L’UE il suo ruolo "peculiare" nella Terza guerra mondiale. Intervista al Prof. Giorgio Monestarolo

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L’UE il suo ruolo "peculiare" nella Terza guerra mondiale. Intervista al Prof. Giorgio Monestarolo

 

di Giulia Bertotto per l’AntiDiplomatico

Il professor Giorgio Monestarolo è ricercatore associato del Laboratorio di Storia delle Alpi (Università della Svizzera italiana) e docente di storia e filosofia al Liceo V. Alfieri di Torino. L’AntiDiplomatico ha avuto l’opportunità di intervistarlo per parlare del suo ultimo libro “Ucraina, Europa, Mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale” con prefazione del generale Fabio Mini (Asterios Editore, 2024).

L’INTERVISTA AL PROF. MONESTAROLO

“La guerra in Ucraina, ormai, è passata in secondo piano rispetto ai nuovi scenari di conflitto in Palestina e in Yemen. Eppure, un evidente filo rosso collega tutti questi eventi. Un ordine internazionale o, meglio, un ordine instabile – fondato sulla diseguaglianza sociale, sullo sfruttamento dei Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri, sul mancato diritto all’autodeterminazione dei popoli – è entrato definitivamente in crisi. La guerra in Ucraina ha segnato l’inizio dell’accelerazione verso una situazione generalizzata di caos e di conflitto. Per tale motivo, non è sbagliato attribuire un significato storico all’inizio della guerra il 24 febbraio 2022”. Così scrive nell’introduzione del suo saggio “Ucraina, Europa, Mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale”. Qual è questo filo rosso?

Potremmo dire che il filo rosso è l’indebolimento degli Usa. Sebbene la crisi in Palestina sia storica e decennale, l’intensità di questo conflitto -con Netanyahu che nei fatti ricatta Biden per ottenere il sostegno d’Oltreoceano- è aumentata con l’indebolimento parziale, economico e militare statunitense dovuto al conflitto con la Russia. Venuta meno l’Unione Sovietica la federazione americana ha trovato il suo spazio di espansione, soprattutto in Medioriente. Il Medioriente è il fulcro delle risorse petrolifere e la preziosa via del commercio tra Europa e Asia. Questo rappresentava una strategia razionale, seguire invece Israele nelle sue imprese genocidarie non lo è. In tal senso il modo di procedere americano sta diventando via via meno strategico, più irrazionale e forse più pericoloso e può portarli ad avvitarsi ancor più su tale indebolimento.



Quindi Israele ha la capacità di ricattare gli Usa?

Sì, per due motivi, uno relativo alla politica interna e uno relativo alla politica internazionale. Israele è l’avamposto degli Usa in Medioriente. Gli accordi di Abramo che stavano per essere stipulati sono una garanzia di presenza e influenza degli Stati Uniti nell’area mediorientale. In politica estera gli americani hanno scommesso tutto o davvero molto su Israele e non possono rinunciare al loro partner in una zona chiave, una zona di cesura, considerando anche solo la quota di commercio mondiale che passa per il Mar Rosso. In tal senso l’attacco degli Houti yemeniti ha messo molto in difficoltà le potenze occidentali e in particolare inglesi e americani. Il secondo motivo legato alla politica interna è la presenza organizzata di tipo lobbista di Israele negli Usa attraverso l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee, Comitato per gli affari pubblici israelo-americani), che finanzia i candidati repubblicani e democratici con centinaia di milioni di dollari. Una lobby capace di condizionare in maniera pesantissima la leadership americana. Biden è probabilmente il presidente più vicino all’AIPAC degli ultimi anni.

 

Non è una crisi esclusivamente geopolitica, per quanto ampia, quello è solo l’aspetto visibile per così dire, ma una crisi del sistema mondo fondato sull’ingiustizia, l’imperialismo è in crisi. In che fase è la guerra in Ucraina?

In seguito alla controffensiva ucraina nella primavera-estate 2024 sono state esaurite non sono le armi ma anche i soldati, la carne da cannone di questa guerra per procura; quindi gli ucraini stanno lentamente retrocedendo e i russi lentamente avanzando lungo la linea. La presa di Avdiivka da parte delle forze russe rappresenta una vittoria sia simbolica che strategica poiché Kiev non riesce più a costruire un sistema di fortificazioni. Attualmente i russi stanno ultimando la conquista del Donbass ma è ancora lontana dal concludersi. Sono avanzati dell’ordine di poche centinaia di metri, tranne rare eccezioni, quindi la guerra sarà probabilmente ancora lunga. A meno che non crolli il fronte interno ucraino, non venga meno il consenso al governo dopo due anni di guerra. Questo potrebbe determinare il collasso dell’esercito di Zelenski e aprire una tensione internazionale fortissima. Cosa faranno americani ed europei difronte a una accelerazione improvvisa? Intanto Biden deve tenere un occhio aperto anche su Taiwan, la Cina sembra lontana ma il suo ruolo e quello dei BRICS in ascesa, è preponderante.

L’Ucraina potrebbe entrare presto nella NATO?

Escluderei senza dubbio l’entrata dell’Ucraina nella Nato, sia per motivi relativi al Patto Atlantico stesso, sia perché se avvenisse saremmo a tutti gli effetti in guerra con la Russia. L’Ucraina è l’ago della bilancia, il centro del conflitto tra Nato e Russia.

Dal 1996 con Clinton presidente la Nato ha mancato di osservare l’accordo informale stipulato per la non espansione occidentale, nel 2007 Putin ha dichiarato in occasione della Conferenza Internazionale di Monaco che lui non avrebbe accettato altre espansioni territoriali e la linea rossa era l’Ucraina. Solo un mese dopo è arrivata la proposta di ingresso nella Nato da parte dell’Ucraina. Da lì tutto è precipitato. A metà dicembre del 2021, cioè due mesi prima delle operazioni in Ucraina la Russia ha presentato alla Nato e agli Usa un memorandum chiamato Piano di pace in cui si proponeva di risolvere diplomaticamente i conflitti cresciuti negli ultimi anni. Sostanzialmente la richiesta era sempre la stessa smettere di avanzare nei territori ex URSS. L’ambizione espansionistica della Nato e quella russa di conservare i propri confini erano di nuovo gravemente in attrito.

La guerra nel cuore dell’Europa, il genocidio dei gazawi, la normalizzazione mediatica della guerra e il ritorno alla minaccia nucleare sono tutti indizi spaventosi di un cambiamento globale che vede il tramonto dell’egemonia americana, come previsto dal libro di Terence H. Hopkins e Immanuel Wallerstein scritto fine degli anni ’90 che lei cita.

Le azioni politiche sono il risultato di forti pressioni materiali ed economiche ma anche ideali e sociali. Dopo la caduta del Muro di Berlino l’unica super potenza erano gli Usa, i quali però non erano in una fase ascendente della loro parabola; avevano sconfitto l’URSS, possedevano il capitale militare più importante, ma era già iniziato il processo che chiamiamo globalizzazione e l’economia interna americana viveva grossi conflitti, con lo sviluppo del welfare che aveva fatto contrarre i profitti. I due studiosi vedevano in questa fase della globalizzazione i segnali di crisi di un gigante. Mentre tutti gli studiosi lodavano il loro sviluppo attraverso la finanziarizzazione e delocalizzazione, Hopkins e Wallerstein dicevano che questa fase avrebbe implicato un conflitto per l’egemonia mondiale.

Nel terzo capitolo spiega qual è la posizione dell’Europa in questa destabilizzazione globale. La sua è una strana condizione perché non possiede un proprio esercito e i suoi interessi non coincidono con quelli statunitensi, anzi.

L’Unione Europea ha trovato altri modi che non sono quelli militari per partecipare al conflitto mondiale che chiamo la Guerra delle monete. Citerò un passo dal mio libro: “Nelle prime settimane dopo il 24 febbraio 2022, alcuni tra i più importanti e prestigiosi uomini delle istituzioni finanziarie internazionali, primo fra tutti Mario Draghi, mettono a punto un sistema per strangolare l’economia russa. La mossa si fonda su due gambe: l’inasprimento delle sanzioni economiche, in modo da mettere alle strette le esportazioni di materie prime russe e colpire con il divieto di importazione di componentistica occidentale l’industria di Mosca; la sospensione delle banche e delle grandi imprese finanziarie e assicurative russe dalla piattaforma internazionale bancaria SWIFT e la requisizione, sic et simpliciter, dei fondi della Banca centrale russa depositati nelle sedi estere per operazioni di compensazione nelle transazioni internazionali”. L’Europa più che essere un braccio militare contro la Russia doveva svolgere un ruolo finanziario-economico per strozzare economicamente il Cremlino. I vertici americani e la nostra classe dirigente hanno fatto male i conti e questo dimostra che non hanno la minima visione d’insieme, nessuna lungimiranza. L’Europa sta vivendo una vera e propria crisi di razionalità confondendo i suoi desideri con la realtà.

“La retorica dell’aggressore e dell’aggredito, per cui i russi sono i cattivi e gli ucraini sono i buoni, utilizzata come un martello schiacciasassi sull’opinione pubblica da tutti i grandi media filo atlantici (per l’Italia tutti, con qualche rara eccezione come «Il Fatto Quotidiano» e qualche collaboratore de «il manifesto») fa tabula rasa della complessità di questa storia. Quello che con una certa obiettività si può affermare è che, indubbiamente, la Russia ha invaso l’Ucraina e ha dato quindi un potente contributo a destabilizzare la situazione internazionale, portandosi dietro la responsabilità di questa scelta. Allo stesso tempo, il terreno per l’invasione è stato attentamente preparato e intenzionalmente provocato dalle decisioni di politica estera degli USA, della NATO, di alcuni dei Paesi europei – principalmente dell’est – e del governo ucraino”. Scrive nell’ottavo capitolo. La responsabilità dei media è immane perché condiziona l’opinione pubblica, in fondo l’arma più forte nel fare o evitare una guerra, come ha detto anche Assange.

Scontiamo un periodo di ibernazione della democrazia perché le informazioni, le filosofie, le ideologie alternative a quei contenuti portati avanti dal neoliberismo sono stati azzerati sul piano mediatico e della circolazione nell’opinione pubblica. Il caso di Varoufakis è emblematico da questo punto di vista: il brillante economista voleva spiegare alla troika europea che la richiesta di austerità per la Grecia era dannosa sia per quest’ultima sia per l’Europa. Naturalmente aveva ragione ma a nessuno interessava un confronto razionale. Il potere non si mette in discussione, per questo devono esserci diversi organi di informazione indipendente a costringerlo a farlo.

Una domanda “filosofica”. Nel 1933 Einstein, esperto delle profondità cosmiche, chiedeva a Freud, che riteneva esperto delle profondità umane, se ci sarebbe mai stata un’era umana priva di guerra. Freud sostanzialmente rispondeva di no. Nell’era dei diritti per tutti e dell’inclusione sbandierata, nonostante la retorica della Memoria, stiamo assistendo quasi inermi al massacro dell’intera popolazione palestinese. Nessuno sta fermando Israele. Mentre avanza la Terza guerra mondiale. Crede che potrà esserci in futuro umanità che non fa la guerra?

Comprendo davvero il senso di impotenza ma a differenza di Freud non sono del tutto pessimista; penso che il banco di prova determinante sia come usciremo dalla pulizia etnica genocidaria della Palestina. Sono successe cose eclatanti: la Corte Internazionale di Giustizia si è espressa contro Netanyahu, così come la corte dell’Aja, si vocifera, stia indagando i vertici israeliani per crimini contro l’umanità. Se questi procedimenti avranno seguito e spiccherà un mandato di comparizione nei confronti del primo ministro israeliano potremmo avere una speranza. Negli anni ’30, ai tempi del carteggio tra Freud ed Einstein, l’ONU, la Corte di internazionale di giustizia, la corte penale internazionale non esistevano. Queste istituzioni, nate dopo la Seconda guerra mondiale, sono chiamate oggi a un nuovo compito, ci possono traghettare in un nuovo mondo multipolare più razionale. Devono cooperare l’opinione pubblica, movimenti studenteschi, le organizzazioni popolari, auspichiamo anche i sindacati e meglio tardi che mai anche quei partiti politici che possiedono ancora una visione non nichilista e irrazionale del mondo.

Cosa si può fare difronte alla deriva bellicista?

Mancano ancora forze politiche organizzate e di massa che riescano ad incidere sulla situazione. Nel frattempo vedo due strade. Da una parte devono essere i cittadini e i lavoratori a sentire la minaccia della guerra. Si devono auto-organizzare. Alcuni esempi. A Torino insegnanti e ricercatori si sono mossi all’interno di un movimento che si chiama la Scuola per la pace. A livello nazionale gli studenti in lotta contro il genocidio sono una voce di speranza. Insomma esiste una resistenza spontanea alla guerra. L’altra strada è quella dei media indipendenti e di contro informazione. Se queste esperienze riusciranno a federarsi, a fare massa critica, la situazione inizierà a cambiare.

Segnalo a questo proposito, come buona pratica politica, l’Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università a cui aderisco con pieno supporto. https://osservatorionomilscuola.com/

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