Il nemico in casa loro? Cosa si sta giocando (realmente) in Ucraina?

Il nemico in casa loro? Cosa si sta giocando (realmente) in Ucraina?

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di R.T. 
 
La questione è seria. Cosa si sta giocando in Ucraina? Uno scontro tra superpotenze per la spartizione del mondo? Un tentativo di normalizzare un insorgenza proletaria internazionale?
 
Sul primo punto occorrerebbe dare un occhiata a dove e come si concentrano gli asset finanziari del capitale mondiale. Il ruolo dell’imperialismo occidentale a guida Usa nella gigantesca ristrutturazione del capitale internazionale, di cui il disciplinamento sociale lanciato con la crisi pandemica è solo un aspetto. E questo disciplinamento non è solo rivolto al fronte interno ma a qualunque stato o paese che a livello internazionale ostacoli, rallenti, chieda venia per respirare alla macchina del capitale concentrato.
 
Basterebbe questo per rendersi conto del contenuto dello scontro che in maniera pervicace l’alleanza occidentale (con tutte le sue contraddizioni interne), attualmente riesumata sotto le insegne NATO, sta conducendo per stringere alle corde le velleità della Russia di ritagliarsi un proprio spazio di esistenza all’interno del mercato capitalistico internazionale (di merci, ma soprattutto di capitali nella loro concentrazione finanziaria). Da questo punto di vista la Russia è un bambino in balia di giganti.
 
I suoi tentativi di unificare mercato interno per dar vita ad un ulteriore concentrazione dei suoi capitali, uscire dalla fossa di paese semplice fornitore di materie prime, sono stati frustrati dal capitale internazionale per via finanziaria e monetaria. Lo stesso strumento del presunto ricatto energetico è in realtà un timido tentativo della Russia di poter recuperare una parte di profitti maggiore dalla fornitura di materie prime, che il capitale internazionale gli sottrae attraverso la leva del controllo finanziario, che si risolve nel controllo dell’ll’intermediazione nella vendita di gas e petrolio saldamente nelle mani del capitale Usa e occidentale.
 
I suoi tentativi di uscire da questo cappio sono quelli di un capitale estensivo, che cerca di proteggersi intervenendo per ritagliarsi “sfere di influenza”, spazi fisici di mercato internazionale che si estendono in virtù della sua forza militare. Questi interventi non hanno intenti e possibilità di diventare strumenti di rapina dei paesi in cui è presente (per il semplice motivo che la Russia non ha le risorse finanziarie in grado di operare questa rapina), ma si risolvono nel tentativo di lasciare che vivano per intessere collaborazione mercantile e politica, rispetto all’idrovora dell’imperialismo occidentale, che li distrugge (Siria, libia etc).
 
L’espansione della Nato ad est che ha già circondato la Russia ha chiaramente l’intento di frustrare questi tentativi. Dopo aver preso il controllo politico e finanziario dell’Ucraina, attraverso un rivoluzione rosa sangue, ha brevemente concorso alla spoliaziane del paese ridotto alla miseria. Le popolazioni del Donbass hanno avuto “la fortuna” di contare sull’intreccio dell’economia locale con quella Russia ed hanno “scelto” di legarsi a questa relazione, in grado di preservarle dalla spoliazione che continuava nel resto del paese. Per questo motivo sono state oggetto di 8 anni di bombardamenti e di attacchi su civili da parte delll’esercito Ucraino (finanziato dall’occidente). Ma questo non è bastato alla Nato ed il suo obiettivo è quello di estendere la sua presenza militare attraverso l’inclusione dell’Ucraina nel patto atlantico (cerco di andare alla sostanza e per questo mi disinteresso al momento delle contraddizioni che esistono nel fronte occcidentale).
 
La cosiddetta “invasione” dell’Ucraina da parte della Russia, come pure l’indipendentismo del Donbass, sono atti difensivi rispetto ad un attacco che viene dall’Occidente.
 
Possiamo non essere d’accordo su questa visione dei fatti, ma occorre contestarla nel merito, prima di arrivare alle conclusioni sui nostri schieramenti di classe.
 
Se questo è vero, su questo occorre misurare la nostra visione sul come questi avvenimenti si intrecciano con lo scontro di classe internazionale, e le “preoccupazioni” sul “non prendere parte” ad uno scontro “inter-imperialista” rivendicando la necessità che anche in Donbass ed in Russia bisogna innanzitutto battersi contro il “proprio imperialismo”. E soprattutto, io credo, evitando di giungere all’”involontaria conclusione” che prima di denunciare l’attività del nostro imperialismo occorre aspettare che i bombardati nel Donbass“facciano la loro parte”. E che tutto questo si trasformi nel classico né aderire, né sabotare…ovvero aderire i piani del nostro imperialismo.
 
Per questo motivo lo scannamento tra proletari che ogni guerra comporta non può essere disgiunto dall’analisi e dalla battaglia contro il nostro imperialismo che attivamente lo promuove sia sul fronte esterno che su quello interno.
 
Dargli credito, equiparando l’attacco occidentale alle popolazioni del Donbass ed alla Russia alla loro risposta, sarebbe solo un tragico ed equivoco malinteso della parola d’ordine “il nemico è in casa propria”.Sostanzialmente rivendicando la creazione di un fronte internazionale per la rivoluzione sociale decampando la strada concreta con cui l’imperialismo invece opera per spezzare le possibilità che questo fronte si crei. Sia sul fronte esterno estendendo la sua supremazia politica, finanziaria e militare ad est, sia su quello interno riproponendo il il disciplinamento sociale interno contro l’Orso russo.
 
Rischiamo di essere “campisti”? Non abbiamo bisogno di nessun accordo di campo (che al momento nessuno ci richiede) con il capitalismo russo. Ma probabilmente la necessità di spezzare l’attività della bestia internazionale del capitalismo mondiale, denunciarne intenti ed obiettivi, separando i nostri sfruttati dagli obiettivi del nostro capitalismo. In poche parole lavorando perché effettivamente si possano creare le condizioni perché i bombardati del donbass possano far riferimento ad una prospettiva di messa in discussione del capitale.
 
Ignorare tutto questo, a mio parere non significa tener alta la bandiera dell’internazionalismo proletario, ma spostarsi involontariamente su un terreno equivoco e su una nuova interpretazione della nota parola d’ordine…scivolando verso il “compito” di combattere innanzitutto “il nemico in casa loro".
 

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