Il bilancio militare di due anni di guerra nell'Eastern Flank europeo

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Il bilancio militare di due anni di guerra nell'Eastern Flank europeo

 

di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico 

Ormai a distanza di due anni dallo scoppio del conflitto tra Ucraina e Russia credo sia possibile fare un primo bilancio del conflitto sul piano militare. Non tanto con il fine di proporre un'orrida contabilità delle perdite subite da una parte e dall'altra ma perché possiamo trarre lezioni di estrema importanza che chiariscono il futuro che ci attende.

Dal punto di vista dei russi non pare sbagliato definire questo conflitto come una vera e propria guerra di attrito, che non ha come obbiettivo né la sconfitta diretta dell'avversario ucraino, né la conquista di territorio. La logica della guerra d'attrito è comprensibile sotto due diversi piani. Da un lato quello sociale ed economico, che impone al Cremlino la necessità di minimizzare le perdite sia umane che di attrezzature e, quindi, in definitiva, di ridurre ai minimi termini il costo sociale, economico e politico del conflitto. Dal punto di vista militare invece la guerra d'attrito combattuta dai russi è dovuta – a mio avviso – alla necessità di evitare di allungare le linee d'approvvigionamento necessaria al rifornimento della prima linea russa. Una considerazione di una certa importanza credo sia quella che i russi vogliano tenere la propria macchina bellica, stretta e compatta così da evitare di essere presi d'infilata da un possibile contrattacco dell'Ucraina se non direttamente della Nato. Esempio emblematico di questa volontà russa può essere considerata la costruzione della cosiddetta “Linea Surovikin” ovvero il complesso sistema di fortificazioni di oltre 600 km costruito dal Generale Surovikin a difesa della Crimea e posto negli oblast di Kerson e Zaporizhzhia. Segno evidente che i militari russi hanno imparato bene la lezione dell'Operazione Barbarossa, quando le colonne corazzate naziste presero d'infilata intere armate sovietiche rinchiudendole in enormi sacche.

Dal punto di vista ucraino invece la conduzione della guerra è da considerarsi – a mio avviso – totalmente priva di senso sotto alcuni aspetti. Se ha avuto un senso la difesa palmo a palmo delle prime linee del Donbass, come per esempio avvenuto a Bakmut, ad Avdiivka e a Mariupol anche grazie a imponenti complessi di fortificazioni costruiti nel corso degli ultimi dieci anni, lascia invece sconcertati quanto avvenuto nella cosiddetta “controffensiva ucraina” lanciata l'estate scorsa dal governo di Kiev. Si è trattato di una serie di attacchi definibili senza esagerazione come “attacchi banzai” che sono andati ad infrangersi contro le linee difensive russe - costruite da Surovikin - e che hanno comportato perdite per molte decine di migliaia di uomini e di molte centinaia di mezzi corazzati e blindati. Una controffensiva che non aveva nulla di razionale e costruita quasi a scopo di intrattenimento e imbonimento del pubblico televisivo occidentale, che non dimentichiamoci, paga integralmente lo sforzo bellico ucraino.

Diverso è invece il discorso se si analizza la controffensiva ucraina dal punto di vista degli interessi americani e occidentali. Semplicemente dal punto di vista occidentale gli attacchi ucraini - per quanto folli e inidonei a riguadagnare terreno – sono utili per logorare i russi costringendoli comunque a subire perdite. Una logica, questa, platealmente colonialista, dove l'Occidente pagatore dello sforzo bellico assume il ruolo di padrone coloniale e l'Ucraina quello di paese colonizzato con un popolo completamente ipotecato e trattato alla stregua di carne da cannone. Una logica brutale quella che ho descritto, ma ahimé una logica suggerita dai fatti nella loro crudezza.

Dal punto di vista della produzione di armamenti la Russia ha un netto vantaggio nei sistemi d'arma destinati all'esercito. Secondo gli analisti occidentali, la Russia ha ancora riserve di veicoli corazzati, senza contare la produzione di nuove unità stimabili in oltre 1000 carrarmati all'anno.  Stiamo parlando di 1.750 carri armati, dal T-55 al T-80 e al T-90, con altri 4.000 carri armati rimasti nei depositi. Si tratta di Mezzi bastanti secondo gli analisti a sostenere altri 3 anni di ostilità in Ucraina. Da considerare inoltre che la Russia acquista componenti e sistemi d'arma anche dai suoi più stretti alleati come la Cina, la Corea del Nord e l'Iran. Stiamo parlando soprattutto di microcip, missili balistici e droni.

L'Ucraina invece, per quanto riguarda l'approvvigionamento di armamenti, dipende sostanzialmente in toto dall'assistenza occidentale non avendo più sostanzialmente una produzione interna a causa dei bombardamenti russi. A tale proposito il giornale economico tedesco Handelsblatt ha rivelato che la NATO vuole assumere il coordinamento delle forniture di armi a Kiev, I promotori di questa idea sono il Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente degli Stati Uniti Jake Sullivan e il Segretario Generale dell'Alleanza Jens Stoltenberg il quale peraltro anche all'ultima Conferenza per la Sicurezza tenutasi a Monaco, ha dichiarato che la Nato deve prepararsi ad un confronto con la Russia di lungo periodo e deve aumentare notevolmente la produzione di armi.

Le dichiarazioni di Stoltenberg sono il segno che le probabilità che la guerra finisca presto sono davvero minime. Del resto né l'élite occidentale né quella russa possono ormai permettersi una sconfitta che significherà la loro fine come vertice delle rispettive nazioni.

Che le cose peraltro stiano volgendo al peggio lo indicano anche alcune questioni di ordine militari oltre all'emblematico aumento della produzione di armi sia ad Occidente che in Russia. Mi riferisco innanzitutto alle continue esercitazioni militari fatte al confine del paese avversario. La Nato, per esempio, quest'anno farà la più grande esercitazione di terra (“Steadfast Defender-2024”) dai tempi della guerra fredda che coinvolgerà oltre 90mila uomini e centinaia di mezzi blindati e corazzati che sembra bloccheranno completamente anche l'accesso all'enclave russa di Kaliningrad. Inutile sottolineare che il blocco totale di una regione di un altro stato è già di fatto una sostanziale dichiarazione di guerra, come inutile sottolineare che i continui disturbi alle comunicazioni polacche e dei paesi baltici causato dagli strumenti di guerra elettronica russa costituiscono già guerra vera e propria. Da sottolineare peraltro che soprattutto le esercitazioni come appunto la  Steadfast Defender-2024 della Nato consentono di spostare ingenti quantità di mezzi, materiali e uomini senza  dare troppo nell'occhio, non solo nei confronti dell'avversario, ma anche della popolazione civile che non vede certamente in modo positivo l'ipotesi di ritrovarsi in guerra.

Un ultimo segno davvero preoccupante che si è verificato in quest'ultimo periodo è l'utilizzo da parte dell'Ucraina dei sistemi antiaerei Patriot per dare la caccia agli aerei AWACS russi. Si tratta di velivoli di allarme e controllo aereo che consentono di coordinare i propri aerei da guerra e ovviamente di tracciare anche quelli avversari. E' chiaro che l'abbattimento dei Beriev A-50 “Mainstay” non è utile all'Ucraina, ormai priva di aeronautica ma è invece utilissima al fine di “accecare” l'aeronautica russa in caso di battaglia aerea con un'altra aeronautica di pari livello. Fino ad ora, sono stati abbattuti due Beriev, uno a metà gennaio di quest'anno e un altro ieri. Una strategia che può essere propedeutica – come dicevo – all'entrata nel conflitto di una aeronautica in grado di contrastare quella russa e che, appunto, vorrebbe partire con il vantaggio di vedere i russi privati delle loro capacità AWACS.

Complessivamente si tratta di segni che suggeriscono un futuro inasprimento del conflitto con l'entrata probabilmente di nuovi attori.

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Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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