Il Qatar sfida l'ultimatum saudita: e ora?

Il Qatar sfida l'ultimatum saudita: e ora?

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Piccole Note 


L’Arabia Saudita è al centro di conflitti incrociati, interni ed esterni. E non certo per una sfortunata crudeltà del destino quanto per scelta della sua classe dirigente.


Ieri si è inasprito il conflitto con il Qatar, che Ryad e i suoi più stretti alleati del Golfo (Barhein ed Emirati Arabi Uniti) hanno accusato di alimentare il terrorismo.


Doha ha risposto picche alla lettera-ultimatum inviata dai suoi accusatori, nella quale si chiedeva, tra l’altro, di chiudere la base militare turca installata in loco e la Tv al Jazeera.


La querelle, quindi, è destinata a durare: Ryad e i suoi alleati stanno studiando i passi successivi. Probabile che vengano inasprite le sanzioni imposte al riottoso ex alleato, che questi venga espulso dal Consiglio di cooperazione del Golfo e altro. 


Il conflitto innescato con il Qatar va quindi ad aggiungersi a quelli già aperti da tempo dai sauditi. All’annosa guerra siriana, nella quale finanzia legioni di tagliagole allo scopo di defenestrare Assad, si somma un altro conflitto, altrettanto annoso, quello tra sciiti e sunniti che vede i sauditi contrapporsi all’Iran.




Non solo: dal 2005 Ryad si è fatta promotrice di una campagna militare per domare la ribellione degli sciiti houti in Yemen, aprendo un fronte di guerra nel giardino di casa, ché tale è considerata da Ryad la penisola arabica.

Lo scontro con il Qatar cela inoltre altre e più profonde conflittualità. Infatti, nello specifico, Ryad si è contrapposta frontalmente alla Turchia e alla Fratellanza musulmana, comunità islamica molto influente in ambito arabo alla quale fanno riferimento sia Doha che Ankara.


In più rischia di complicare anche i rapporti tra i sauditi e alcuni Paesi arabi sunniti. L’Oman, il Kuwait, il Marocco (ma anche il Pakistan e altri). hanno accolto con certo fastidio la forte iniziativa di Ryad contro il Qatar.


Tali Paesi, infatti, reputano, e non a torto, che l’ultimatum a Doha non nasca per porre fine alle politiche assertive che l’emirato realizza per guadagnarsi spazi di influenza all’interno del mondo arabo (tale la declinazione politica dell’accusa rivolta all’emiro qatariota di alimentare il terrorismo).


Piuttosto reputano che la mossa di Ryad sia un modo per togliere di mezzo il più pericoloso rivale nel campo della propaganda islamica e islamista. E, allo stesso tempo, per stringere a sé, ovviamente in posizione subalterna, gli altri Stati arabi nella “guerra santa” contro la Fratellanza musulmana.


Una mossa volta quindi anche a minare la libertà degli Stati arabi più lontani dai sauditi e per fare di Ryad non più solo il punto di riferimento religioso dell’islam sunnita, ma lo Stato leader del mondo arabo.


Una leadership politica che, collegata alla realizzazione della cosiddetta Nato sunnita, consegnerebbe a Ryad un posto di primo piano nell’agone geopolitico mondiale.


Un piano ambizioso quello di Ryad, per il quale sono stati investiti miliardi di dollari. Tra questi i cento miliardi promessi agli Stati Uniti nel corso del tour arabo di Donald Trump, al quale bisogna riconoscere di aver venduto bene il placet americano (vedi Piccolenote).


Cento miliardi investiti ufficialmente in armamenti, quelli necessari, appunto, alla costruzione della Nato sunnita.


Non solo: risulta ormai alquanto evidente che quella montagna di soldi serviva a comprare un altro placet dell’amministrazione americana, quello relativo al cambio di guardia a Ryad.


Infatti, poco dopo la storica visita del presidente Usa, il re d’Arabia ha consegnato la successione al trono al figlio, il principe Mohammed bin Salman, togliendola al legittimo erede, ovvero il figlio del fratello, il potente Mohammed Bin Nayef.


Tale successione è la chiave per capire quanto sta accadendo. Il progetto di egemonia di Ryad sul mondo arabo sunnita, anzi su tutto il mondo arabo, è strettamente legato alla figura di MBS (abbreviativo comune di Mohammed Bin Salman) e alla sua visione di prospettiva.


A MBS si deve, infatti, l’elaborazione di Vision 2030, un documento che immagina un prospero futuro per Ryad anche dopo la fine della sua dipendenza dal petrolio.


Anche se non è esplicitato nel documento, è evidente che tale prospettiva passa soprattutto per la conquista della leadership del mondo arabo secondo i passi sopra descritti.


MBS è ambizioso. Ha preparato tutto con cura. Anche la sua ascesa al trono. Bin Nayef pare sia agli arresti domiciliari e l’Arabia saudita è passata al setaccio; gli uomini legati al vecchio erede al trono  e i blogger più o meno indipendenti sono “attenzionati”.


Come il piccolo principe di Saint-Exupéry, anche il piccolo principe saudita è pieno di immaginazione (di altro segno, ovviamente). È stato MBS, infatti, a immaginare la guerra lampo yemenita e il colpo di mano in danno a Doha. Ma la realtà ha il difetto, a volte, di non collimare con l’immaginazione.


E la guerra lampo yemenita è diventata una palude inestricabile, mentre la prova muscolare con Doha non solo non si è risolta subito, come immaginato dal principe, ma rischia anche di alienargli le simpatie di parte del mondo arabo tradizionalmente legato a Ryad.
 

Certo, MBS ha le spalle coperte. Non solo da ambiti israeliani con i quali da tempo intrattiene rapporti, ma anche dai neocon, ai quali non dispiace l’idea di una Nato sunnita a guida Ryad alla quale demandare il lavoro sporco in Medio oriente (e non solo).

 

Ma il piccolo principe saudita ha aperto tanti, troppi fronti. Tutta questa conflittualità può risultare ingestibile. E procurare tanti danni. Anche a lui.

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