I lavoratori devono battersi per riportare le fonti di produzione in Italia: solo così saranno tutelati
Il mio augurio è che i lavoratori ottengano l’attuazione delle disposizioni che la Costituzione sancisce sul diritto fondamentale al “lavoro”, che in parte erano state effettuate dai governi della prima Repubblica e che poi hanno subito l’onta della cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che tutelava i dipendenti in caso di “licenziamento illegittimo, ingiusto e discriminatorio”, da parte del governo Renzi e, attualmente, il sostanziale disinteresse del governo Meloni.
Infatti, nella riunione che si è tenuta a Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio e una lunga trafila di ministri, nulla si è detto sui principali problemi che attanagliano i lavoratori, e cioè i salari (dimenticando che l’articolo 36 della Costituzione sancisce che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione… in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”), la “precarietà” (dimenticando che l’articolo 4r della Costituzione sancisce che “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”), la sicurezza del lavoro (dimenticando che l’articolo 32 della Costituzione tutela la salute – e, quindi, a maggior ragione, la vita -, “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della Collettività”, mentre il terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione medesima affida alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni, la “tutela e sicurezza del lavoro” e mentre è in attesa di essere discussa dal Parlamento un progetto di legge sul “reato di omicidio sul lavoro”).
Desidero sottolineare che questo mio augurio potrà divenire realtà solo se tutti i lavoratori e tutti coloro che non hanno trovato lavoro combatteranno unitamente a tutti i veri “italiani” nel chiedere che le fonti di produzione di lavoro non siano esclusivamente nelle mani dei grandi gruppi industriali privati, ma tornino, almeno nella misura originaria del 70 per cento (come era prima delle infami “privatizzazioni”) nella “proprietà pubblica demaniale” del Popolo (articolo 42 della Costituzione), uscendo dall’attuale sistema economico “privato”, e ricostituendo quel “sistema economico misto”, che aveva portato l’Italia al “miracolo economico” degli anni sessanta. Questo nessuno ce lo potrà impedire, poiché stiamo parlando di “principi fondamentali” della Costituzione, che “prevalgono”, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, sulle norme dei Trattati internazionali, compreso, ovviamente, i Trattati Europei, e comunque sono sottratti a processi di “revisione costituzionale”.
E sì, tengo presente che se il governo continuerà a procedere sulla errata scelta economica del pensiero “neoliberista”, lo scivolamento verso la totale miseria riguarderà tutti, considerato che, allo stato, abbiamo tremila miliardi di debiti (quasi tutti in mano straniera), che a novembre tornerà in vigore il patto di stabilità, che abbiamo già svenduto tutte le nostre industrie, non solo pubbliche, ma anche private, come la Fiat, la Magneti Marelli, la Maserati, i migliori alberghi, e così via dicendo. Insomma, la conclusione prossima di questo processo sarà che i “profitti” andranno sempre più agli stranieri e a noi resterà, nella migliore delle ipotesi, qualche “lavoro precario”.
Il mio augurio non è un puro auspicio, poiché, a causa della mia tarda età, so bene, non solo che tra gli italiani esistono menti eccelse che, all’occorrenza, non si ritraggono dai doveri che su di loro incombono, ma anche, come ho visto nell’immediato secondo dopo guerra, in tutti i veri Italiani (e sono tanti), risorge immancabilmente quello spirito di “solidarietà” e di “abnegazione”, che le esigenze del momento richiedono e che, anche per lunghi anni, era apparso sopito.