L’ipocrisia delle grandi potenze nel discorso all’ONU di Vucic

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L’ipocrisia delle grandi potenze nel discorso all’ONU di Vucic

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I principi non si applicano solo ai forti, si applicano a tutti. Se non è così, allora non sono più principi”.

 

di Chiara Nalli per l’Antidiplomatico

Il primo estratto del discorso del presidente serbo Vucic davanti all'Assemblea generale dell'ONU è apparso sulla stampa serba intorno alle 17.00 di giovedì 21 settembre. Il principale quotidiano del Paese ha titolato “Dov'era il diritto internazionale quando avete attaccato la Serbia?”. E se il resoconto dei giornali nazionali è stato capace di suscitare un immediato entusiasmo, l’intero discorso, disponibile qui https://www.youtube.com/watch?v=PXt1bBtHxVI - in inglese - può essere considerato, a pieno titolo, un intervento di portata storica. Tanto che la frase citata nel titolo è stata interrotta dagli applausi della sala.

In un consesso dominato dalle tematiche legate alla guerra in Ucraina, sgranellate dalla stampa con la consueta superficialità, il presidente serbo è intervenuto riportando al centro la vicenda del proprio Paese, sotto una duplice prospettiva: ricordando, da un lato, come le attuali situazioni di conflitto (con particolare riguardo all’Ucraina) siano in massima parte la conseguenza della violazione del diritto internazionale da parte delle grandi potenze, nell’ambito di un processo di espansione strategica avviato proprio con l’attacco NATO alla Serbia; dall’altro - denunciando l’attuale stato delle relazioni con il Kosovo, in cui le stesse superpotenze - USA e UE - coinvolte come meditatori, applicano sistematicamente “doppi standard” - capaci di portare alla cronicizzazione - o peggio l’inasprimento - del conflitto.

Vucic ha scelto di parlare del proprio Paese, con la consapevolezza della dimensione universale, profondamente politica e attuale, insita nella sua storia e nella sua posizione strategica: “Sono davanti a voi come rappresentante di un Paese libero e indipendente, la Serbia, che si trova nel percorso di adesione all'Unione europea ma che, al tempo stesso, non è pronto a voltare le spalle alle sue tradizionali amicizie costruite da secoli (con la Russia, NDR)”. Significativa in questo senso è anche la scelta dell’inglese, al fine raggiungere una platea più ampia possibile senza l’intermediazione di traduttori, come egli stesso ha chiarito nei successivi incontri con i giornalisti, i quali hanno evidenziato, per l’appunto, come il suo intervento sia andato oltre l'ambito regionale e non fosse diretto al solo pubblico locale.

Ancor più in un momento storico in cui il rispetto dei principi del diritto internazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità degli stati viene sbraitato con foga e tradotto, in pratica, nel sostegno illimitato a uno dei due belligeranti - diventando la maschera per protrarre una guerra senza fini - il presidente serbo ha sottolineato l'ipocrisia delle maggiori potenze mondiali sull’argomento, ricordando l’appoggio - concesso da quasi tutti i paesi del blocco euro-atlantico, alla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, in aperta violazione della Risoluzione 1244 dell’ONU: “Voglio alzare la voce a nome del mio Paese, ma anche a nome di tutti coloro che oggi, a 78 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite, credono veramente che i principi della Carta delle Nazioni Unite siano l’unica difesa essenziale della pace nel mondo, del diritto alla libertà e all’indipendenza dei popoli e degli Stati. Ma anche di più: sono la garanzia della sopravvivenza stessa della civiltà umana. L'ondata globale di guerre e violenze che colpisce le fondamenta della sicurezza internazionale è una conseguenza dolorosa dell'abbandono dei principi delineati nella Carta delle Nazioni Unite […] Il tentativo di smembrare il mio Paese, formalmente iniziato nel 2008 con la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo è ancora in corso. Per la precisione, la violazione della Carta delle Nazioni Unite nel caso della Serbia è stato uno dei precursori visibili di numerosi problemi che tutti dobbiamo affrontare oggi, che vanno ben oltre i confini del mio Paese o il quadro della regione da cui provengo. Più in generale, dall’ultima volta che ci siamo incontrati qui, il mondo non è né un posto migliore né più sicuro. Al contrario, la pace e la stabilità globale sono ancora minacciate. […] Onorevoli colleghi, anche se da tre giorni da questo palco tutti giuriamo di rispettare i principi e le regole della Carta delle Nazioni Unite, proprio la loro violazione è all'origine della maggior parte dei problemi nelle relazioni internazionali - mentre l’implementazione di doppi standard è un aperto invito per tutti quelli che cercano di affermare i loro interessi con la guerra e la violenza, violando le norme del diritto internazionale ma anche le fondamenta della moralità umana.”

A questo punto si potrebbe pensare che sul piano diplomatico, il presidente serbo abbia detto più che abbastanza. E invece no, Vucic si è spinto fino a nominare ciò che nella situazione attuale è, di fatto, diventato innominabile, chiamando in causa i diretti responsabili: “Tutti i relatori finora, e credo tutti dopo di me, hanno parlato della necessità di cambiamenti nel mondo, menzionando il proprio Paese come esempio di moralità e rispetto della legge. Oggi non parlerò molto del mio Paese […] Ma parlerò dei principi che sono stati violati e che ci hanno portato alla situazione odierna, e non dai piccoli paesi, che spesso sono bersaglio di tali attacchi, ma dai paesi più potenti del mondo, soprattutto quelli che si sono arrogati il diritto di dare lezioni a tutto il mondo, esclusivamente dal proprio punto di vista, su politica e morale.

E ancora “Qui in questa sala, appena due giorni fa, abbiamo potuto sentire dal Presidente degli Stati Uniti che il principio più importante nelle relazioni tra i paesi è il rispetto della loro integrità territoriale e sovranità - e solo come terzo fattore più importante ha menzionato i diritti umani. E mi è sembrato che tutti in questa stanza lo sostenessero. Io, come presidente della Serbia, l'ho accolto con palese entusiasmo. […] Sarebbe tutto bello se fosse vero. Quasi tutte le principali potenze occidentali hanno brutalmente violato sia la Carta delle Nazioni Unite sia la Risoluzione ONU 1244, che era stata adottata in questa Alta Camera, negando e calpestando tutti quei principi che oggi difendono, e ciò è accaduto ventiquattro anni fa e ancora quindici anni fa. Per la prima volta, senza precedenti nella storia del mondo, i diciannove paesi più potenti hanno preso una decisione senza il coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU - lo ripeto, senza alcuna decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – di attaccare brutalmente e punire un Paese sovrano sul suolo europeo - come ebbero a dire - “per impedire il disastro umanitario” […]. E quando ebbero finito con questo lavoro, dissero che la situazione del Kosovo era un fatto di democrazia e che sarebbe stata risolta in base alla Carta della Nazioni Unite e al diritto internazionale. E poi, contraddicendo tutto questo e soprattutto contrariamente al diritto internazionale, nel 2008 hanno deciso di supportare l’indipendenza del Kosovo. La decisione illegale di secessione della provincia autonoma di Kosovo e Metohija dalla Serbia è stata presa dieci anni dopo la fine della guerra, senza un referendum o qualsiasi altra forma di consultazione democratica affinché i cittadini in Serbia o almeno nel Kosovo stesso, potessero dichiarare le loro intenzioni. Questa decisione è stata presa in un momento in cui la Serbia aveva un governo impegnato nell’integrazione europea ed euroatlantica […]. Tutto questo non ha impedito che la violenza politica e legale arrivasse proprio da coloro che oggi sono in prima fila nell’impartirci lezioni […]. La cosa peggiore è che tutti coloro che hanno contribuito all’aggressione contro la Serbia oggi ci danno lezioni sull’integrità territoriale dell’Ucraina. Come se non la supportassimo. Noi la supportiamo e continueremo a farlo perché noi non cambiamo le nostre politiche e i nostri principi, non ostante la nostra centenaria amicizia con la Federazione Russa. […] Sono il presidente della Serbia, al mio secondo mandato; in innumerevoli occasioni ho subito pressioni politiche, sono un veterano politico. Ciò che vi dico oggi è la cosa più importante per me: i principi non cambiano in base alle circostanze. I principi non si applicano solo ai forti, si applicano a tutti. Se non è così, non sono più principi”. […] Un’altra cosa importante è che la pace è diventata una parola proibita. Tutti loro (NDR, le grandi potenze) hanno i loro preferiti e i loro colpevoli. I soli valori che rimangono alle grandi potenze sono proprio i principi. Ma sono principi falsi: li invocheranno solo fin quando gli staranno bene.”

Le parole di Vucic sono sassate. Lo sarebbero anche se fossero uscite dalla bocca di un Lavrov, rappresentante di un Paese indipendente nella sostanza del reale, dotato di risorse sterminate e di un esercito in grado di contrastare i propri nemici per un tempo virtualmente illimitato. Diventano leggendarie nel momento in cui sono pronunciate dal presidente di un Paese di 6,7 milioni di abitanti, stretto nella morsa dei Balcani tra paesi NATO, ultima frontiera geografica, culturale e politica nel cuore dell’Europa atlantica. Per comprenderne fino in fondo la portata, è necessario considerare questo punto di vista e, ancor più, la situazione in cui si trova attualmente la Serbia - probabilmente la fase più delicata in venticinque anni di storia: stretta tra lo stallo dei negoziati - patrocinati da USA e UE - con le autorità kosovare, da un lato - e le pressioni da parte di Unione Europea e Stati Uniti per abbandonare definitivamente i propri rapporti (in massima parte economici) con la Russia, dall’altro; minacciata costantemente di una rivoluzione colorata in casa e con la prospettiva, in un orizzonte ormai troppo vicino, di un conflitto congelato in Kosovo, capace di detonare (o essere innescato) in qualsiasi istante.

Non è inappropriato affermare che - in base all’evoluzione di alcune variabili - Serbia, Kosovo e Repubblica Srpska potrebbero rappresentare la nuova linea di conflitto in Europa; per questo torneremo a dare chiarimenti - in proposito - nei prossimi articoli.

L’ultima considerazione sullo storico discorso di Vucic riguarda proprio la posizione “individuale” della leadership di governo serba che rappresenta, attualmente, l’unica espressione politica valida, credibile e solida di una scelta strategica nazionale, razionalmente e realisticamente indipendentista e sovranista. Una posizione scomoda che si tiene in equilibrio tra gli attacchi propagandistici della stampa estera (CNN e New York Times in prima fila) e i tentativi di destabilizzazione - talvolta violenti - portati avanti dai partiti di opposizione all’interno dei confini nazionali. Tanto che, da almeno sei mesi, i leader del governo serbo hanno rinunciato a coprire il tutto con il velo di diplomazia del “detto-non-detto”, passando a denunciare apertamente le pressioni che ricevono da elementi esteri e interni. L’intervento all’Assemblea Generale dell’ONU non ha fatto eccezione: nei successivi incontri con la stampa, Vu?i? ha rivelato di esser stato “consigliato” al fine di non menzionare l'aggressione della NATO contro la Serbia e la violazione del diritto internazionale implicita nella dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Ha aggiunto: “Hanno cercato di spiegarmi che era l'ultima occasione, per me, di diventare un politico del futuro e non un politico del passato” (frase che potrebbe rappresentare tanto una promessa di carriera quanto una minaccia) “e se non avessi voluto, ci sarebbero state queste fondazioni straniere pronte a sostenere i miei avversari politici, per portarli dove devono essere”.

Forse si può non credere alle parole di un leader ma rimane fuori discussione che la menzione di una verità storica come quella della Serbia, nell’attuale contesto politico mondiale, possa aver fatto tremare le pareti del Palazzo di Vetro.

Ancora una volta, le vicende del Paese balcanico rappresentano una lente di osservazione privilegiata, in grado di riassumere in un arco temporale relativamente breve e in un territorio dalle caratteristiche emblematiche, le contraddizioni e le distorsioni di un modello di leadership globale in piena crisi, proprio per aver immoralmente violato i principi su cui ha preteso di basarsi dal 1943 in poi.

La conclusione del discorso di Vu?i? riassume, al tempo stesso, lo spirito dei paesi che stanno decidendo di allontanarsi dalla sfera d’influenza occidentale (sulla traccia storica dei paesi non allineati, di cui la Jugoslavia era capofila) e una grande lezione di dignità politica e culturale: “in un mondo del genere, credo che ancora una volta, la Serbia, alzando la voce e combattendo per i valori universali e per i principi di inviolabilità dei confini internazionalmente riconosciuti, per l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza politica, offra l’esempio della battaglia per ciò che è giusto […] Non ci vuole una grande forza ma solo risolutezza e coraggio. […] È solo triste che i grandi paesi, che non sono interessati alla legge e alla giustizia, si appellino a principi diversi in base alle circostanze, ovvero ai principi che in quel momento gli convengono. Quando si segue questo tipo di politica, quando non c’è moralità nella politica, diventa chiaro che entreremo in un’era di grandi divisioni e grandi conflitti, non solo economici e politici ma anche militari. Proprio in una situazione così difficile, l’ONU rimane l’unica piattaforma reale che ci unisce […]. Forniamo pieno sostegno a tutti i processi di riforma delle Nazioni Unite, comprese le iniziative del Segretario generale per preservare la pace globale, per non rischiare di scomparire, tutti, in un conflitto darwiniano guidato dalle maggiori potenze […] La Serbia è sulla strada europea, pronta al cambiamento e alle riforme. Abbiamo buoni rapporti con gli Stati Uniti e credo che i nostri rapporti saranno ancora migliori. Allo stesso tempo preserveremo le nostre amicizie tradizionali, in tutti i continenti, e saremo orgogliosi dei nostri buoni rapporti con i paesi e i popoli in Africa, Asia e America Latina. […] Le nostre relazioni con Cina, Korea e Giappone, molti paesi arabi e musulmani, sono alla loro massima espressione storica. Non romperemo la nostra importante, storica amicizia con la Russia, nella convinzione che Il dialogo rimane l’unica strada per una soluzione di compromesso. […] Credo nel futuro […] e nella capacità di superare le differenze con sforzi congiunti. […] Voglio che costruiamo ponti, non muri.”

 

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