Zangrillo: "Stipendi Pa da sbloccare dopo giugno"
Come dal 6% si arrivi al 9% di aumenti non è dato sapere visti gli stanziamenti in Bilancio. Siamo davanti alla ennesima prova della finanza creativa?
di Federico Giusti
Il ministro per la Pubblica amminstrazione continua a rilasciare dichiarazioni sulla firma dei contratti della Pa ma non risulta convincente e men che mai rassicurante.
Ad oggi gli stanziamenti nel bilancio 2025 prevedono aumenti dei sei per cento a fronte di una inflazione del 18 quindi due terzi di perdita secca per un solo triennio.
I dati sono riconosciuti validi da parte sindacale e Aran con la differenza che pur davanti alla erosione dei salari il Governo Meloni ha chiuso il 2024 con una manovra di Bilancio, debitamente autorizzata da Bruxelles, che contiene inadeguati , a dir poco, incrementi contrattuali per risultare credibile e sufficientemente austera al cospetto della Ue. I soldi che mancano? Sono stati utilizzati per gli sgravi fiscali e quindi un doppio regalo allo Stato e alle imprese private: non aumenteranno i salari in base al costo della vita e potranno al contempo pagare meno tasse.
Peggior politica di quella adottata è difficile da trovare, le ultime dichiarazioni di Zangrillo parlano di aumenti del 9 per cento (ma è troppo chiederci con quali capitoli di bilancio?), una firma in estate inoltrata e soldi in busta solo nel 2026 ossia a distanza di anni dalla scadenza naturale del CCNL.
La tempistica merita grande attenzione giusto per non essere tratti in inganno.
Nel secondo semestre 2024 esisteva già un accordo sulla parte normativa dei vari comparti della Pa ma a dividere le parti era l’offerta economica. Grave resta la convergenza sulla parte normativa di contratti che nel corso degli anni hanno sancito anche la perdita del potere contrattuale e meccanismi iniqui e diseguali ma ormai siamo abituati a posizioni arrendevoli da parte sindacale. Solo per fare tre esempi: è possibile scaricare sui fondi della produttività i costi delle funzioni apicali e la loro renumerazione erodendo alla fine il salario accessorio del personale? E le progressioni verticali in deroga non andrebbero gestite con criteri meno discrezionali? E il buono pasto fermo da anni a 7 euro non poteva essere accresciuto a 11 per affiancare i rinnovi contrattuali con una offerta economica di sicuro impatto?
A dicembre il Governo ha operato la scelta di destinare poche e insufficienti risorse ai contratti, poi ha sperato che le elezioni Rsu sancissero la vittoria dei sindacati complici per sottoscrivere, al ribasso, le intese, ora rinviano ogni decisione all’estate.
Zangrillo promette di portare la questione in consiglio dei ministri valutando un’erogazione unilaterale senza accordo sindacale visto che a detta sua “Cgil e Uil fanno politica sulla pelle dei lavoratori” che lui e la Meloni , in accordo con alcune sigle, vorrebbero invece tutelare, ironia della sorte attraverso cospicue perdite salariali, allontandando i contratti dal recupero del potere di acquisto.
Se non fossimo al comico potremmo parlare di tragedia e ancora una volta si disotterra l’ascia di guerra per scatenare polemiche già viste, ad esempio che le richieste sindacali al Governo sarebbero solo finalizzate a creare difficoltà all’Esecutivo. Ora anche a volere essere amicali e teneri con la Meloni non ci sembra che la perdita del potere di acquisto degli ultimi anni sia minimamente paragonabile al passato, i dati Istat dovrebbero indurre a realismo e non ai soliti atteggiamenti vittimistici fermo restando che rispetto ai Governi di centro sinistra i sindacati sono stati fin troppo teneri, ad esempio quando c’era da ripristinare (e non lo hanno fatto) il buono pasto a una cifra adeguata e rispettosa.
E per capire meglio la situazione si parla di sblocco dei fondi accessori che sappiamo non essere possibili per tutto il personale ma solo per una minoranza dello stesso, quello sblocco, senza fornire dati e prove, aumenterebbe del 3 per cento gli aumenti futuri dimenticando che gli stessi criteri di erogazione delle risorse sono per loro natura diseguali tra livelli ed Enti. Non troviamo traccia invece di una decisione, la sola auspicabile, quale la fine di ogni tetto di spesa in materia di trattamento economico per il personale della PA
E asserire poi che nel bilancio pubblico ci sono già le risorse per le due tornate contrattuali successive suona come una beffa se pensiamo che si prevede con la sfera di cristallo il costo futuro della vita quando la realtà ha fatto crollare le più tetre previsioni.
Zangrillo è comunque sicuro della bontà del suo operato e rilancia sul merito che a detta sua dovrebbe essere il baluardo della nuova Pubblica amministrazione con percorsi di carriera interni alternativi al concorso pubblico. La performance è stata divisiva e inutile, un danno economico e ha sancito lo strapotere dirigenziale. Assumere dirigenti su cooptazione politica non ci sembra la soluzione atta a migliorare la PA nel suo complesso, perseverare nella meritocrazia non serve visto i danni provocati nel corso degli anni oltre a uno strapotere dirigenziale che ci riporta a visione arcaiche della macchina pubblica.
La scarsa attrattività della Pa è frutto anche della depuaperizzazione avvenuta nel settore pubblico, delle campagne denigratorie contro i suoi dipendenti, dei bassi salari e delle crescenti disparità di trattamento tra i comparti. E se questi sono i problemi riscontrati le soluzioni non sono certo quelle palesate dal Ministro della PA