle autorità euro-atlantiche, di promozione dell’individualismo e di strumentalizzazione dei temi culturali al servizio del suprematismo occidentale, è estremamente necessario riconoscere come la lotta politica per la liberazione nazionale e la trasformazione in senso democratico e socialista dell’attuale stato di cose non possa che essere un processo centrato sulle masse e al servizio delle masse, ossia alla maggioranza, fondato sui suoi interessi concreti e rispettoso delle sue sensibilità e del suo trascorso storico.
La visione di chi vorrebbe condannare la maggioranza della popolazione come “retrograda” in nome di un’idea di progresso confezionata su misura dagli intellettuali liberali, dalle multinazionali e dai loro “centri studi” non ha nulla di “rivoluzionario”, ma non è che l’ennesima espressione della lotta ideologica che il grande capitale conduce contro la classe lavoratrice. Chiaramente esistono visioni arretrate e pregiudizi tra le masse, ma si deve avere fiducia nel fatto che queste, attraverso l’esperienza e la dialettica, possano superarle. E’ solo facendo affidamento sulle masse, come sempre è stato, e non su un insieme di “minoranze”, è solo basandosi su ciò che oggettivamente unisce, e non ciò che soggettivamente divide che sarà possibile trasformare l’esistente.
1 Rapporto annuale ISTAT 2024-capitolo III, https://www.istat.it/it/files//2024/05/Capitolo-3.pdf
2 Rapporto Italia 2024, Eurispes, https://eurispes.eu/ricerca-rapporto/rapporto-italia-2024/