Incontro XI-Biden a San Francisco. La sinologa Daniela Caruso a l'AD: "L'occidente non può ignorare i cambiamenti in corso"
di Alessandro Bianchi
“Innanzitutto, ritengo importante sottolineare che, quale sinologa, sono una studiosa, non un’opinionista. Mi sembra necessario farlo perché con la marea di informazioni da cui siamo travolti spesso si perde l’origine di ciò che diciamo, senza peraltro avere contezza delle fonti. Così, si lanciano attraverso i media pareri personali che nulla hanno a che fare con gli strumenti metodologici della conoscenza.” Questa la premessa che considera necessaria farci la Professoressa Daniela Caruso, sinologa e autrice di “La Cina tra identità nazionale e globalizzazione” (Eurilink University), all’inizio della nostra intervista.
“Ecco, il mio strumento primario è la lettura critica, nonché l’analisi, dei testi ufficiali del governo della Repubblica Popolare Cinese. Dalla loro disamina si possono costruire quadri concettuali che sono spesso molto distanti dai nostri, ma che ci offrono un’idea chiara di quello che, almeno formalmente, l’altro vuole dirci. E per decodificare cosa vuole dirci un quadro concettuale bisogna conoscere approfonditamente chi lo elabora anche perché, in pochi paesi come in Cina, ciò che vediamo oggi è frutto di un pensiero molto antico e che precede l’arrivo del socialismo. Anzi, direi che questo modo così antico di concepire la società e la politica rappresenti il motivo stesso per cui un sistema palesemente fallito ovunque, oggi si è trasformato in “socialismo con caratteristiche cinesi”, ed è incredibilmente vitale nonostante molteplici problemi e nodi ancora da sciogliere”, ha proseguito. Con Lei abbiamo approfondito alcuni temi chiave della politica estera cinese alla vigilia dell’importante vertice di Xi e Biden a San Francisco oggi, che rappresenta un momento chiave per le varie crisi internazionali aperte e le relazioni bilaterali tra i due giganti.
L’intervista
A margine del vertice della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) a San Francisco (in California), si svolgerà oggi l’atteso vertice tra il presidente cinese Xi e quello statunitense Biden dopo un anno esatto dall’ultimo incontro. Quali aspettative reali ci sono per un disgelo delle relazioni?
L’ ordine mondiale sta cambiando ad una velocità che nessuno poteva prevedere. La Cina, con il suo sviluppo sta trainando l’altra metà del pianeta. Nonostante l’occidente stia strenuamente difendendo la sua supremazia questi cambiamenti non li può ignorare e gli Stati Uniti devono farsene una ragione, il rischio è quello di rimanere progressivamente isolati. Ciò che accade in questi giorni tra Israele e il governo di Hamas può contribuire a ridisegnare tutto. Così come tutto ridisegna l’allargamento dei BRICS, il crescente consolidarsi dell’Unione Africana, il disgelo tra alcuni paesi mediorientali voluto proprio dalla Cina…. Il problema della contrapposizioni tra due aree del pianeta è innanzitutto un problema culturale. Cina e USA hanno due modi opposti di concepire le relazioni internazionali e il benessere della comunità mondiale ma su queste differenze devono lavorare insieme. Non credo che questo incontro possa essere determinante, ma di certo si riapre un canale di comunicazione che l’amministrazione Biden ha unilateralmente interrotto con comportamenti e dichiarazioni da cui Pechino si è sentita profondamente offesa. In sostanza direi che la Cina vuole che la si riconosca come attore internazionale primario. E questo motiva anche i suoi sforzi nel dirimere dispute e favorire la Pace.
Se non capiamo questo non se ne esce. Da parte sua il partito sa giocare le sue carte e ci conosce molto bene perché osserva, non prende iniziative e trae le sue deduzioni. Ci sono due concetti fondamentali che ricorrono in tutti i documenti prodotti dal governo cinese: la pace e la cooperazione. La visione è quella di un mondo multilaterale di cui le Nazioni Unite rappresentino l’arbitro a cui demandare concretamente ogni disputa, sanno cioè che ogni azione unilaterale, ogni passo falso, possono potenzialmente minare la pace. E di pace la Cina ha grande bisogno per continuare a crescere. In fondo sono almeno cinquant’ anni che non si infila in dispute belliche. Ci sarà un motivo? Aspettiamo gli esiti di questo incontro e la pubblicazione dei report. Mi interessa sempre molto leggerli (da entrambi i punti di vista) anche per capire, al di là della propaganda, come il governo cinese si posiziona all’ interno del suo paese rispetto a ciò che accade. Che approccio usa nella comunicazione? Come parla al “suo” popolo? Spesso diventa interessante confrontare perfino i toni attraverso i quali le due parti si posizionano sul piano interno perché possono essere parzialmente indicativi su dove si voglia portare il Paese. Una nota: da questo punto di vista la lingua cinese diventa uno strumento di analisi eccezionale!
In un discorso tenuto il 13 settembre 2023 alla John Hopkins School of Advanced International Studies, tuttavia, l'attuale segretario di stato Anthony Blinken ha dichiarato: "nel frattempo la Repubblica popolare cinese rappresenta la più significativa sfida a lungo termine". L’opzione di uno scontro aperto con la Cina è possibile?
Su questo mi assumo la responsabilità di essere categorica. E’ un’opzione possibile solo per gli Stati Uniti. E se la Cina continuerà a lavorare come fa potrebbe essere pronta esclusivamente per uno scontro a scopo difensivo, aggredire è un passo falso che non rientrerebbe mai nella sua strategia. Certo è che se continuiamo ad inviargli navi e a giocare con gli aerei da guerra potrebbe spazientirsi; ma a meno di un’aggressione concreta non si muoverà. Non a breve.
Quest’anno si celebra il decennale della BRI, una imponente iniziativa che il presidente Xi nell’ultimo BRF di ottobre ha definito la “nuova piattaforma delle relazioni internazionali”. L’Italia del governo Meloni ha fatto intendere che non intende continuare con il Memorandum siglato nel 2019. Che danni porterebbe al nostro paese una tale decisione?
Ritengo che si tratti soprattutto di un danno di immagine che contribuirà a fratturare le due parti del mondo, non ad unirle. La Cina non sta digerendo il nostro vacuum di una politica internazionale autonoma. Tuttavia, la società e l’economia seguono strade diverse (fortunatamente) da quelle della politica e i rapporti commerciali tra i due paesi si intensificano. La settimana della moda milanese lo ha testimoniato. Nel mondo occidentale c’è uno scollamento sempre più intenso tra la politica e la società, tra la politica e l’economia… Dove va un Paese? Sempre meno verso la strada che classi dirigenti arretrate, oppositive e rigide indicano. E questo è un fatto. Come è un fatto che il mondo è uno ed è rotondo, i confini sono nelle nostre teste. Si possono tutelare gli interessi nazionali in tanti modi diversi, ma bisogna essere in grado di farlo.
Sempre sulla BRI. Non crede che per mantenere in piedi l’iniziativa la Cina nei prossimi anni sarà costretta, nonostante il totale rifiuto ideologico di Pechino sull’argomento, ad un approccio più intraprendente nella gestione dei conflitti internazionali - conflitti che pongono a rischio oggi paesi chiave della Bri stessa?
No. La BRI nel suo senso politico è stata concepita come uno strumento di Pace. Piuttosto crescerà il ruolo di Pechino quale mediatore e garante di questa pace, almeno è questo che dichiara di voler fare. Il principio di “non ingerenza” è molto saldo e finché sarà possibile la Cina farà l’impossibile per non tradirlo. Diversamente significherebbe far crollare tutta l’impalcatura politica sulla quale, con grande fatica, ha costruito la sua postura internazionale. Un esempio ne è l’Africa. Nonostante gli interessi ormai fortemente radicati nel continente MAI è entrata nei meriti dei conflitti interni ed ha cercato di mantenere posizioni neutrali anche quando i suoi programmi a breve termine potevano esserne danneggiati. Pechino non guarda mai a domani, casomai al dopo, con una visione lunga anni. E questa pure è una variabile culturale tipicamente confuciana. Ha poco a che fare con il socialismo, il Partito etc…
Giovedì a Roma parteciperà come relatrice all’evento “Percorsi di sostenibilità - Energia, Ambiente e cooperazione” organizzato da ADVANT NCTM. Sull’argomento le tensioni commerciali fra Cina e Unione europea sono tornate alla ribalta dopo che la Commissione europea ha deciso lo scorso mese di iniziare un’investigazione su «sussidi illegittimi» elargiti ai produttori di veicoli elettrici da parte del Paese asiatico. Come giudica la decisione dell’UE?
Le tensioni sono sempre politiche ma naturalmente si incrociano con quelle economiche, e a Bruxelles si muovono sulla scia di Washington. La questione dei “sussidi illegittimi” è una banalità, direi un pretesto considerando quanto stiamo puntando su questo tipo di produzione. Ora, è innegabile che negli anni trascorsi la Cina non ha avuto comportamenti commerciali corretti ma credo che si tratti di qualcosa che riguarda il passato. La sua posizione nella comunità internazionale è cambiata, sono scivoloni che non può più permettersi. Mi consenta una nota: la costituzione perentoria e giudicante di questa “commissione” è assolutamente provocatoria e pregiudizievole proprio perché fatta in questo modo. Un’ Europa aperta e dialogante avrebbe posto la questione in termini diversi, non così arroganti. D’altra parte vedrebbe possibile che la Cina istituisse una “commissione di inchiesta” su come l’Europa cerchi di danneggiarla?
Questo fatto è un esempio pratico di ciò che sto provando a dire dall’ inizio del discorso: è per tali aggressioni che Pechino può diventare drastica tendendo a chiudersi. D’ altra parte il suo passato di paese colonizzato e smembrato pesa ancora, pesa il “secolo dell’umiliazione” come lo definiscono. Inoltre, sanno anche di essere oggetto di una sempre crescente insofferenza verso il suo secondo posto nel mondo. E in questi comportamenti vedono una volontà di sottomissione. Anche se non ci sono i cannoni. Non sarebbe forse arrivato il momento di una visione “ecumenica” della politica, nell’ interesse di tutti, nell’ interesse della Pace?