Il New York Times costretto ad ammettere che in Bolivia c'è stato un golpe contro Morales
In Bolivia fu colpo di Stato e non una legittima transizione democratica contro un dittatore, Evo Morales, che aveva tentato di rubare le elezioni. A dar prova di ciò è il New York Times con una ricerca che mette nero su bianco quel che tanti avevano affermato n quella circostanza.
Ripercorriamo gli avvenimenti: il 20 ottobre la Bolivia vota per eleggere il presidente. Morales si candida per la terza volta e ottiene una vittoria schiacciante: avendo preso più del dieci per cento del suo avversario è eletto al primo turno.
Ma c’è un incidente di percorso: il conteggio delle schede, iniziato subito dopo il voto, è stato interrotto per poi riprendere il giorno successivo. In quel lasso di tempo, accusano le opposizioni, sarebbero avvenuti pesanti brogli.
Lo “sbaglio” dell’Oas
La cosiddetta comunità internazionale ricorre all’Oas, l’Organizzazione degli Stati Americani, che viene incaricata di verificare. Il verdetto arriva immediato: nel conteggio dei voti si sarebbero registrati variazioni “inspiegabili” che “hanno modificato drasticamente l’esito delle elezioni”.
La pressione internazionale contro Morales diventa insostenibile e il presidente è costretto, su “invito” del capo della polizia, ad abbandonare la sua Bolivia. È l’11 novembre, data anche simbolica perché riecheggia nel simbolismo numerico l’11 settembre 1973, data del colpo di Stato in Cile (e di altro).
Uno studio condotto da due professori americani, Francisco Rodríguez, della Tulane University, e Dorothy Kronick, dell’Università della Pennsylvania, e publicato dal Nyt ha appurato che l’Oas fece errori macroscopici nella sua analisi.
“Abbiamo esaminato a fondo le prove statistiche dell’OAS e riscontrato problemi con i loro metodi. Una volta risolti questi problemi, i risultati dell’OAS scompaiono, senza lasciare prove statistiche di frode”, ha detto Francisco Rodriguez al Nyt.
L’errore di valutazione, riferisce il Nyt, ha “plasmato la narrazione” prima che le cose fossero analizzate in maniera adeguata, portando alla cacciata di Morales. Accade così nei regime-change dove informazioni manipolate, anche grossolanamente, sono usate per creare narrazioni adatte allo scopo.
L’attenuazione della rivelazione
Il Nyt attutisce la portata della rilevazione in tre modi: anzitutto non accreditando nessun secondo intento all’errore dell’Oas, che invece è chiaramente una manipolazione volta a dare più forza alla pressione internazionale, già fortissima, perché Morales lasciasse il potere.
Inoltre, ricorda come lo stesso Morales avesse affidato all’Oas un mandato “vincolante” sulla sua elezione, da cui anche una sua responsabilità (particolare che è del tutto inutile ricordare: il vincolo non ha alcun valore se ci si affida a un arbitro non neutrale).
Infine, menziona la valutazione successiva dell’Oas, svolta nel dicembre, nella quale furono riscontrate irregolarità su 38mila voti, ricordando che Morales ha ottenuto il 10 per cento di voti in più del sul suo avversario, necessari a passare al primo turno, per 35mila preferenze.
Una sottolineatura priva di sostanza: occorrerebbe infatti verificare se tutte quelle irregolarità siano attribuibili a voti di Morales o anche all’opposizione; né tiene conto che l’analisi successiva fu fatta con la Bolivia già in mano alle opposizioni, ferocemente anti-Morales, che avrebbero potuto benissimo aver manipolato a loro volta il materiale inviato all’Oas.
Né evidenzia la necessità di una verifica anche su questo seconda analisi: se è stata manipolata la primo è più che possibile sia stata manipolata anche la seconda…
Infine, non ricorda la cosa più importante, cioè che Morales, aveva un vantaggio abissale dal suo concorrente: arrovellarsi su 35mila voti in più o in meno, del tutto ininfluenti sul totale, è questione di lana caprina (tale distacco, peraltro, dimostra che non aveva bisogno di brogli per vincere e che le irregolarità riscontrate sono compatibili con le usuali incongruenze elettorali, vedi schede contestate in Florida che elessero George W. Bush).
Golpe in nome della democrazia
Insomma, in nome della democrazia la cosiddetta comunità internazionale, leggi Stati Uniti e suoi pards, hanno posto fine alla democrazia in Bolivia e cacciato il suo legittimo presidente.
Ironico che le forze andate al potere successivamente abbiano eletto presidente ad interim l’ignota Jeanine Añez, che si dice cristiana, la quale, appena preso il potere, aveva dichiarato il ripristino della democrazia nel Paese, annunciando imminenti elezioni.
Dopo lungo tergiversare, le elezioni erano state fissate per gli inizi di maggio, ma anche qui la pandemia è stata usata – perfettamente – dal potere, così che il voto è stato spostato ulteriormente e fissato per settembre prossimo (d’altronde serve tempo per organizzare la vittoria di partiti al potere che ad oggi hanno pochi voti).
Da registrare con soddisfazione la nota del Nyt, che mette una pietra tombale sulla controversia legata alle vicende boliviane, che ormai è acclarato golpe. Resta la perplessità sull’informazione mainstream, usa ad adeguarsi pedissequamente alle narrative ufficiali senza porsi o porre domande.
In tal modo supportano spinte oscure, per poi, solo anni dopo, magari (e forse) rivelare l’artificiosità delle narrazioni medesime, quando ormai il danno è fatto e irreparabile.
Così che l’errata corrige diventa una nota a piè di pagina di una storia oscura che anche loro hanno contribuito a scrivere. Così per la guerra in Iraq, così per la Bolivia e così altrove (Libia, Siria etc). Meccanismo oliato, funziona così.