Jean-Luc Mélenchon : "Chi rivendica l’abolizione delle frontiere abbandona un principio essenziale dell’internazionalismo: il diritto di vivere e lavorare nel proprio Paese"
Il leader di France Insoumise in un'intervista a il Manifesto: "Bisogna guardare alle nostra responsabilità rispetto a questi spostamenti di intere popolazioni: lo sfruttamento economico della nostre aziende, gli accordi di libero scambio imposti ai paesi del Sud, le guerre della Nato."
Pubblichiamo alcuni stralci dell'intervista di Jean-Luc Melenchon, leader di France Insoumise, su Il Manifesto del 14 maggio ad opera di Francesco Campolongo e Loris Caruso. Sono le parti che si riferiscono al fenomeno dei gilet gialli, all'Unione Europa e euro, al tema infine dell'immigrazione. Sono, dal nostro punto di vista, le posizioni più avanzate in Europa.
Qui per l'intervista completa
Il movimento dei gilet gialli è eterogeneo e difficilmente inquadrabile. Che idea ne avete e che relazione avete con loro?
Abbiamo sostenuto in modo costante il movimento, fin dal suo inizio. La vecchia sinistra tradizionale si è aggiunta solo successivamente. I sindacati sono rimasti a distanza. Molte rivendicazioni dei gilet gialli sono nel nostro programma, come il referendum di iniziativa cittadina, la progressività delle imposte e l’aumento dei salari. Questo movimento ha sorpreso gli osservatori perché ha preso le distanze da tutte le forme classiche di azione politica. Questo è caratteristico di ciò che noi chiamiamo rivoluzione cittadina, in cui ritroviamo le ondate democratiche degli anni 2000 in America Latina, le rivoluzioni arabe e l’insurrezione del popolo algerino. I gilet gialli sono oggetto d’una repressione feroce da parte di Macron. Più di 2.000 manifestanti sono stati feriti, 23 hanno perso un occhio, 5 una mano, c’è stato un morto.
A volte in Italia la Fi è presentata come vicina alle posizioni No Euro. Può chiarirci la vostra posizione sull’Europa?
Siamo per l’uscita dai Trattati europei. Questi Trattati impediscono gli investimenti necessari per la transizione ecologica, distruggono i diritti sociali e i servizi pubblici, mettono al di sopra di tutto il dogma della competizione, determinano un quadro in cui è impossibile realizzare politiche sociali ed ecologiche. Se noi dovessimo arrivare al potere nel nostro Paese avremo come obiettivo imprescindibile l’applicazione del nostro programma, e proporremo per l’Europa la fine di queste regole assurde. Tra i Trattati e la sovranità popolare sceglieremo la sovranità popolare. La nostra posizione è radicalmente diversa da quella dei nazionalisti. Ciò che noi proponiamo può essere condiviso da tutti i popoli d’Europa: priorità per l’istruzione pubblica, la sanità e l’ambiente. Il linguaggio dei diritti umani, del progresso sociale ed ecologico è universale. Del resto facciamo parte della coalizione europea «Adesso il popolo», che riunisce Fi, Podemos, Bloco de Esquerda, Alleanza rosso-verde danese, Partito di sinistra svedese e Alleanza di sinistra in Finlandia.
In Italia le posizioni della Fi sul problema di rifugiati e migranti sono state oggetto discussione, anche nella sinistra. Ci può chiarire la vostra posizione?
Queste incomprensioni vengono da calunnie propagandate in Francia sulla natura delle nostre posizioni. La nostra storia parla per noi. Sono il solo ad aver proposto un minuto di silenzio per i migranti annegati nel Mediterraneo durante la campagna delle presidenziali. Abbiamo un programma completo sull’immigrazione, che prevede la creazione di uno statuto per i rifugiati climatici e umanitari. Sono stato in prima linea per difendere l’accoglienza dell’Acquarius, a cui hanno impedito di attraccare sia Salvini che Macron. Ma l’esilio forzato di milioni di persone non è desiderabile, prima di tutto per loro. Bisogna guardare alle nostra responsabilità rispetto a questi spostamenti di intere popolazioni: lo sfruttamento economico della nostre aziende, gli accordi di libero scambio imposti ai paesi del Sud, le guerre della Nato.
La nostra politica è finalizzata alla possibilità che le persone non debbano partire da casa loro. Chi rivendica il diritto d’insediamento e l’abolizione delle frontiere non si pone il problema della ragioni per cui le persone partono, non gli importa che l’esilio delle classi medie istruite dai paesi di emigrazione sia un saccheggio di cervelli, e abbandona un principio essenziale dell’internazionalismo: il diritto di vivere e lavorare nel proprio Paese. Chi si prenderà la responsabilità di dire ai 400mila giovani greci, ai 500mila giovani spagnoli e al 20% della popolazione rumena costretti a lasciare il loro paese che tutto questo è una buona cosa?