Il Wall Street Journal contro la Germania: l'Europa ha bisogno di politiche keynesiane

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Mentre i mercati mostrano preoccupazioni per l’evoluzione della guerra commerciale scatenata da Trump contro la Cina, l’economia europea sta collassando. Non solo per le politiche aggressive adottate da Trump. Secondo il Wall Street Journal dietro il crollo dell’economia europea vi sarebbe anche «il rifiuto cronico dell'Europa di aiutare se stessa». 

 

Dopo che a giugno l’industria tedesca ha subito il peggior calo annuale dell’ultimo decennio, la Bundesbank prevede economia in contrazione anche nel secondo trimestre. A questo va sommato il continuo calo della fiducia: tutti indici di una più che probabile prossima recessione tedesca. 

 

Nonostante questo i falchi in quel di Berlino sembrano abbastanza decisi a non cambiare strada, pur sapendo che le loro politiche economiche stanno trascinando l’intera eurozona verso il baratro. 

 

L'economia del Regno Unito si è contratta nel secondo trimestre a un tasso annuo dello 0,8%. La Francia è sostanzialmente ferma dopo aver deluso la crescita del PIL nel secondo trimestre, in attesa di vedere se le riforme del presidente Emmanuel Macron si riveleranno sufficienti per sollevare permanentemente gli investimenti delle imprese. Idem per l'Italia, dove i recenti segni di ottimismo tra le società di servizi sono bilanciati dal pessimismo tra i produttori. 

 

«Le fulminazioni del presidente Trump - scrive WSJ - sul commercio non aiutano. La Germania è il bersaglio diretto di una delle minacce comuni di Trump, imporre tariffe alle auto europee. Un disordinato divorzio britannico dall'Unione Europea, se si verificherà in ottobre, sarà uno shock più grave per le economie continentali di quanto alcuni leader sembrano rendersi conto. Ma nonostante tutta la colpa diretta a Trump dai leader europei, gran parte della miseria economica dell'Europa è stata creata più vicino in casa».

 

Il quotidiano statunitense punta il dito contro le politiche di austerità imposte dalla Germania. «La soluzione preferita da tutti per l'economia tedesca è che il governo spenda di più in progetti di lavori pubblici keynesiani. Un migliore utilizzo del margine di manovra fiscale offerto da un bilancio in pareggio e dalla riduzione del debito significherebbe tagliare alcune delle tasse con le quali il governo consuma ogni anno il 46% della produzione nazionale in imposte e altre entrate», sottolineando come tale ipotesi non sia mai contemplata nell’agenda economica dei dirigenti tedeschi. 

 

«Invece - continua la sua analisi WSJ - lo stimolo economico nella zona euro verrà dalla Banca Centrale Europea. Si prevede che il presidente della BCE Mario Draghi effettuerà un'ultima spinta per l'allentamento monetario a settembre prima di consegnare la successore a Christine Lagarde a novembre, forse tagliando il tasso già negativo della BCE e rilanciando gli acquisti di obbligazioni nell'ambito del programma quantitative easing». 

 

Una mossa che metterà però a dura prova le banche non redditizie soprattutto in Germania. «Se le manovre monetarie creassero una crescita economica duratura, l'Europa non sarebbe nella sua situazione attuale», afferma il quotidiano statunitense che prevede un autunno decisamente caldo per il vecchio continente. 

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