Migranti, esplode ancora lo scontro e l'Ue è ad un passo dalla tempesta perfetta

Migranti, esplode ancora lo scontro e l'Ue è ad un passo dalla tempesta perfetta

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Il Consiglio europeo del 15 dicembre doveva essere l’occasione in cui i leader degli stati membri avrebbero dovuto esibire una ritrovata unità d’intenti. E per gran parte della giornata è stato così grazie ai buoni risultati raggiunti risultati nell’organizzazione della Difesa comune (se ne parlerà in un altro articolo). 

I nodi però sono venuti al pettine quando si è parlato dei migranti. Il tentativo del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk di spostare il dibattito oltre le quote di rifugiati da distribuire fra i paesi membri si è concluso con un nulla di fatto sull’immigrazione e con l’esplosione di grandi divisioni tra i paesi dell’est Europa e gli stati fondatori dell’Unione europea.

Quest’ultimo episodio ha dimostrato che la crisi dei migranti si sta trasformando in una tempesta perfetta destinata a travolgere l'Unione europea più del perverso meccanismo della zona euro. 




È assurdo che un flusso migratorio difficile ma tutto sommato gestibile stia seminando più discordia delle asimmetrie economiche generate da una unione che funziona con la logica del branco di lupi piuttosto che di una comunità; è assurdo che l’Unione europea si spacchi sui migranti e resti unita nella deflazione salariale, unita nel tenere in piedi il sistema a geometria variabile di una geografia industriale fatta di paesi destinati alle eccellenze e altri alle maquiladoras. Un sistema che permette ai paesi più forti di continuare a rafforzare i loro sistemi produttivi a spese dei paesi più deboli. Ma purtroppo questa è la realtà che dobbiamo affrontare.  

Considerando che la pressione dell’immigrazione proveniente dall’Africa sub-sahariana è destinata ad aumentare, è facile prevedere che fra pochi anni i paesi della Ue si troveranno ad affrontare un flusso migratorio che andrà ben oltre quello che la popolazione sarà disposta ad accettare. Già adesso, a due anni dalla crisi migratoria dell’estate 2015, la Ue è ancora invischiata nella discussione di come distribuirsi un centinaio di migliaia di persone quando nel frattempo ne sono arrivate ben più di un milione. Di fronte a questo scenario, la Ue e i suoi membri stanno reagendo con panico, ideologia e negazione del problema. 

La strategia di arginare la rotta del Mediterraneo centrale respingendo gli immigrati riportandoli o bloccandoli al punto di partenza in Libia non funzionerà a lungo, così come si rivelerà inutile e dannoso spostare sempre più a sud “la frontiera europea” da presidiare, una frontiera che ormai ha superato il Nord Africa arrivata fino al Mali e al Niger. Alcuni governi dell'Ue cercheranno di alleviare la pressione e calmare le coscienze accettando un numero limitato di migranti. Anche questo sarà deleterio perché trattandosi di accoglienze propagandistiche i governi le pubblicizzeranno come modelli vincenti, ma questo avrà l’effetto di incoraggiare ulteriormente i flussi perché visti dall’Africa questi non sono altro che spot pubblicitari per il prodotto offerto dai trafficanti di esseri umani. 

Un’altra reazione sarà quella di “aiutarli a casa loro” (come dice la destra) o “investire nella cooperazione internazionale” (come dice la sinistra) riversando una montagna di soldi in progetti di sviluppo destinati ai paesi origine del flusso migratorio. Tuttavia, rovesciare denaro nei paesi poveri sperando di ridurre la volontà di emigrare in Europa è un pio desiderio. All’atto pratico questi investimenti si traducono in un regalo per le corrotte satrapie locali, che si impadroniscono facilmente dei soldi stanziati per questi progetti. 

Non solo. Pochi sanno che a stimolare le migrazioni spesso sono proprio i primi risultati di un miglioramento della condizione economica delle famiglie. In Africa uno degli investimenti più redditizi che le famiglie dei paesi possono fare e mettere insieme il denaro necessario a inviare in Europa un membro giovane e forte della famiglia. Un investimento che in quelle terre è molto più redditizio della maggior parte degli investimenti di natura commerciale. Dopo essersi insediato in Europa, il giovane potrà inviare denaro nel paese d’origine e cercare di sfruttare le regole per i ricongiungimenti familiari per portare altre membri della famiglia a lavorare in Europa aumentando così la quantità di rimesse inviate alle famiglie rimaste in Africa. Questa semplice logica economica è uno dei principali motori della migrazione, ma ufficialmente non viene presa in considerazione e continua a essere nascosta dietro la solita retorica. 

Se già adesso la Ue non si riesce a formulare una politica comune, chissà cosa succederà quando le cose andranno peggio. Il disprezzo con cui è stata bollata l’Ungheria – ma anche la Polonia e gli altri paesi dell’Est – per non aver accettato quella che il Consiglio sosteneva essere la quota di migranti dovuta può essere gratificante per le élite politiche e culturali dei salotti buoni della bella gente, ma è solo un atto di masturbazione morale, privo di potere persuasivo e di effetto pratico. È davvero così importante che i paesi dell’Est accolgano quote consistenti di migranti? Sono i paesi dell’Est i luoghi migliori dove insediare migranti? Sono i paesi dell’Est la destinazione desiderata dai migranti? Se la Ue volesse veramente risolvere questo problema nel modo che dice, lo farebbe organizzandosi tra paesi forti senza nascondersi dietro la scusa del mancato consenso dei paesi dell’Est. 

La Ue può solo aspettarsi di pagare un prezzo pesante per questa ipocrisia. La mia analisi può sembrare troppo pessimista, ma capire cosa intendo basta immaginare cosa accadrà quando inizieranno le migrazioni di massa dovute alla bomba demografica e ai cambiamenti climatici che renderanno inabitabili aree vastissime dell’Africa. Migrazioni che si scontreranno con società impoverite e incattivite da un’economia sempre più spietata, competitiva e priva di opportunità per chi viene dal basso. Per l’Europa questa sarà una minaccia esistenziale, che potrebbe essere risolta se gli stati tornassero a considerare come l’obiettivo stesso della loro esistenza il perseguimento della piena occupazione e della protezione sociale. A quel punto anche l’accoglienza di profughi e lavoratori stranieri provenienti da molto lontano non rappresenterebbe più un problema. 

Ma agire con buon senso richiede una visione politica e una leadership determinata che non si vede da nessuna parte. 


Federico Bosco

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