A casa del regime dei Saud: niente velo, ma tante armi da vendere

La visita del premier britannico c'entra niente con la situazione delle donne nei paesi arabi. Sono in ballo alleanze e strategie non del tutto limpide con chi finanzia il terrorismo sunnita, e bombarda i bambini in Yemen

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A casa del regime dei Saud: niente velo, ma tante armi da vendere


di Fulvio Scaglione - Linkiesta


Il desiderio di noi occidentali di sentirci comunque a posto con la coscienza e dalla parte del giusto è così scoperto che, se non nascondesse piccole e grandi porcherie su cui invece vogliamo sorvolare, farebbe quasi tenerezza. Prendiamo il viaggio di Theresa May, primo ministro del Regno Unito, nei Paesi del Golfo Persico, con tappa fondamentale in Arabia Saudita.


Tutti i media, o quasi, grandemente si compiacciono perché la May non ha indossato il velo, mescolandosi da donna libera e occidentali ai dignitari wahhabiti. La stessa May ha strizzato l’occhio a questa narrazione, dicendo ai giornali inglesi di sperare che i sauditi la vedano “come una donna leader, vedano che cosa le donne possono realizzare e capiscano che le donne possono benissimo occupare posizioni di rilievo”. Standing ovation, la civiltà vince.
 

È facile immaginare le grasse risate dei notabili sauditi, anche perché la May ha subito escluso di voler affrontare qualunque discorso sulla situazione delle donne nei Paesi arabi o sulle leggi oppressive vigenti in Arabia Saudita. La premier ha tenuto a precisare che “la cosa importante per me, come leader del Governo del Regno Unito è mantenere le relazioni che contano per noi come Paese, per la nostra sicurezza e per il nostro commercio”. E tanti saluti.
 

Così fan tutti e tutte, nessuno scandalo particolare. Ma perché allora ce la raccontiamo? La May, impegnata con la Brexit che non sarà una passeggiata per nessuno, sta facendo il giro degli alleati e simpatizzanti, in cerca di appoggio e aiuto. È stata negli Usa da Trump, ora va nel Golfo Persico dove gli inglesi hanno interessi di vecchia data.


Intanto, altre donne si sono mosse in Arabia Saudita senza coprirsi il capo. Per esempio Angela Merkel. E pure Michelle Obama, che pure era andata con il marito, premio Nobel per la Pace, a piangere sulla tomba di re Abdallah, l’uomo che, per dire, aveva finanziato tutti i gruppi dell’estremismo sunnita del mondo, l’unico capo di Stato (insieme con quello del Pakistan) che aveva ufficialmente riconosciuto il Governo dei talibani in Afghanistan. Di fronte a questo, rispetto a queste complicità, che importanza ha mettere o no il velo? Tutto sommato, non sarebbe meno ipocrita metterlo, in segno di rispetto per amici e alleati così venerati?

 

Per la May vale lo stesso discorso. L’Arabia Saudita è il principale partner commerciale degli inglesi in Medio Oriente, con 200 joint venture anglo-saudite che producono (dati 2015) un giro d’affari di oltre 18 miliardi di sterline (pari a 16,5 miliardi di euro) l’anno. In Arabia Saudita vivono e lavorano 30 mila inglesi. Ma soprattutto, l’esercito saudita è il più importante cliente dell’industria degli armamenti inglese, che a sua volta “pesa” per il 20% delle armi esportate nel mondo. Secondo un’inchiesta di Greenpeace, nel 2015 l’83% delle esportazioni di armi del Regno Unito è andato verso l’Arabia Saudita, per un valore di 747 miliardi di sterline (873 miliardi di euro), dai sauditi rimborsati quasi interamente con forniture petrolifere. E noi stiamo qui a farci le pippe con velo sì-velo no?
 

Da un paio d’anni, a questo patto con il diavolo si è aggiunta una pagina ancor più fosca: la guerra nello Yemen. Il Regno Unito è schierato al fianco della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che con i suoi bombardamenti ha già fatto migliaia di morti tra i civili. Gli uomini della May, insieme con militari di Usa, Canada, Francia e Turchia, si occupano soprattutto dell’intelligence militare. Ovvero, guidano le operazioni dei sauditi e dei loro alleati. Quindi c’è anche il loro zampino, quando le bombe saudite (comprese, com’è stato dimostrato, bombe a frammentazione fabbricate negli Usa) cadono sulle scuole o sui mercati. Ma si sa, i bambini yemeniti, come quelli iracheni di Mosul, valgono molto meno di quelli siriani di Aleppo o Idlib. L’importante, si sa, è non mettere il velo.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore.

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