Biden e il suprematismo (bianco) globale
di Piccole Note
L’America è “tornata, pronta a guidare il mondo”. Così Joe Biden in una conferenza stampa nella quale ha presentato parte della sua nuova amministrazione. Si chiude dunque la prospettiva isolazionista e si rilancia l’Impero globale (Financial Times).
Tale il prodotto dell’eccezionalismo americano, che vede nell’America il Paese che ha la missione di salvare il mondo. Non una visione politica, ma religiosa-messianica, in cui Washington assume i connotati di un Impero della Libertà e del Bene e i suoi concorrenti sono manifestazioni della Tirannia e del Male.
L’impero Suprematista globale
Si è detto che Trump abbia solleticato il suprematismo americano. Accusa fondata sul fatto che ha avuto un atteggiamento ambiguo nei confronti di tale devianza, anche se l’ha condannata più volte (Cnn, BBC etc).
Non entriamo nella controversia, ci limitiamo a registrare che esiste un altro tipo di suprematismo che, seppure non sembra avere collegamenti con l’ideologia di tali gruppi, ne riecheggia i fondamenti in chiave geopolitica.
Tale il suprematismo che gli Stati Uniti dispiegano con orgoglio di fronte al mondo, chiamato ad accogliere la guida americana, cioè a riconoscere l’autorità intrinseca della Nazione Superiore e piegarsi alle ragioni della Sua Sicurezza nazionale, concetto tanto ampio da abbracciare l’Oceano Pacifico, l’Oceano Atlantico, il Mediterraneo e tanto altro.
Un’accettazione che deve esser gioiosa, ché l’America porta benessere e valori. D’altronde nella Costituzione americana è garantito il diritto “alla ricerca della Felicità”. E tale Felicità la Nazione eletta prodiga al mondo, dall’Iraq all’Iran, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina al Venezuela etc.
Ma al di là della facile, tragica, ironia del caso, se, come sembra, Biden è destinato a guidare gli Usa, si spera che i danni del rilancio dell’Impero Suprematista siano contenuti.
Blinken e l’Iran
Da questo punto di vista, è di interesse una nota di Kommersant su Antony Blinken, nuovo capo della diplomazia Usa. Il media russo registra che, al di là delle contrapposizioni del passato, egli è “sano di mente”, a differenza della candidata alternativa, Susan Rice, che un funzionario anonimo definisce “posseduta”.
Inoltre, la sua lunga carriera a fianco di Joe Biden rende Blinken un interlocutore credibile per avere un filo diretto col presidente, a differenza dell’attuale boss del Dipartimento di Stato Mike Pompeo, che non ha mai risposto al presidente.
Se, quindi, la Russia si aspetta un confronto duro ma lineare con la nuova amministrazione, l’altro antagonista globale degli Usa, la Cina, spera in un’attenuazione dei toni da parte di Washington, anche se sa perfettamente che il contenimento di Pechino resta in cima all’Agenda imperiale.
Diverso il caso dell’Unione europea, che ha accolto con giubilo il nuovo presidente e che si accorgerà a breve che l’isolazionismo americano gli consegnava una libertà di movimento che in futuro sarà meno tollerata. Insomma, la ricreazione è finita.
E resta da capire cosa comporterà la nuova Agenda Suprematista per il mondo, dall’Ucraina al Medio oriente.
L’unica cosa certa, a parte il possibile rilancio su ampia scala delle rivoluzioni colorate, è che Biden vuol ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano.
Interessante, sul punto, una nota di Affari internazionali: in un incontro dell’American Jewish Committee Virtual Global Forum tenuto “lo scorso giugno, Blinken aveva ribadito la necessità di tornare al Jcpoa, il trattato sul nucleare iraniano”. Figlio di ebrei sopravvissuti all’Olocausto, può essere l’uomo giusto per rassicurare Israele sulla questione.
Trump segue il suggerimento della Clinton
A margine, val la pena chiarire che, pur avendo iniziato la transizione, Trump ha dichiarato che “non concederà mai” la vittoria all’avversario.
Posizione che i media riportano scandalizzati, ma che è esattamente quanto suggerito da Hillary Clinton a Biden nell’agosto scorso, quando disse che egli non avrebbe dovuto concedere la vittoria a Trump “in nessuna circostanza” (NBC).
C’è chi pensa che Trump, conscio dell’impossibilità di ribaltare l’esito del voto, stia considerando scenari alternativi, come quello di creare un suo ambito politico-mediatico che gli permetta di rinnovare la sfida nel 2024.
Ipotesi che ha due incognite. La prima è la consapevolezza che nel 2024 le sue chanches sarebbero ancora più scarse perché i suoi antagonisti non avrebbero dalla loro “solo” i media mainstream, le Big Tech e il Deep State, ma anche tutte le leve dello Stato.
La seconda incognita è legata al suo destino personale. Tanti, infatti, gli articoli sui media Usa che si interrogano sulla possibilità che Biden possa concedergli il perdono per veri o asseriti reati commessi durante la sua presidenza.
Il New York Times ne fa un lungo elenco, rammentando anche precedenti perdoni, come ad esempio quello accordato a Nixon. Ma il caso di Trump sarebbe diverso e tale strada non sarebbe perseguibile.
Possibile, quindi, che a motivare ulteriormente Trump sia la necessità di strappare a Biden tale concessione, per evitare la galera.
Pur concesso, ciò però non lo salverebbe da altri “incidenti di percorso”. Eventualità che certo non gli sfugge. Sul punto è di interesse il fatto che i servizi segreti abbiano chiesto di poter proteggere Trump anche dopo l’abbandono dell’incarico (The Hill). Tra le tante incognite, la battaglia legale continua.