Grup Yorum, oppressioni e tortura nel 2020 in Turchia

di Sara Reginella

La tortura resta una pratica legale e subdolamente utilizzata in molti paesi, sebbene la “Convenzione di New York contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti” sia stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1984.

In Turchia, sono numerosi i casi di artisti, oppositori politici e avvocati che, nella battaglia per gli oppressi e gli emarginati, hanno subito la violenta repressione governativa, anche attraverso trattamenti spietati.

Contro tale repressione, i musicisti ?brahim Gökçek e Helin Bölek, membri del gruppo musicale Grup Yorum, hanno rivendicato, attraverso lo sciopero della fame, atto estremo di unione nell’abnegazione, oltre al diritto all’espressione artistica e la fine dei processi contro i membri del gruppo, la libertà per gli altri musicisti imprigionati e sottoposti a tortura.
Il gruppo è accusato di terrorismo, imputato di legami con il Dhkp-c, il Fronte Rivoluzionario di Liberazione Popolare, e ne è attualmente impedita l’espressione artistica. Altri membri sono tutt’ora in carcere e in sciopero della fame.

Helin Bölek, che con le sue canzoni, per anni, ha dato la parola agli oppressi, se ne è andata in silenzio il 3 aprile, sacrificando la sua voce dopo duecentottantotto giorni di digiuno, ritenendo ingiusta la persecuzione e protestando contro l’oppressione nel suo paese.

In queste stesse ore, il bassista Ibrahim Gökçek, in death fast, versa in condizioni gravissime.

In tale dramma anche numerosi Avvocati del Popolo, professionisti impegnati affinché siano rispettati diritti quali quelli sanciti dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. Molti di essi, rinchiusi in istituti di detenzione, hanno intrapreso scioperi della fame, per richiedere l’indipendenza del sistema giudiziario in Turchia.
Drammatiche sono infine le condizioni dell’oppositore politico Mustafa Koçak. Condannato all’ergastolo, ha iniziato un lungo sciopero della fame per richiedere un giusto processo. Il suo avvocato, Ezgi Çakir (*), ha dichiarato che durante la detenzione, Mustafa è stato sottoposto a iniezioni su braccia e gambe. Il corpo è risultato ricoperto di ematomi, per cinque giorni è stato legato con corde, costretto a portare manette alle mani e ai piedi. Gli è stato impedito di andare al bagno, costretto a urinare su di sé. Ha riferito, tramite il legale, di violenti abusi sessuali da parte dei suoi aguzzini.

Di fronte a tali forme di repressione va sottolineato che, se l’obiettivo perverso della tortura è quello di ottenere informazioni attraverso la violenza, ne è ben nota l’inefficacia. Come spiegato da un punto di vista neuro-scientifico dal professor Shane O’Mara nella sua opera “Perché la tortura non funziona – le neuroscienze dell’interrogatorio”, è erronea la convinzione che la tortura stessa, intervenendo sulla volontà delle vittime interrogate, porti all’emersione e dichiarazione di ricordi. In realtà, poiché il richiamo di un ricordo non è un processo automatico, ma è frutto di una ricostruzione e può essere alterato anche in situazioni normali, esso sarà a maggior rischio di alterazione in condizioni di potente stress, come quelle cui è sottoposto il cervello durante la coercizione feroce della tortura.
In altri casi, l’obiettivo dei torturatori e dei loro mandanti è quello di vendicarsi di un soggetto e terrorizzare la comunità con la divulgazione delle brutalità inflitte, volte a dilaniare i corpi e le menti, cancellando l’identità delle persone vittimizzate, trattate come oggetti.

In risposta alle atrocità subite, Mustafa Koçak prosegue lo sciopero della fame, continuando a rivendicare un giusto processo, dichiarandosi innocente in riferimento al caso dell’omicidio del procuratore turco Mehmed Selim Kiraz.

Helin, dopo un lungo digiuno, è invece deceduta stremata.

Anche Ibrahim e Mustafa, considerata la gravità delle loro condizioni, rischiano di apporre un sigillo carnale alla loro ultima testimonianza.

Mustafa ha resistito in un martirio disumanizzante che non possiamo ignorare.

Ibrahim, lacerato nel suo letto, a un passo dalla morte, con il suo sguardo ha messo a nudo la cecità di chi continua a non vedere tutto ciò.

I loro flebili battiti d’ali scuotono con la forza di uno stormo sul Bosforo, in attesa che sia rotto il silenzio e organizzazioni per i diritti umani e istituzioni politiche richiedano maggiore chiarezza sui fatti e prendano posizioni tempestive per evitare il protrarsi di simili agonie.

(*)
https://bianet.org/bianet/insan-haklari/221519-avukat-cakir-kocak-a-iskenceyle-mudahale-edildi

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