Sara Wagenknecht lancia la nuova sinistra che deve tornare a fare gli interessi del popolo

Sara Wagenknecht lancia la nuova sinistra che deve tornare a fare gli interessi del popolo

Il Corriere della Sera intervista la dirigente della sinistra tedesca nel giorno di lancio del nuovo movimento Aufstehen!

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Come risollevare le sorti di una sinistra ormai ridotta ai minimi termini in gran parte del Vecchio Continente è la domanda che si pongono sempre più dirigenti politici e militanti, davanti all’avanzata delle destre che sembra inarrestabile. Chi sembra avere le idee ben chiare su come reagire a questa situazione, venutasi a creare principalmente a causa dello spostamento nel campo liberale e liberista di buona parte delle sinistre europee, è Sara Wagenknecht. Parlamentare e dirigente tedesca del partito Die Linke, che ha lanciato il movimento Aufstehen!, «In Piedi!», che vuole andare oltre gli attuali schieramenti politici per offrire una risposta di sinistra ai populismi di destra che imperversano in Europa, come sottolinea il Corriere della Sera in un’intervista alla parlamentare. 

 

«Con Aufstehen! - spiega Wagenknecht - vogliamo tornare a interessare alla politica chi si è allontanato dai partiti per la frustrazione o vota AfD per protesta, anche se non rappresenta davvero i suoi interessi», proprio come succede in Italia dove tanti proletari ed operai hanno finito per ritrovarsi a votare Lega a causa delle politiche di quelle sinistre che non li rappresentano più. 

 

Quindi «la sinistra deve tornare a impegnarsi per una politica sociale» perché «non rappresenta più gli interessi del popolo». In Italia così come in Germania dove «c’è un divario crescente tra ciò che vuole la maggior parte delle persone e ciò che fa il governo. La società tedesca è in maggioranza favorevole a un aumento degli stipendi e delle pensioni e a tasse adeguate per i grandi gruppi industriali. Ma il governo non fa quello che vuole il popolo. Sempre più persone perdono fiducia nella politica». 

 

Sara Wagenknecht spiega anche che la socialdemocrazia «si è resa superflua perché rappresenta sempre meno gli interessi della popolazione e ormai si distingue a malapena dai conservatori. In Germania lo smantellamento dello Stato sociale è iniziato con il governo socialdemocratico, una tendenza che si è solidificata con la Grande Coalizione. Quello che è stato venduto come “riforme”, non è altro che la demolizione delle politiche sociali, che ha minato le fondamenta della sicurezza sociale. Il sussidio di disoccupazione è stato smantellato, la liberalizzazione del mercato del lavoro ha aumentato quello precario e interinale, l’innalzamento dell’età della pensione è diventato per molti la strada verso una vecchiaia in povertà –tutto ciò è stato fatto da governi in cui c’era la Spd. La conseguenza è che la Spd si è incollata ai conservatori. Nella scorsa legislatura in Germania c’era ancora una maggioranza per Spd, Linke e Verdi. Invece di usarla per una nuova politica sociale, la Spd si è ancora venduta ad Angela Merkel. Anche il pessimo risultato alle ultime elezioni nazionali dipende dal fatto che la Spd saputo offrire alla gente solo aria calda invece di un ritorno credibile delle politiche sociali. Hanno perso la loro occasione e adesso non devono meravigliarsi che la gente per la frustrazione gli abbia voltato le spalle. È per questo che la destra è potuta diventare così forte. Per questo adesso è immensamente importante tentare di fare pressione fuori dai partiti».

 

Altro tema ‘caldo’ con cui la sinistra deve fare i conti, e a cui la Wagenknecht non si sottrae è quello riguardante l’immigrazione. La dirigente tedesca, studiosa marxista e figlia di un iraniano emigrato in Germania, ha le idee chiare. «Dobbiamo distinguere tra diritto all’asilo e migrazione economica Il diritto all’asilo va difeso. Il diritto all’asilo va difeso. Per l’immigrazione economica la questione è più complicata. Il dibattito sull’aprire i confini è una carta da giocare per chi vuole forza lavoro istruita a buon mercato – cioè per le grandi imprese. Non è un caso che le associazioni industriali cantino l’inno dell’immigrazione. Nessuno crede davvero che lo facciano per motivi umanitari. Si tratta di spietati interessi economici. Ma non può essere – e di sicuro non è una politica di sinistra – che i Paesi ricchi non formino abbastanza tecnici specializzati e invece li sottraggano ai Paesi poveri attraverso l’immigrazione. Così vengono a mancare nelle nazioni di origine e non possono migliorare la situazione economica e sociale lì. La discussione sui migranti economici però non riguarda i rifugiati in fuga dalle persecuzioni che temono per la loro vita».

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