La nozione di pubblico, le residenze per anziani e la necessità di reinternalizzare personale, servizi e prestazioni
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di Federico Giusti
A quanti è capitato di visitare una Residenza per anziani? Mi sono posto questa domanda davanti all'enorme sofferenza di un familiare che superati gli ottanta anni non aveva la lucidità di scegliere la soluzione migliore per trascorrere le ultime settimane di vita.
Pesano anche status culturali e preconcetti, per molti la Rsa diventa sinonimo di abbandono (in una ottica regressiva e patriarcale secondo la quale dovrebbe essere sempre e solo la donna a prendersi cura di anziani e bambini) e una soluzione che scaturisce dal disimpegno dei figli verso i genitori.
Le soluzioni dipendono ormai dal portafoglio dei singoli, quanti sono economicamente in grado di sostenere rette onerose hanno solo l'imbarazzo della scelta tra assistenza domiciliare e ricovero in una struttura sovente gestita da cooperative in appalto.
La domanda iniziale, senza risposta, dovrebbe partire dall'individuare la soluzione migliore per l'anziano e a tal riguardo un welfare moderno ed attrezzato dovrebbe offrire soluzioni ragionevoli chiedendo un contributo equo alle famiglie in base ai loro redditi
Chi dovrebbe pagare allora la casa di riposo di un anziano? E' lecito pensare a case di riposo gratuite o a svariate forme di assistenza domiciliare?
Partiamo da questa premessa ammettendo di non sapere quale sia la soluzione migliore, per anni l'assistenza domiciliare è stata pensata come misura alternativa e meno dispendiosa delle RSA, come nel caso degli asili nido le "case di riposo" pubbliche sono in numero insufficiente, è stato demandato al terzo settore e al clero questo servizio che dovrebbe essere parte attiva del nostro stato sociale.
La normativa nazionale sui livelli essenziali di assistenza divide a metà la spesa, non meno del 50 per cento ricade sugli utenti e sui familiari ma nella maggioranza dei casi i costi sono elevati e insostenibili e a quel punto, nella impossibilità di garantire la metà della retta dovrebbero intervenire i comuni con il loro bilancio risicato e insufficiente. Pensiamo che mediamente una retta supera 2000 euro al mese, se l'utente è un pensionato da 1000 euro al mese, la famiglia dovrà comunque integrare a meno che non ci sia una pensione di accompagnamento da versare integralmente a copertura delle spese.
La normativa è assai contorta, ci sono sentenze poi che assegnano il compito di pagare la intera retta al Servizio sanitario nazionale per anziani non autosufficienti, ad esempio quelli afflitti da Alzheimer
I ricorsi in sede giudiziaria non entrano nel merito del welfare, se lo stato sociale si debba fare carico in toto di assistere bambini e anziani, il contenzioso riguarda la natura degli interventi per i non autosufficienti, se siano di natura sanitaria o sociale. Insomma se non andiamo oltre il contenzioso relativo al soggetto che dovrà farsi economicamente carico della spesa anche la nozione di intervento pubblico verrà ridicolizzata e messa in discussione.
E' tempo di comprendere intanto cosa siano oggi le politiche pubbliche senza prima fermarsi alla canonica distinzione tra sanità e sociale che poi dipende da ragioni di spesa, di bilancio, di contenimento dei costi e non certo da criteri razionali e inclusivi che dovrebbero elargire dei servizi a prescindere.
Ma se la sanità è soggetta a vincoli di spesa che invece sono rimossi nel caso del settore militare, come sarà possibile in futuro tutelare la salute pubblica e garantire livelli di assistenza ai non autosufficienti?
A nostro modesto avviso la distinzione tra sanità e non autosufficienza è foriera di confusione, creata ad arte, e alla fine va a ledere quelli che in teoria dovrebbero essere ritenuti diritti universali e sociali. Ma sono proprio questi diritti da anni una sorta di variabile dipendente dai vincoli di spesa e da qui nasce la confusione ormai imperante
Alcune associazioni rivendicano una nuova normativa chiarificatrice e puntuale ma prima di ogni altro passaggio sarebbe indispensabile chiarire l'equivoco di fondo ossia se lo Stato voglia salvaguardare i diritti sociali oppure no, se intende farlo a prescindere dai tetti di spesa prevedendo magari una tassazione diversa che permetta di ricavare risorse dai redditi elevati ed agli extraprofitti per investirli direttamente nel sociale
Non si tratta solo di intervenire con dei provvedimenti risolutivi ma di uscire da quella separazione canonica tra interventi sanitari e sociali utilizzata ad arte per ridurre ai minimi termini lo stato sociale pensando che i bonus possano compensare la assenza di strutture, servizi e professionisti nell'ambito della Pubblica amministrazione
Se avessimo strutture pubbliche funzionanti e accessibili forse anche la indennità di accompagnamento diventerebbe superflua ma una scelta del genere troverebbe la prima opposizione nel privato sociale, nel mondo delle cooperative che vivono proprio sulla riduzione di spesa applicando contratti nazionali alla forza lavoro decisamente bassi e con paghe spesso inferiori anche ad un ipotetico salario minimo
E in questo periodo davanti ai tagli alle spese sociali che poi determineranno riduzioni orarie della forza lavoro lavoratori e lavoratrici del terzo settore dovrebbero essere i primi ad attivarsi senza genuflettersi, in qualità di soci, ai voleri delle cooperative
Se esiste una sorta di immobilismo decisionale riguarda non solo la politica ma anche la forza lavoro e il mondo sindacale.
Paradossalmente oggi reinternalizzare servizi e prestazioni, costruire strutture pubbliche per anziani e bambini potrebbe essere economicamente vantaggioso anche per la spesa pubblica, l'esperienza privatizzatrice in tanti casi ha fatto lievitare le spese a carico della collettività registrando al contempo una forza lavoro sottopagata.
E' evidente che per evitare il corto circuito (minori servizi, maggiore spesa, stipendi da fame), una scelta radicale e dirompente sarebbe quanto mai indispensabile