La "Campagna d'Ucraina": le dichiarazioni (inquietanti) del capo di Stato maggiore francese
di Giuseppe Masala
Nonostante la levata di scudi arrivate da molte capitale europee sulle parole di Macron che ha ventilato l'ipotesi di un intervento di terra nel conflitto ucraino da parte della Nato, o di una coalizione di volenterosi capeggiata dalla Francia stessa, da Parigi continuano a giungere voci di preparativi per la Campagna d'Ucraina.
A tale proposito di particolare rilevanza è stato l'intervento del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito francese (Armée de Terre) Pierre Schill sul giornale Le Monde, nel quale ha dichiarato: «L’esercito francese è pronto. Qualunque sia l’evolversi della situazione internazionale, i francesi possono essere certi che i loro soldati risponderanno con prontezza. Per proteggere dagli attacchi e per tutelare gli interessi nazionali, l’esercito francese si prepara alle battaglie più difficili».
Una vera e propria dichiarazione d'intenti quella espressa del generale peraltro sul quotidiano più prestigioso dell'intera Francia. Segno che il momento è da considerarsi solenne e il popolo va preparato; del resto le stesse dichiarazioni di Macron avevano lo stesso evidente intento. Il generale, inoltre, conclude ribadendo un altro concetto fondamentale espresso da Macron: «La sfida è garantire che la forza dimostrata dalle truppe francesi inverta la tendenza in modo da scoraggiare gli attacchi alla Francia. Essa fa affidamento per la difesa sul suo arsenale nucleare, nonché su un esercito addestrato e compatibile con gli eserciti dei suoi alleati, soprattutto in Europa». Anche qui il generale, ribadisce un concetto fondamentale già espresso da Macron, quasi a sottolineare che quanto già detto dal Presidente non è da considerarsi come un concetto espresso erroneamente: le armi nucleari francesi coprono solo ed esclusivamente il territorio francese garantendo, in caso di minaccia, una rappresaglia che dissuaderà chiunque da un attacco. Una affermazione che letta in controluce ha una sola interpretazione: i restanti paesi europei (al di fuori della Gran Bretagna) sono privi di un ombrello nucleare difensivo, pertanto chi vuole può sostanzialmente colpirne il territorio senza rischiare poi molto. Sempre che qualcuno non voglia credere in uno scudo nucleare garantito dagli Stati Uniti, ma bisogna essere proprio ingenui a credere che alla Casa Bianca e al Pentagono qualcuno rischierebbe di vedere colpite da ordigni nucleari città come New York, Chicago e Los Angeles per garantire una rappresaglia in caso di attacco nucleare su Berlino, Varsavia o Roma.
Un concetto peraltro ben inteso dal vecchio Romano Prodi che immediatamente ha lanciato un appello pubblico alla Francia: «Lo ribadisco: all’Europa servono una politica estera e una difesa comuni. E riguardo a quest’ultima la Francia, che detiene l’atomica, ha una responsabilità più grande e una leadership naturale, ma dovrà sbrigarsi, a mettere l’arma nucleare a disposizione dell’Europa, visto l’aumento della spesa militare tedesca». Da notare la finezza da vecchia volpe delle cancellerie europee: Prodi ha sottolineato l'aumento della spesa militare tedesca che evidentemente, a giudizio dell'ex Presidente del Consiglio, renderà autonoma la Germania dal punto di vista militare chiudendo la finestra di opportunità per Parigi di assumere la leadership europea.
Tuttavia l'innesco del perverso meccanismo dei preparativi alla guerra è dimostrato da altre importanti dichiarazioni come quelle del vice capo di Stato Maggiore dell'esercito polacco Karol Dymanowski che, ad un giornale polacco ha dichiarato: «Prima c'erano 40.000 soldati pronti a diventare uno scudo della NATO, e ora sono già 300.000 quelli disponibili. Questi soldati arriveranno nel Paese non dopo l'inizio della guerra, ma prima». Il generale polacco avverte che il build up per il conflitto è già ampiamente iniziato con lo spostamento di un numero molto elevato di truppe in Polonia (a cui poi vanno aggiunte quelle nella penisola scandinava, nei paesi baltici, in Romania, in Moldova e negli altri paesi confinanti con l'Ucraina, la Russia e la Bielorussia): preparativi peraltro debitamente mascherati dalle solite esercitazioni militari che consentono lo spostamento di truppe senza generare troppo allarme nelle popolazioni civili. Questa tattica l'hanno usata i russi nei mesi precedenti all'attacco all'Ucraina, e la stanno usando ora gli occidentali ammassando truppe e materiali sul fianco orientale della Nato, ai confini con la Russia.
Il cosiddetto build up peraltro non è soltanto relativo alla costruzione del dispositivo militare in senso stretto ma attiene anche alla costruzione di quelle infrastrutture necessarie al fine che il primo possa funzionare al meglio. E' infatti di questi giorni la notizia che la più grande base NATO in Europa è in costruzione in Romania. Si tratta della 57a base aerea “Mihail Kogalniceanu” di Costanza, che, grazie a colossali lavori di ampliamento (al modico prezzo di 2,5 miliardi di dollari), si appresta a diventare la più grande base NATO d’Europa, concepita, secondo gli esperti su misura per la guerra a Mosca.
Non pare esagerato definire ormai la Romania come una vera e propria piazzaforte della Nato rivolta contro Mosca. L'affermazione regge anche in relazione al fatto che è stata completata anche la base militare Deveselu, nel sud della Romania, che ospita il sistema di difesa antimissile balistico Aegis Ashore della Marina statunitense. A proposito di questo sistema d'arma i funzionari russi avvertono da anni che i sistemi di lancio verticale MK-41 della struttura potrebbero essere facilmente calibrati per lanciare missili da crociera Tomahawk in Russia.
Ma anche nella penisola scandinava e nei paesi baltici il build up militare è ampiamente in corso, così come è in corso il coro di dichiarazioni dei politici che tendono a creare quell'effetto rana bollita che abituano le opinioni pubbliche alla inevitabilità della guerra. Innanzitutto Finlandia e Svezia sono entrate ufficialmente nella Nato, consentendo lo schieramento di truppe e mezzi dei paesi dell'Alleanza Atlantica nei territori nazionali. Si è notato peraltro l'aumento delle affermazioni russofobiche da parte dei politici locali, come il rieletto presidente del parlamento finlandese Jussi Halla-aho, il quale ha affermato che uccidere i soldati russi è “giusto e necessario”. Per non parlare poi della Ministro degli Esteri finlandese Elina Valtonen che ha dichiarato di non poter escludere l'invio di truppe in Ucraina.
Infine vale la pena ricordare che in sede europea si susseguono le dichiarazioni sulla necessità di convertire l'apparato produttivo europeo allo stato di economia di guerra. Significative al riguardo le affermazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio Europeo il belga Charles Michel che scimmiottando Mario Draghi ha detto che bisogna fare “whatever it takes” pur di evitare la vittoria della Russia.
Se si sommano tutte queste dichiarazioni e soprattutto gli atti politici e amministrativi conseguenti è davvero difficile non vedere il framework che ci sta portando passo dopo passo al conflitto diretto con la Russia. Poi certamente si può sempre sperare che siamo di fronte a semplici schermaglie per ottenere un posto migliore al tavolo della pace. Ma, allo stato, ce ne vuole di ottimismo per credere a questo.