"Il presidente martire": il mondo ad un passo dall'abisso

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PICCOLE NOTE

Decapitata la leadership dell’Iran, dal momento che, oltre al presidente Ebrahim Raisi, sull’elicottero che si è schiantato sulle montagne dell’Azerbaigian orientale viaggiava anche il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian.

L’elicottero tornava dal vicino Azerbaigian, dove Raisi aveva inaugurato la diga di Qiz Qalasi insieme al suo omologo azero Ilham Aliyev. Viaggio importante, altrimenti non avrebbe portato con sé anche il ministro deli Esteri, e presumibilmente non limitato a quanto recitano i report ufficiali.


L’Iran, l’Azerbaigian, Israele

Al di là dell’ignoto, resta però che Baku è importante per Teheran, dati i vincoli che legano i due Paesi a motivo della prossimità e dal fatto che l’Azerbaigian è l’unico paese a maggioranza sciita oltre l’Iran.

Ma proprio la prossimità ha reso i rapporti tra i due Paesi a volte ardui, anche per gli stretti rapporti tra Baku e Tel Aviv, l’antagonista irriducibile di Teheran, tanto che per Israele, come scriveva Hanshel Pfeffer su Haaretz, l’Azerbaigian costituisce “una ‘backdoor‘ estremamente utile per l’intelligence e per altre attività clandestine dirette verso il confinante Iran”.

Netanyahu ed Erdogan in un'improbabile alleanza contro l'Iran nel Nagorno-Karabakh?

Di ieri le domande sull’incidente, una su tutte: com’è possibile che dei tre elicotteri, quello presidenziale e i due di scorta, che viaggiavano sulla stessa rotta e affrontavano il medesimo maltempo, a cadere sia stato il velivolo sicuramente più monitorato dai meccanici, probabilmente il più avanzato e di certo guidato dal pilota più esperto tra i tre?

Quel che è certo è che la notizia è stata gestita con cura, essendo potenzialmente esplosiva. Se si fosse trattato di un attentato l’Iran sarebbe stato costretto a dichiarare guerra.

E nessuno, almeno in Iran e tra i suoi alleati, vuole una guerra mondiale, perché ciò sarebbe accaduto se Teheran avesse attaccato Israele, con l’America costretta a prestare soccorso e il coinvolgimento altrettanto obbligato dei Paesi europei. Con seguito di incognite e imprevisti di scala globale.

Il presidente martire

Insomma, anche se si fosse trattato di un attentato, Teheran sarebbe stata costretta a parlare di incidente e tale è la versione ufficiale delle autorità iraniane. Israele,  verso il quale si erano appuntati gravi sospetti a motivo dell’ossessione di Netanyahu di scatenare una guerra contro l’Iran e per lo smacco subito di recente a causa dell’attacco dimostrativo iraniano contro il suo territorio, ha subito smentito ogni coinvolgimento.

Così non resta che riportare quanto scrive Irna, l’agenzia ufficiale iraniana: “L’ottavo presidente della Repubblica Islamica dell’Iran domenica 30 maggio1403 [calendario persiano ndr], dopo l’inaugurazione della diga di Qiz Qalasi […] ha subito un incidente in elicottero nella regione di Warzaghan”.

“Seyyed Mohammad Ali Al Hashem, rappresentante della Guida Suprema e imam di Tabriz, Hossein Amirabdollahian, ministro degli Affari Esteri, Malik Rahmati, governatore dell’Azerbaigian orientale, il sergente Seyed Mehdi Mousavi, comandante dell’Unità di Protezione del presidente e l’equipaggio che volava con essi subirono il martirio”. Titolo della nota: “Presidente martire”.

È improbabile che la morte del presidente e del ministro degli Esteri porti cambiamenti nella linea politica iraniana. Ma è anche probabile che si accendano dialettiche interne in vista delle elezioni, che si terranno tra cinquanta giorni, e che i nemici dell’Iran tentino di sfruttare il momento, sia alimentando proteste sia con altro e più grave.

Iran, la distensione continuerà?

Da vedere se quanto avvenuto avrà ripercussioni sullo scontro in atto tra gli alleati dell’Iran – Hezbollah, Houti, milizie sciite irachene, forze palestinesi – e Israele, iniziato con la sanguinaria invasione di Gaza, dal momento che il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian era una figura di riferimento per tutte queste forze.

Ed è da vedere se inciderà sulle misure distensive recentemente avviate dall’Iran. Infatti, l’8 maggio, i vertici dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sono sbarcati in Iran per rilanciare l’accordo sul nucleare iraniano, interrotto sotto la presidenza Trump con ulteriore aggravio delle relazioni tra Teheran e Aiea dopo l’assassinio del comandante delle Guardie della rivoluzione, generale Qassem Soleimani, ad opera degli Stati Uniti.

L’AIEA e l’Iran cercano di rilanciare la cooperazione nell’ambito dell’accordo del 2023

Un’intesa sul punto eviterebbe l’atomica iraniana (anche se ad oggi tale sviluppo non è ancora neanche all’orizzonte), ma soprattutto farebbe svaporare le speranze di quanti brandiscono lo spauracchio del nucleare iraniano per innescare una guerra preventiva contro Teheran. A supervisionare il dialogo, per la parte iraniana, era stato finora il ministro degli Esteri defunto.

Ed è da vedere se continuerà il dialogo indiretto che Teheran ha aperto sottotraccia con gli Stati Uniti in Oman, volto a ridurre le tensioni tra i due Paesi. L’esistenza dei negoziati è stata annunciata da Teheran il 18 maggio, con un comunicato dell’IRNA che informava che sarebbero proseguiti (The Cradle).

Iran says indirect talks with US 'won't be the last'

Da ultimo, ci sia consentito di registrare che per i leader che l’Occidente considera antagonisti o nemici è un momento sfortunato: il 16 maggio l’attentato al premier slovacco Robert Fico, amico di Putin, il 19 maggio il mortale incidente dell’elicottero presidenziale iraniano. Il tempo si è fatto breve.

Le proteste del velo e le Università americane

A commento della morte del presidente Raisi, alcuni media hanno ricordato la repressione delle cosiddette proteste del velo. Al tempo, furono arrestate 5mila persone, quasi tutte poi rilasciate. In America, proteste molto più pacifiche, quelle delle Università per chiedere la pace in Palestina, hanno portato ad oggi a oltre 3mila arresti.

Vero, in Iran ci furono anche alcune centinaia di morti, ma furono equamente distribuiti, dal momento che le proteste, alimentate dall’estero, furono infiltrate da bande armate che hanno attaccato obiettivi più che sensibili – ad esempio il laboratorio per la ricerca dei droni – e ucciso civili, oltre a centinaia di poliziotti e agenti della sicurezza.

Peraltro, sulla repressione girarono tante e tali Fake news che era e resta difficile orientarsi (vedi l’articolo della NBC sulla falsa informazione della condanna a morte di migliaia di manifestanti, rilanciata anche da personaggi importanti, tra cui attrici e il premier canadese Justin Trudeau).

Di oggi la richiesta di un mandato di arresto contro Netanyahu e altri da parte della procura internazionale per i crimini di guerra. Una suggestione, solo una suggestione, vede l’iniziativa collegata all’incidente aereo iraniano, in via previa o successiva che sia.

 Piccole Note

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