Neoliberismo e repressione: la storia di ‘El Caracazo’ e il suo messaggio attuale

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Neoliberismo e repressione: la storia di ‘El Caracazo’ e il suo messaggio attuale

Il 27 febbraio 1989 rappresenta una data cruciale non solo per il Venezuela, ma per tutti coloro che credono nella giustizia sociale e nella resistenza contro certe politiche economiche ingiuste, ottuse e oppressive. Quel giorno, conosciuto come “El Caracazo”, il popolo venezuelano si ribellò contro il “Paquetazo” economico imposto dal governo neoliberista di Carlos Andrés Pérez, un piano che rispondeva alle direttive del Fondo Monetario Internazionale (FMI), della Banca Mondiale e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Questa protesta, che causò migliaia di morti e una repressione brutale, deve oggi servire da monito in un’epoca in cui quelle stesse nefaste ideologie tornano in auge, come dimostra l’ascesa di figure come Javier Milei in Argentina, un fanatico sostenitore del neoliberismo più estremo.

Il “Paquetazo” e la rivolta popolare

Il “Paquetazo” fu un pacchetto di misure economiche che includeva l’aumento dei prezzi della benzina e dei trasporti pubblici, la deregolamentazione dei costi dei beni di prima necessità, la privatizzazione delle aziende statali, il congelamento dei salari e tagli drastici ai budget sociali. Queste politiche, dettate dalle istituzioni finanziarie internazionali, colpirono duramente la popolazione già impoverita, scatenando una rivolta popolare iniziata a Guarenas e diffusasi rapidamente a Caracas e in altre regioni del paese.

La risposta del governo fu spietata: limitazione delle garanzie costituzionali, come la libertà di espressione e di riunione, e una repressione violenta che portò a migliaia di morti. I corpi di sicurezza dello Stato spararono indiscriminatamente sui manifestanti, lasciando una scia di sangue e dolore che, a distanza di 36 anni, non è stata ancora completamente quantificata.

 
 
 
 
 
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Una data simbolo della resistenza

Come ricordava il Comandante Hugo Chávez, “El Caracazo” fu la scintilla che accese il motore della Rivoluzione Bolivariana. Quel giorno non fu solo una protesta contro l’aumento dei prezzi, ma una ribellione contro un sistema economico che sacrificava il benessere della maggioranza in nome del profitto di pochi. Chávez sottolineò che il 27 febbraio non fu un atto di violenza insensata, ma un grido di dolore e speranza di un popolo oppresso che chiedeva giustizia e dignità.

Un monito per il presente

Oggi, mentre l’Argentina di Javier Milei abbraccia politiche neoliberiste estreme, con tagli selvaggi al settore pubblico e la deregolamentazione dell’economia, è fondamentale ricordare le conseguenze disastrose di simili misure. Il “Paquetazo” venezuelano e la repressione che ne seguì dimostrano come il neoliberismo, presentato come una soluzione ai problemi economici, spesso si traduca in maggiore disuguaglianza, povertà e violenza. Un vero e proprio fallimento senza mezzi termini, che la propaganda mainstream cerca di occultare.

Il 27 febbraio deve essere un promemoria per tutti: le politiche economiche che privilegiano il capitale a scapito dei diritti sociali non solo falliscono nel risolvere le crisi, ma alimentano il malcontento e la disperazione. In un’epoca in cui il neoliberismo cerca di riaffermarsi, è essenziale ascoltare le lezioni del passato e resistere a chi propone ricette già fallite, con conseguenze inenarrabili per le popolazioni.

La memoria come strumento di lotta

Ogni anno, il Venezuela commemora “El Caracazo” con marce e eventi che ricordano le vittime di quella tragedia. Questa memoria non è solo un tributo ai caduti, ma un impegno a continuare a lottare per un mondo più giusto. Come ebbe a dire Hugo Chávez, il 27 febbraio “non è finito”, perché il suo messaggio di resistenza e speranza risuona ancora oggi, in un mondo in cui le disuguaglianze e le ingiustizie persistono.

In un momento in cui figure come Milei cercano di imporre un modello economico che ha già dimostrato i suoi fallimenti, il ricordo di “El Caracazo” ci ricorda che la lotta per la giustizia sociale non è mai finita. È un monito a non ripetere gli errori del passato e a resistere a chi vuole sacrificare i diritti dei più deboli sull’altare del profitto.

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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