La spaccatura Nord-Sud del mondo nel voto Onu sull'Ucraina

di Nunzia Augeri*

Giovedì 23 febbraio 2023, cioè esattamente il giorno precedente il primo anniversario dell’intervento russo in Ucraina, l’Assemblea generale dell’ONU ha votato una risoluzione con cui chiede “la cessazione delle ostilità e il ritiro immediato, completo e incondizionato delle forze militari russe” dal paese, proclamando di impegnarsi “per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti”: l’ONU pretende cioè una resa incondizionata della Federazione Russa.

Il sistema mediatico internazionale e quello italiano – non rinunciando mai al loro ruolo di lacchè dei padroni - hanno messo in rilievo l’assoluta maggioranza che ha approvato tale risoluzione: i numeri sembrano eclatanti, tutto il mondo è contro la Russia, sostenuta da appena 7 paesi contro i 141 che hanno votato a favore della risoluzione. I media più equanimi si spingono fino a citare i 32 paesi che si sono astenuti, i quali peraltro sembrano non sbilanciare di molto il risultato, apparentemente inoppugnabile.

Di fatto, contro la risoluzione hanno votato insieme con la Federazione Russa solo la Bielorussia, la Siria, la Corea del Nord, il Nicaragua, l’Eritrea e – per la prima volta – il Mali. Si tratta in effetti di pochi paesi, che corrispondono a una popolazione di solo 232 milioni di abitanti, contro gli otto miliardi che popolano oggi il nostro pianeta.

Se però si prendono in considerazione i paesi astenuti, che pur non essendo numerosi includono la Cina e l’India, cioè i due giganti mondiali, e si sommano le rispettive popolazioni, il risultato ci porta a riflessioni interessanti. La cronaca ci dice che si sono astenuti 15 paesi africani, (specificamente, Algeria, Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Congo, Etiopia, Gabon, Guinea, Mozambico, Namibia, Sudafrica, Sudan, Togo, Uganda, Zimbabwe), 6 asiatici (Bangladesh, Cina, India, Laos, Sri Lanka, Vietnam), 3 paesi americani (Bolivia, Cuba, El Salvador), più 3 mediorientali (Armenia, Iran, Mongolia) da sommare ai 4 “stan”, cioè i paesi della cintura asiatica a sud della Federazione Russa (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan) più il Pakistan.

Bisogna poi prendere in considerazione i paesi che non hanno partecipato alla votazione: Azerbaigian, Turkmenistan, Burkina Faso, Guinea Bissau, Senegal, Libano e Venezuela. Non abbiamo ricercato le ragioni che hanno spinto tali paesi a scegliere quella posizione, ma si tratta comunque di membri dell’ONU che non si sono espressi a favore della risoluzione. Va poi sottolineato che il Paese che con i suoi 28.200.000 abitanti pesa maggiormente nella statistica di questo gruppo – cioè il Venezuela – aveva votato contro una precedente risoluzione che proponeva di escludere la Federazione Russa dal Consiglio di Sicurezza dall’ONU.

Prendendo come base statistica per ogni paese il numero di abitanti indicato su Wikipedia, risulta che la somma dei popoli i cui rappresentanti nell’Assemblea dell’ONU hanno votato contro o si sono astenuti ammonta a 4.283.190.000; se si aggiungono le popolazioni dei sette paesi che non hanno preso parte al voto, si arriva alla cifra totale di 4.374.500.000. Considerato che la popolazione mondiale è giunta recentemente agli 8 miliardi di abitanti, si può concludere che sia pure di stretta misura, la maggior parte dei popoli del pianeta ha rifiutato di votare a favore della risoluzione ONU in questione. Con buona pace dei tromboni che osannano il risultato clamoroso ottenuto dalla politica guerrafondaia degli Stati Uniti.

Bisogna inoltre ricordare che pure nei paesi che hanno votato a favore della risoluzione esistono forti correnti di opposizione che non approvano l’invio di armi all’Ucraina e la conseguente partecipazione a una guerra non voluta e non votata dai rispettivi Parlamenti; anzi – per quel che riguarda l’Italia - del tutto contraria alla propria Costituzione. Non a caso i risultati dei sondaggi dicono che la maggioranza della popolazione italiana è sfavorevole alla politica del governo – sia Draghi che Meloni – in materia, mentre anche in Germania pochi giorni fa, la misura propagandistica di piazzare un carro armato russo davanti al Reichstag a Berlino ha avuto un effetto boomerang, giacché la popolazione è accorsa a ornarlo di fiori.

C‘è poi un’altra riflessione importante suggerita dai risultati della votazione: a favore della Federazione Russa si sono schierati tutti o quasi i paesi geograficamente ad essa contigui nella fascia sud-orientale. Il blocco continentale euro-asiatico, tanto importante per lo sviluppo della civiltà, come ha dimostrato il brillante studio di Jared Diamond “Armi acciaio e malattie”, risulta così quasi nettamente diviso lungo la linea di confine fra l’Europa e la Federazione Russa (con la sola eccezione della Bielorussia).

Nelle linee geopolitiche generali degli Stati Uniti pare fosse già da qualche tempo fissato l’obiettivo strategico di isolare la Russia dall’Europa, per renderla una potenza esclusivamente asiatica. Ciò porterebbe anzitutto a danneggiare e indebolire l’Europa, che resterebbe priva dell’energia a buon mercato proveniente dalla vicina Russia e dai proventi derivanti dagli scambi commerciali con il grande paese. L’Europa, con il suo mezzo miliardo di abitanti, diventerebbe così un grande mercato aperto per gli Stati Uniti, anzitutto per vendere fonti energetiche, cioè il gas liquido proveniente dal fracking – un metodo irresponsabilmente anti-ecologico – poi da rigassificare, quindi con alti costi non solo economici da sopportare, e poi per fornire ai paesi d’Europa altri manufatti, nel quadro di una prevista re-industrializzazione USA con una corrispondente de-industrializzazione europea. Ciò comporterebbe per l’Europa non solo una fortissima dipendenza rispetto agli Stati Uniti, ma anche la sua decadenza economica e politica.

In tale strategia statunitense, la Russia, respinta verso l’Asia, andrebbe a integrare un enorme blocco orientale che comprenderebbe i due giganti, Cina e India, oltre alla cintura mediorientale dall’Iran al Kazakistan fino al Tagikistan, e altri paesi importanti come il Bangladesh, il Laos e il Vietnam: una massa enorme di popolazione, ben fornita di materie prime strategiche - il petrolio, l’uranio, le terre rare - nonché impegnata in uno sviluppo industriale e tecnologico notevole, innestato su civiltà antiche ricche di conoscenza e di saggezza.

La costituzione di tale blocco contribuirebbe a rendere ancora più forte la posizione della Cina, che oggi rappresenta notoriamente l’obiettivo finale di tutta l’offensiva politica, economica e militare degli Stati Uniti. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1989, essi avevano affermato che il XXI secolo sarebbe stato "il secolo americano”, avrebbe sancito la definitiva e incontrastata vittoria del loro sistema e della loro visione del mondo; la realtà però si è rivelata assai diversa: il predominio mondiale degli USA e della sua moneta è in declino e sulle ceneri del XX secolo si profila un nuovo mondo multipolare, che sta nascendo pur fra gli spasimi e i rischi che ogni nascita comporta.

* Saggista, storica della Resistenza, della redazione nazionale di “Cumpanis”

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