Il 2012 in Africa: il punto politico e giuridico

Il 2012 in Africa: il punto politico e giuridico

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di Joseph KAZADI MPIANA 
Dottore di ricerca in diritto internazionale e dell’Unione europea dell’Università di Roma “ La Sapienza”.

Il 2012 è stato contrassegnato da diversi eventi, alcuni a lieto fine, altri invece no. L’elezione di NKOSAZANA DLAMINI ZUMA alla guida della nuova Commissione dell’Unione africana, dopo un braccio di ferro estenuante durato 7 mesi, aveva fatto vacillare l’equilibrio in seno all’Unione africana fino a metà luglio. Un altro evento significativo che giova ricordare, per la sua valenza tanto simbolica quanto politica, è l’entrata in vigore della Carta africana della democrazia, delle elezioni e la “gouvernance” il 15 febbraio, uno strumento convenzionale firmato nel 2007 e che impegna diversi paesi africani, a rispettare alcuni principi-chiave dello Stato di diritto, ossia uno strumento paragonabile ad uno spazio di “diritto costituzionale africano”. Nonostante il fatto che la suddetta Carta sia ratificata solamente da un terzo degli Stati membri dell’Unione africana, essa costituisce un tassello in più sugli strumenti disposti dall’Unione africana e dalle organizzazioni internazionali africane per promuovere il rispetto dei diritti dell’uomo e la partecipazione dei cittadini alla politica tramite l’organizzazione di libere elezioni. 
Va tuttavia sottolineato che il numero degli strumenti normativi non è di per se indicativo del rispetto degli impegni assunti dagli Stati o dal godimento di diritti previsti negli strumenti normativi. Basti pensare al numero proficuo di convenzioni sui diritti dell’uomo ratificate dai numerosi Stati africani, una abbondanza che contrasta con lo scarso soddisfacimento dei diritti da parte degli individui. A tale proposito, nel 2012, la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, adita da individui ed ONG, ha pronunciato diverse sentenze in cui si è dichiarata incompetente ad esaminare i ricorsi in quanto lo Stato convenuto non aveva rilasciato la previa dichiarazione che consentisse alla Corte di esaminare le richieste provenienti dagli individui e dalle ONG. In effetti, nel sistema africano di protezione dei diritti dell’uomo, l’ammissibilità dei ricorsi provenienti dagli individui ed ONG da parte della Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, è sottoposta al requisito della previa dichiarazione di accettazione di competenza della Corte da parte degli Stati (convenuti). Nei casi fin qui esaminati, i ricorsi sono stati proposti dagli individui ed ONG contro gli Stati convenuti che non avevano in precedenza reso la dichiarazione. L’assenza della suddetta dichiarazione impedisce alla Corte di esaminare ricorsi individuali. Alla luce dello scarso numero degli Stati che hanno reso la dichiarazione, cinque in tutto, c’è il rischio che l’attività della Corte non sia utile e funzionale alla sua missione principale, quella di assicurare la protezione dei diritti dell’uomo a livello continentale, ma di apparire come uno strumento principalmente sotto controllo degli Stati attraverso la facoltà riconosciuta a quest’ultimi di accettare o no la competenza della Corte ad accogliere richieste provenienti dagli individui ed ONG. 
Sul fronte delle elezioni, da ricordare quelle organizzate in Senegal che hanno permesso un cambio al vertice del paese. Dell’avviso di numerosi osservatori internazionali, le elezioni si sono svolte nelle condizioni di rispetto dei principi democratici. La Somalia, dopo la crisi che ha minacciato le fondamenta della sua esistenza come Stato per circa 20 anni, è riuscita ad eleggere un Capo di stato. Nonostante la fragilità delle istituzioni nascenti, un passo importante è stato compiuto. 
Se alcuni progressi si sono effettivamente registrati nel continente, in alcuni paesi la situazione si è deteriorata. I colpi di stato avvenuti in Mali e Guinea-Bissau, la persistenza dei gruppi armati in Repubblica democratica del Congo e nella Repubblica centrafricana ed il conflitto tra il Sudan ed il sud Sudan arrecano un danno alla stabilità e moltiplicano focolari di insicurezza e violenze. Anche il corno d’Africa rimane una area incerta. Il Madagascar stenta sulla via della transizione che deve giungere ad un nuovo assetto costituzionale e politico largamente condiviso. La situazione nel nord del Mali rimane preoccupante. L’opzione militare condotta dall’esercito francese con il consenso del Consiglio di sicurezza ne costituisce la prova.
Sul piano della giustizia internazionale, occorre sottolineare la sentenza della Corte internazionale di giustizia nella controversia tra il Belgio e il Senegal per violazione da parte di quest’ultimo del suo obbligo di avviare procedure penali a carico dell’ex presidente del Ciad Hissène Habré o di estradarlo verso il Belgio che ha avanzato la richiesta in tal senso. Il 2012 ha coinciso con l’emanazione delle prime sentenze della Corte penale internazionale, una di proscioglimento e un’altra di condanna che hanno riguardato la situazione in Repubblica democratica del Congo (Procuratore contro Mathieu Ngudjolo da una parte e il Procuratore contro Thomas Lubanga dall’altra parte). Se si guarda il quadro complessivo delle situazioni pendenti dinnanzi alla Corte penale internazionale e riguardante soggetti provenienti dell’Africa, poco è stato fatto e l’operato della giustizia internazionale, in questo campo, non è del tutto soddisfacente. È stato messo in rilievo, tra l’altro, il carattere unidirezionale delle investigazioni, tutte condotte fin qui in direzione del continente africano.

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