VERSO UN NUOVO PONTIFICATO: RITORNO ALLA TRADIZIONE PER LA SALVEZZA DELLE ANIME
a cura di Daniele Trabucco (*)
Con l' "extra omnes" è ufficialmente iniziato il Conclave per eleggere il nuovo successore dell'Apostolo Pietro. Di quale Papa ha bisogno, a modestissimo avviso di chi scrive, la Chiesa Cattolica? Per poter rispondere a questa domanda, dobbiamo considerare a dove è pervenuta oggi la Ecclesia Christi. Il pontificato di Papa Francesco (2013–2025), pur segnato da una volontà manifesta di riforma e rinnovamento pastorale, ha finito per inscriversi all’interno di una dinamica di discontinuità rispetto alla struttura teoretica e teologica perenne della Chiesa cattolica, evidenziando una crisi profonda non tanto nei contenuti contingenti del magistero, quanto nella sua forma intelligibile, ossia nella ratio che informa l’agire ecclesiale. Il punto nevralgico non è da individuarsi primariamente in singole affermazioni o prassi, pur problematiche, ma in un orizzonte filosofico sotteso, che ha segnato un mutamento silenzioso ma decisivo del paradigma ecclesiologico: dalla centralità ontologica della verità rivelata, concepita come partecipazione alla Verità increata che è Dio stesso, si è progressivamente slittati verso un primato della prassi, interpretata secondo categorie esistenziali, esperienziali e relazionali.
Tale mutamento, che ha la sua origine nell'attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), ha implicato una torsione dell’intelletto ecclesiale, orientato non più alla contemplazione del Mistero divino secondo l’ordo sapientiae, quanto alla mediazione pastorale dei vissuti umani, nella convinzione, propria di certa teologia post-conciliare, che il locus theologicus privilegiato non sia più la Rivelazione, bensì la storia, la coscienza e la prassi. La conseguenza immediata di questa inversione è una trasformazione della funzione magisteriale: da espressione derivata del Magistero di Cristo, esercitato nella Chiesa in quanto sacramento della Verità, essa si configura come discernimento immanente della comunità credente, secondo un orizzonte eminentemente ermeneutico. È in tale contesto che si comprendono le ambiguità dottrinali dell' Esortazione Apostolica post-sinodale "Amoris Laetitia" del 2016, ove la legge morale naturale e divina non è più presentata come norma universale e immutabile, espressione della lex aeterna nella lex naturalis, bensì come criterio da interpretare nel concreto delle singole coscienze, riducendo l’ordine oggettivo a mera indicazione orientativa.
La coscienza, anziché essere organo della verità, è trasmutata in fonte di essa. La medesima logica appare nel Documento di Abu Dhabi del 2019, ove l’affermazione secondo cui la pluralità delle religioni sarebbe "voluta da Dio" sul piano della sua sapienza permissiva ha dato luogo a un’eclissi della dottrina tradizionale sulla unicitas Ecclesiae e sull’universalità salvifica del Verbo incarnato. Qui si cela, in filigrana, una metafisica della pluralità non più letta alla luce dell’analogia entis, bensì secondo la logica della differenza come tale, propria di certa filosofia postmoderna. La verità, detto diversamente, non è più intesa come unità del reale partecipata alle intelligenze razionali attraverso la luce dell’esse, ma come narrazione contestuale, storica, esperienziale. La teologia, in questo quadro, si appiattisce sull’antropologia e la pastorale non si limita ad applicare la dottrina alla contingenza, divenendo generativa di contenuti nuovi, di fatto sganciati dal principio di identità e non-contraddizione che ha sempre fondato la coerenza interna del dogma cattolico. Questa deriva rappresenta un abbandono della forma mentis classica, fondata su una metafisica realista e sull’ontologia partecipativa che informa l’intera struttura teologica tradizionale, da Dionigi a Tommaso d’Aquino (1225-1274). La verità, nella concezione classica, non è mai mera corrispondenza soggettiva, né tanto meno prodotto discorsivo, bensì adaequatio intellectus ad rem che, nel caso della teologia, significa adaequatio intellectus fidei ad Misterium.
È precisamente questa relazione analogica tra intelletto umano e realtà divina che garantisce la possibilità di una dottrina vera, oggettiva, normante, la cui evoluzione, nel senso proposto dal cardinale inglese Henry Newman (1801-1890) e integrato da san Pio X (pontefice dal 1903 al 1914) contro ogni deriva modernista, non contraddice mai il dato rivelato, ma lo esplicita secondo continuità omogenea di principio. Occorre, dunque, con urgenza, un ritorno a questa architettura teologico-metafisica, senza la quale la Chiesa rischia di divenire un’agenzia spirituale tra le altre, una comunità dialogica sprovvista di fondamento ontologico e di vocazione escatologica. Un nuovo pontificato non potrà che radicarsi in una concezione della Tradizione non come passato inerte, ma come atto vivo dello Spirito Santo, che garantisce la continuità formale del dogma e l’identità sostanziale della Chiesa nella storia. Questo comporta che la pastorale non possa mai avere un primato epistemologico sulla dottrina, poiché l’agire ecclesiale deriva dalla fides quae, e non viceversa. È solo nella luce della verità rivelata che l’uomo può essere compreso nella sua integralità ontologica e teleologica e, quindi, anche accolto, accompagnato, amato, convertito. Il fine proprio della Chiesa non è il dialogo con il mondo, che può essere strumento, mai fine, ma la salvezza delle anime (cfr. Canone 1752 del Codex iuris canonici del 1983), che si dà solo nell’unione reale e soprannaturale con Cristo, Capo del Corpo mistico. Ogni altra prospettiva, per quanto nobile o misericordiosa possa apparire, si riduce a filantropia mondana. Abbiamo bisogno di un Papa che comprenda ciò nella profondità del suo spirito: che sappia pensare e agire secondo l’ordine dell’essere, che fondi la sua azione non sul consenso, bensì sulla verità, e che sappia ricondurre la Chiesa all’asse teologale della sua missione, restituendole il suo volto soprannaturale e la sua funzione salvifica nell’economia della grazia. In questo senso, la Tradizione non è ostacolo al futuro o mero intellettualismo, quanto condizione di possibilità per ogni autentico rinnovamento. Come insegna san Vincenzo di Lérins (V secolo d.C.), la vera crescita nella Chiesa è quella che avviene secondo identità, nella medesima dottrina, nello stesso senso, nella medesima intenzione. Soltanto un pontificato che si inscriva in questa logica potrà sanare le ferite lasciate da un decennio di discontinuità e restituire alla Chiesa il suo splendore metafisico, teologico e salvifico.
(*) Professore universitario strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma.
Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico nell'Università degli Studi di Padova.