L’Europa continua ad ignorare la rovina che si è abbattuta sul Donbass

L’Europa continua ad ignorare la rovina che si è abbattuta sul Donbass

“Voci”, un documento video per testimoniare il dramma dei civili nel Donbass

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di Sara Reginella, Psicologa e Psicoterapeuta 

«Che cosa facevano i bambini quando erano con voi?», chiedo ad una donna del Donbass che mi mostra gli umidi e gelidi scantinati in cui lei e i suoi vicini di casa da mesi cercano riparo dai bombardamenti. «Leggevano dei libricini, piangevano, recitano il Padre Nostro insieme a noi» risponde. Lei lo può raccontare. Alcuni suoi vicini, mi spiega, sono già morti durante il conflitto.
 
L’Europa continua ad ignorare la rovina che si è abbattuta sul Donbass. Ed è per questo che, di ritorno dal mio viaggio a Rostov sul Don e nella regione del Donbass, durante il quale sono stata a contatto diretto con civili e colleghi psicologi dell’Università di Rostov e della Croce Rossa, che ho deciso di realizzare “Voci”, un documento video per testimoniare il dramma dei civili nel Donbass. Ad esso ho aggiunto nella narrazione, quello dell’imprenditoria italiana che ha subito un catastrofico collasso economico connesso alle sanzioni alla Russia, di recente confermate dall’Unione Europea.  
 


Se le voci del Donbass e quelle degli Italiani colpiti dalle sanzioni non sono sufficientemente rappresentate dai mass media, va sottolineato che, similmente, in Europa è rimasta inascoltata la voce di chi sostiene che a Kiev vi fu un golpe su istigazione degli Stati Uniti, golpe che avrebbe tradito gli ideali di molti cittadini ucraini. 
 
Aspetti celati questi, che mantengono vivo il conflitto. La ricerca e lo svelamento della verità, infatti, sono solitamente associati a processi migliorativi sia sul piano relazionale che su quello sociale. Accanto alla violenza economica delle sanzioni e a quella di cui è vittima la popolazione del Donbass che, in virtù del principio di autodeterminazione di un popolo, che ha deciso di rendersi indipendente dall’Ucraina con un referendum, va aggiunto che i cittadini europei subiscono un ulteriore sopruso. Anziché essere sostenuti in una prospettiva di ascolto e confronto con paesi come la Russia, sono fomentati a chiudersi verso questi ultimi, presentati come dei nemici. Viene inoltre proposto come auspicabile, e spesso addirittura “progressista”, il punto di vista di chi ritiene che i conflitti sostenuti dall’Occidente siano funzionali ad un futuro di pace e democrazia, piuttosto che all’esercizio del potere. “Voci” vuole essere anche un mezzo per comunicare alle persone che vivono in Italia, che la realtà è spesso più complessa di come viene mostrata. 
 
La posizione paranoica che ha assunto l’Europa nei confronti della Russia è allarmante. Sembra che in Occidente, alcuni aspetti negativi e penosi siano stati scissi dalla coscienza collettiva e proiettati al di fuori, attribuiti “all’altro da sé”. Oggi alla Russia. In altre situazioni, al mondo islamico. La stessa modalità con cui i media propongono l’informazione assume, in molti casi, peculiarità paranoiche, con caratteristiche di rigidità e mancanza di flessibilità. 
 
Pertanto, non si potrà comprendere la ribellione del Donbass, se in Occidente si afferma che lì vi sono dei “terroristi” che bombardano la propria terra. Se sono “terroristi”, perché essi appaiono così bene inseriti all’interno del tessuto sociale? 
Similmente, non si può apprezzare la Russia, se essa viene presentata mediaticamente come un aggressore, anziché come la terra in cui migliaia di profughi scappati dal Donbass hanno trovato rifugio e protezione. 
 
Ho potuto osservare, durante il mio viaggio a Rostov, occhi pieni dignità e dolore, incontrare persone dalle vite straziate e calpestate con brutalità: i profughi del Donbass. Persone che si sono rifugiate in Russia per sfuggire alla morte. Perché, se la Russia è un aggressore? 
 
«Continuo a piangere» singhiozza in lacrime una donna in un campo profughi nella regione di Rostov. «Continuamente mi sento nervosa. Non ho mai pensato che nel ventunesimo secolo ci sarebbe stata una guerra. Per che cosa? Siamo dei terroristi? Dei separatisti? Abbiamo nipoti e figli e siamo preoccupati per loro. Vivevamo normalmente... Questo è intollerabile.»
 
Se si volesse paragonare la coscienza collettiva alla psiche di un individuo, si potrebbe suggerire l’idea che la coscienza europea si trova attualmente in una posizione “paranoidea”, caratterizzata dalla tendenza a separare aspetti positivi e negativi verso lo stesso oggetto, con l’evitamento di ogni processo di integrazione. Se si segue un’ottica esclusivamente paranoica, anche a causa di un’informazione parziale, alcuni aspetti negativi potranno essere proiettati su un fantomatico nemico. I bombardamenti dell’Occidente contro la Siria, contro l’Iraq, contro la Libia, troppo spesso vengono messi in secondo piano, in nome della guerra ad un presunto nemico ed in nome dell’esportazione di una supposta “democrazia”. Anche i bombardamenti contro il Donbass sono stati quasi completamente dimenticati. È certo che noi Occidentali siamo collocati dalla parte del “bene” o piuttosto stiamo proiettando su un nemico, alcuni aspetti negativi che non riconosciamo in noi stessi? Riflettere su tali processi, può essere un mezzo per non perdere il proprio senso critico e migliorare la propria consapevolezza.
 
Nei campi profughi, ho osservato il dramma nei volti delle donne, delle madri, delle nonne e nei disegni dei bambini, che esprimono tutto il dolore attraversato da queste famiglie che hanno perso la propria casa e, in alcuni casi, i propri cari. Ho raccolto alcuni di questi disegni insieme alle mie colleghe Nicoletta Maggitti e Daniela Silvestrelli, e ho scelto di rappresentare la voce di queste persone anche mostrandone alcuni. 
 
La Russia e il Donbass non sono nostri nemici e demonizzare paesi e popoli, senza osservare la complessità degli eventi che portano allo sfociare di un conflitto, è pericoloso. 
 
Così come è pericolosa l’indifferenza verso una guerra che si consuma nel cuore dell’Europa. 
 
Se lasciamo che accada a loro, domani potrebbe accadere anche a noi.

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