Jorge Rodríguez è vivo e lotta insieme a noi

27 Luglio 2022 16:07 Geraldina Colotti

Sono trascorsi 46 anni da quando, il 26 luglio del 1976, il giovane rivoluzionario venezuelano Jorge Antonio Rodríguez, arrestato due giorni prima dalla polizia politica, morì sotto tortura, ufficialmente “per un arresto cardiaco”. Lo stesso tipo di “arresto cardiaco” subito dalle centinaia e centinaia di vittime, uccise durante le democrazie camuffate della IV Repubblica.

Alla loro memoria ha reso e continua a rendere onore la rivoluzione bolivariana nei suoi quasi 24 anni di esistenza. Aver fatto davvero i conti con la storia, trasmettendo memoria viva alle giovani generazioni, senza vittimismo, e rinnovando nel presente il messaggio dei rivoluzionari del secolo scorso, è forse il principale punto di forza di questo laboratorio, capace di resistere all’imperialismo e di disinnescarne con dignità e fierezza tutti gli attacchi.

Basta rileggere, al riguardo, la Ley contra el silencio y el olvido, approvata a maggioranza in Parlamento nel 2011, al termine di un lungo e profondo dibattito nel paese. La commissione per la verità ha accertato che le vittime dei governi nati dal Patto di Punto Fijo – mediante il quale Washington pilotò l’alternanza di potere tra centro-destra e centro-sinistra, con l’esclusione dei comunisti, dopo la dittatura di Marco Pérez – furono oltre 8.000.

Benché il Venezuela di quegli anni fosse uno dei rari puntini sulla mappa rimasti esenti dalle dittature del Cono Sur, furono proprio quelle “democrazie” tanto lodate da Washington a inaugurare la figura del desaparecido, gettando gli oppositori dagli aerei: ancora prima che lo facessero in Argentina e in Cile. D’altro canto, quel Venezuela, fu teatro della prima guerriglia del Latinoamerica dopo quella che portò alla rivoluzione cubana, avviata con l’assalto alla Caserma Moncada, il 26 luglio del 1953.

E per questo, a differenza di tutti i provvedimenti nati dopo i “processi di pace” in America latina, conclusosi in condizioni di minoranza delle forze rivoluzionarie, e diversamente dalla damnatio memoriae compiuta dalle borghesie europee nei confronti delle loro opposizioni armate che, a cominciare dall’Italia, cercarono di fare la rivoluzione anche nei paesi a capitalismo avanzato, la Ley contra el silencio y el olvido rivendica il diritto dei popoli alla rivolta, anche armata, e anche contro le democrazie camuffate.

Un modo chiaro di situarsi anche nel presente e anche nelle mutate condizioni, e di fronte al nemico di sempre: l’imperialismo, come si è ricordato nel giorno della nascita del Libertador Simon Bolivar (il 24 luglio del 1783) o per il compleanno di Hugo Chávez (28 di luglio del 1954), che ne ha ripreso il testimone.

L’arresto di Jorge Antonio Rodriguez, prima dirigente studentesco forgiatosi nel ’68 venezuelano, poi dirigente del Movimiento de Izquierda Revolucionaria, e poi Segretario generale de la Liga Socialista, avvenne mentre era in corso il sequestro del vicepresidente della Owens-Illinois, nonché uomo della Cia, William Frank Niehous, rapito il 27 febbraio del 1976. Un sequestro che durerà tre anni e quattro mesi.

Allora era in carica il governo del socialdemocratico Carlos Andrés Pérez, quello che, durante la rivolta del Caracazo (1989), per far digerire al suo popolo i piani di aggiustamento strutturali decisi dal Fondo Monetario Internazionale, ordinò all’esercito di sparare sulla folla, provocando circa 3.000 morti. Vittime che figurano nel computo stilato dalla Commissione per la verità che ha portato alla legge, che ha registrato i morti o gli scomparsi durante la IV Repubblica, dal 1958 fino al 1989.

Durante i funerali di Jorge Antonio Rodriguez, uno dei due figli, allora dodicenne, Jorge Rodriguez, lesse una delle sue poesie, commuovendo la folla che accompagnò il feretro, il 27 luglio del 1976, a partire dall’aula magna dell’Università Centrale del Venezuela. Jorge Rodriguez figlio, oggi presidente dell’Assemblea Nazionale, l’anno scorso ha ascoltato un deputato chavista leggere in aula una sua poesia dedicata al padre, insieme alla vicepresidente esecutiva, Delcy Eloina Rodriguez. Versi che ne riprendono il messaggio, e che ogni rivoluzionario caduto sarebbe felice di sentire, perché ricordano, come gridava Jorge Antonio Rodriguez, che “Il socialismo si conquista lottando”.

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