11 anni dopo la guerra Nato alla Libia uccide tuttora nel Sahel. Grazie al terrorismo

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di Marinella Correggia

 

“Dopo dieci anni di violenza armata nel Sahel”… così esordiva, fin dal titolo, il resoconto https://www.google.com/search?q=After+ten+years+of+armed+violence+in+the+Sahel%2C+there+is+still+time+for+humanity&rlz=1C1GGRV_enIT752IT752&oq=After+ten+years+of+armed+violence+in+the+Sahel%2C+there+is+still+time+for+humanity&aqs=chrome..69i57j69i60.657j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8 della visita compiuta nel febbraio scorso dal presidente del Comitato internazionale della Croce rossa (Icrc) Peter Maurer in Niger. Lo scopo: verificare le insostenibili condizioni di tante famiglie sfollate a causa della violenza di gruppi terroristici. Omicidi di civili e di soldati, razzie, miseria. Il dramma di chi scappa dai jihadisti si somma a quello di chi non ha più modo nemmeno di coltivare a causa dei cambiamenti climatici. Si prevede che da qui al mese di giugno nel Sahel si arrivi a un totale di 3,5 milioni di sfollati (che non diventeranno certo rifugiati in Europa...) Gruppi jihadisti sono arrivati perfino in aree lontanissime, come il  Mozambico. Ma è tragica in particolare la situazione nell’area dei “tre confini”: Niger, Mali e Burkina Faso. 

 
Va avanti dunque dagli inizi del 2012 il terrorismo nella fascia del Sahel. 
 
Ma che cosa ha dato avvio, appunto dieci anni fa, a questo fenomeno che prima risparmiava l’Africa sub-sahariana? “Tutto è iniziato dopo la distruzione dello Stato libico", spiegavano nel 2019 alcuni capi di Stato della fascia saheliana nel corso della trasmissione Débat Africain a Radio France Internationale https://www.francetvinfo.fr/monde/afrique/societe-africaine/l-ombre-de-kadhafi-plane-sur-le-sahel-ravage-par-les-attaques-terroristes-depuis-sa-disparition_3702889.html. "Le armi della Libia si sono diffuse presso tanti gruppi armati nel Sahel. Ed è in Libia che i terroristi adesso vengono formati. (...) La decisione di intervenire in quel paese, nel 2011 la apprendemmo dalla radio, ma oggi siamo noi a subirne le conseguenze. Certo, esistevano già minacce terroristiche in Algeria e nel nord del Mali, e organizzazioni criminali in Sahel. Ma tutte queste  tragedie sono state amplificate dalla caduta di Gheddafi" si rammaricava in quell'occasione il presidente del Niger.
 
Libia, 19 marzo 2011. La Francia di Sarkozy, gli Stati uniti del premio Nobel per la pace Obama e il Regno unito di David Cameron danno avvio ai bombardamenti contro il paese nordafricano, sulla base della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che istituiva una zona di interdizione al volo (no-fly zone) ufficialmente per tutelare la popolazione civile (“Salvare vite umane”), sulla base di enormi accuse orchestrate contro il governo della Jamahiryia e poi rivelatesi false. Quasi accorrono a bombardare altre potenze occidentali e mediorientali. L'operazione viene chiamata Unified Protector (Protettore unificato) ed è guidata dalla Nato.
 
Inizialmente, la coalizione preposta ai bombardamenti aerei e al blocco navale è formata da: Italia (non ci siamo fatti mancare una guerra internazionale, dal 1991), Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno unito, Stati uniti. Via via si aggregano altri paesi - fra i quali la Turchia. 
 
In sette mesi di bombe nel silenzio della sinistra e dei movimenti in Occidente, la coalizione a guida Nato funge di fatto da potentissima aviazione dei cosiddetti “ribelli” libici.

Il seguito è noto. Distruttivo per la Libia, ma non solo. Si è scoperchiato un vaso di Pandora che ha permesso a gruppi armati e jihadisti non solo di disfare la Libia e poi di sciamare in Siria (guerra tuttora in corso), ma anche di infettare molti paesi africani perpetrando stragi di civili e soldati e provocando spostamenti di centinaia di migliaia di persone. Soprattutto nella fascia del Sahel.

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