L’Europa ha molto da imparare dalla Cina e dai Paesi del Sud Globale
Un approccio basato su economia fisica, investimenti produttivi e partenariati strategici
Sulla base delle analisi di Stephen Brawer, pubblicate su China Daily, emerge un quadro articolato e complesso delle prospettive economiche e geopolitiche dell’Unione Europea nell’attuale contesto internazionale.
Brawer, Chairman del Belt and Road Institute in Sweden e Distinguished Research Fellow presso il Guangdong Institute for International Strategies, sottolinea come, nonostante le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, la prospettiva di una maggiore cooperazione economica tra UE e Cina non si sia sviluppata come previsto. Questo fenomeno è il risultato di una serie di fattori complessi, spesso poco visibili e ancor meno compresi, che influenzano le dinamiche globali.
Da un lato, i mercati europei stanno diventando sempre più dipendenti da rapporti commerciali stabili con la Cina. La politica protezionistica statunitense, caratterizzata dall’applicazione di dazi punitivi, potrebbe favorire un aumento degli scambi tra UE e Cina nel breve termine, e probabilmente anche nel lungo periodo. Tuttavia, dietro questa apparente opportunità si cela una realtà finanziaria preoccupante: l’economia globale è minacciata da una bolla speculativa crescente, eredità irrisolta della crisi del 2008, che ha portato ad accumulare debiti speculativi insostenibili.
Le banche centrali europee sono profondamente coinvolte in questo circolo vizioso. Le soluzioni tradizionali basate su aumenti o riduzioni dei tassi d’interesse per contrastare l’inflazione si rivelano inefficaci. Secondo Brawer, è necessario tornare alle politiche delineate nel Glass-Steagall Act , introdotto durante il New Deal del presidente Roosevelt negli anni ’30, che separava chiaramente le attività delle banche commerciali da quelle speculative.
Tuttavia, istituti finanziari potenti come quelli di Londra e Wall Street difficilmente accetteranno volontariamente un simile ritorno a regole più stringenti. Si rende quindi urgente il passaggio a un sistema bancario nazionale, in cui il credito venga allocato in base agli interessi generali della società e al bene comune, anziché privilegiare solo gli asset privati. Questo modello, noto come “economia fisica”, mira a sostenere la produzione reale e lo sviluppo di infrastrutture materiali.
L’idea dell’economia fisica affonda le sue radici nella filosofia di Gottfried Wilhelm Leibniz ed è stata rilanciata in ambito occidentale dall’economista statunitense Lyndon LaRouche. La Cina ha fatto proprie queste logiche fin dagli anni ’80, grazie alle riforme avviate da Deng Xiaoping. Negli ultimi quarant’anni, lo sviluppo cinese si è fondato sul socialismo con caratteristiche cinesi, un modello che presenta analogie con il concetto di economia fisica e banking nazionale. Tale approccio si riflette chiaramente nella Belt and Road Initiative (BRI), lanciata dal Presidente Xi Jinping nel 2013.
Sebbene le tensioni USA-Cina possano spingere l’UE verso una maggiore collaborazione commerciale con Pechino, questa tendenza non garantisce automaticamente un contributo positivo alla pace e allo sviluppo globale, come quelli promossi dalla BRI e da altre iniziative cinesi, tra cui il Global Development Initiative, il Global Security Initiative e il Global Civilization Initiative.
Invece, l’atteggiamento dell’UE appare contraddittorio: da un lato cerca relazioni commerciali vantaggiose con la Cina, ma dall’altro promuove un massiccio aumento delle spese militari in nome della difesa contro una presunta “aggressione” russa e cinese. Questo comportamento schizofrenico è emerso chiaramente durante il recente webinar del Belt and Road Institute in Sweden dal titolo "EU at the Crossroads" .
La strada maestra per garantire stabilità e sostenibilità globale sembra risiedere invece nell’alleanza tra Cina e i Paesi del Sud Globale, rafforzata da iniziative come la BRI e il BRICS.